Chi era Francesco d'Assisi? Vagabondo, «folle d'amore», «elemosiniere di Dio», è una figura affascinante e provocatoria. Ostinato, irruente, libero come nessuno, Francesco compie il gesto più difficile per un uomo: con la sua coraggiosa, scandalosa «svestizione » perde un padre ma trova una sposa dolcissima, la Povertà, il cui «manto di sacco», pur «pieno di rattoppi, / era una veste angelica». Ed è proprio come «apostolo di sogni», «contadino di fede», insieme terribile e tenero, che Francesco ci viene incontro in queste pagine, che restituiscono tutta la tensione, non priva di fragilità e turbamento, del santo di Assisi, di colui che, come ci ricorda lo scritto di Gianfranco Ravasi, non ha voluto innalzare «barriere di orgoglio e di ricchezza contro il vento dello Spirito».
Una nuova edizione rigorosamente condotta sui manoscritti, che restituisce – per la prima volta in un unico volume – tutte le poesie di Antonia Pozzi. Può essere così ricostruito nella sua completezza e autenticità il percorso di un’autrice non riconosciuta in vita, ma da alcuni decenni oggetto di una straordinaria riscoperta su un piano internazionale. Le sue Parole – nutrite di una solida cultura e intensamente elaborate sul piano formale, tuttavia lontane dai canoni letterari degli anni Trenta – dicono con passione vibrante, linguaggio limpido e vivezza di immagini la bellezza e il dolore del mondo, il dramma dell’individuo e quello, più vasto, dell’umanità. Per questo esse giungono con sorprendente forza al cuore del nostro presente.
Si tratta di brevi condensati di preghiera e di poesia, frutto della consapevolezza da parte dell'autrice che l'esistenza umana è, già su questa terra, una vita immersa in Dio. È per questo che tutto può parlarci di lui e farcelo percepire "presente": nella nostalgia di un tramonto come nel sorgere gioioso di un nuovo mattino; in un sorriso di benevolenza e di comprensione, come in un "grazie" di affettuosa riconoscenza; nella contemplazione dell'universo, immensità di ineffabili misteri antichi e sempre nuovi, come nell'ammirazione per un fiore, piccolo grande miracolo per rallegrare, stupire ed elevare il nostro cuore. o anche solo per un paesaggio ad acquarello, soffuso di malinconia, che ci richiama "il tramonto dei celeri giorni"...
Sono inanellate in questo libro, una dopo l'altra, le perle più luminose dello scrittore bengalese Rabindranath Tagore, premio Nobel per la Letteratura, che celebrò l'amore umano e divino incantando generazioni di lettori in tutto il mondo. Ogni gioiello di questo scrigno prezioso declina in mille sfumature l'amore per se stessi, per gli altri, per Dio e l'intera Creazione. Sono schegge narrative, liriche e parabole, alcune tradotte per la prima volta in Italia. La straordinaria capacità evocativa del narratore-poeta fa risuonare a ogni pagina echi della grande letteratura sacra e profana: da Gilgamesh al Cantico dei Cantici, dalla Bhagavad gita ai mistici Sufi, da Dante a Shakespeare fino ai romantici Wordsworth e Keats. Cesellando frasi e versi con sensibilità tutta orientale, Tagore crea intarsi di rara bellezza, una preziosa alchimia che abbraccia cielo e terra e che prova ai pessimisti che l'amore, quello autentico, vince sempre: sul dolore, sull'ingiustizia, sulla morte.
Soltanto un poeta poteva compiere oggi l'azzardo di una lode del mondo, basata sull'immaginazione e sulla sensibilità. Tornando alla forma già sperimentata del poemetto, Franco Marcoaldi sviluppa un flusso verbale dal ritmo incalzante che orchestra i temi della vita quotidiana e dello spirito in un rimando continuo dall'universo naturale al mondo storico, dall'autobiografia alla letteratura in una libera e viva scorribanda nei territori del pensiero analogico. All'apparenza "II mondo sia lodato" è una preghiera laica di intonazione francescana sulla bellezza e la meraviglia del creato. In realtà Marcoaldi loda il mondo nonostante gli infiniti turbamenti in cui incorre chi lo abita, e proprio quel nonostante è l'anima nascosta del libro. Nel suo procedere, il poemetto attraversa l'amarezza delle cose umane nella loro vicissitudine di violenza, malattia, depressione, morte, ma incontra anche il demone erotico, e con esso il sogno, la fantasia, e i libri e le figure del passato che illuminano il presente. Se l'invocazione di lode resiste come un mantra è per lo sforzo generoso di una pietas consapevole e di un'attenzione costante alle pieghe infinite e alle corrispondenze sotterranee dell'esistenza. Cosi il poemetto che loda il mondo si fa mondo, e convoca in coro altre voci, altri poeti, altri pensatori, in una ridda di rimandi e citazioni che immancabilmente si accordano nell'antifona ricorrente: "Mondo, ti devo lodare". Espressione di umiltà e gratitudine nei confronti della vita.
Nella raccolta "Poesie d'autunno", scelta dal Coro Filarmonico.Città di Udine, in collaborazione con l'Ateneo udinese, per il primo Concorso di composizione corale dedicato al musicologo Renato della Torre, Alessandro Lutman riesce a far rivivere le sue intense esperienze interiori intervenendo con finezza sullo strumento linguistico. Sfruttando le grandi potenzialità del verso libero, giocando su sinonimie, su pause e sospensioni, su calibrate e non insistite assonanze, il giovane poeta sorprende il lettore invitandolo a condividere le sue passioni, la sofferenza irrisolta, l'inquietudine, senza però indulgere mai al sentimentalismo.
Vince la poesia, in questa raccolta dove forte è l'intreccio con narrazione e antropologia. A unire le parti, la storia di Giovanni, nato in montagna, cresciuto senza un padre e trasferitosi a Milano per ragioni di studio. Diventato ormai medico, sposa Anna, come lui laureata in medicina, e insieme lasciano che il loro primo figlio sia frutto della scienza. Ma quel bambino nato, quando ancora gattona, un mattino d'inverno muore sepolto nella neve... Una parabola sull'oggi che proietta nel domani, in una riflessione su tecnologia e scienza. "Non abbiamo a che fare con una poesia 'commentata', e tanto meno con una poesia, decorativa, da tappezziere. È uno sguardo sul fare poetico, una visita in incognito nel laboratorio del poeta. Così si impara che la poesia nasce sempre dalla vita, ma non è la vita" (Cesare Cavalleri).
Il centro del volume è costituito da sei meravigliose poesie di Angelo Mundula, commentate e spiegate dai membri della Comunità di San Leolino di Panzano in Chianti. Una interessante presentazione di Carmelo Mezzasalma e un'antologia critica finale fanno da cornice a questo suggestivo libretto. Quella del viaggio, della migrazione e della strada, è una delle icone preferite per narrare l'anima nella sua complessità e dinamicità verso il mistero di Dio. Il viaggio, oltre tutto, rappresenta un autentico momento di verità, nel quale camminare è un esercizio che ha certo se stessi come obiettivo, ma è anche una tappa sempre spostata in avanti e nel quale, in realtà, è sempre tornare in un altrove. Nel caso di Angelo Mundula, l'altrove è proprio quel mistero del Dio cristiano che, incarnandosi, guida l'uomo, quindi anche il suo essere poeta, nell'interiorità dell'anima, per giungere un giorno nell'eternità dell'amore e della speranza. Il volume presenta una scelta delle sue poesie commentate dai fratelli della Comunità di San Leolino. Angelo Mundula ha pubblicato numerosi libri di poesia. Tra le sue opere in prosa, ricordiamo Tra letteratura e fede (Edizioni Feeria 1998), L`altra Sardegna (Spirali 2003). Ha collaborato con i maggiori giornali italiani, con "L`Osservatore Romano" e con importanti riviste. È presente in alcune prestigiose antologie italiane e in numerosi saggi. È tradotto in molti paesi europei.
Scritte tra il 1955 e il luglio del 1960 e pubblicate per la prima volta nel 1961, le poesie di "La religione del mio tempo" raccontano in versi un'intera società in fermento. Usando la frusta quando lo ritiene necessario, Pasolini non retrocede di fronte a nulla e utilizza ogni possibile materiale argomentativo: da quello metafisico a quello polemico, dal giornalistico al profetico, proponendo schemi e ideologie che - come spiegherà sul settimanale "Vie nuove" - "non sono solo opinioni politiche, ma sono, insieme, poetiche; hanno cioè subito quella trasformazione radicale di qualità che è il processo stilistico". In questa raccolta Pasolini riesce così a mettere poeticamente in azione tutta la sua incontenibile passione civile, un'insaziabile fame di vita e un irresistibile desiderio di capire e sentire. Prefazione di Franco Marcoaldi.
“In me esiste, al fondo di un pozzo, / Un pertugio di luce verso Dio. / Là, molto in fondo alla fine, / Un occhio fabbricato nei cieli”: la poesia di Pessoa è una diagnosi spirituale della modernità. La poesia ci prepara alla ricerca di Dio. Essa opera lo smantellamento della crosta che copre la realtà, mette a nudo il nostro cuore, ci espone ad una comprensione più profonda e più totale della vita e delle sue espressioni: la sua notte e il suo giorno, il suo esteriore e il suo rovescio, la sua parola e il suo silenzio.
Fernando Pessoa (Lisbona 1888-1935) è una delle figure principali della letteratura del Novecento. Lavorò come corrispondente commerciale in ditte di import-export, ma sulla scena letteraria portoghese lasciò un’impronta indelebile con la creazione di movimenti d’avanguardia e di riviste. Pubblicò su vari giornali testi poetici e filosofici, firmandoli sia con il suo nome sia con quello dei suoi eteronimi, per i quali inventò una biografia e uno stile peculiari, come si trattasse di persone reali.
"Mio Gherardo, qualche soldato canta; da una baracca all'altra si tenta il coro; [...] qualche aeroplano gironza; la tua arriva; si fa un gran silenzio d'armi." Dal 18 aprile 1916 all'ottobre 1918 Giuseppe Ungaretti, al fronte col 19° Fanteria, intrattiene una fitta corrispondenza con Gherardo Marone, "un giovine che s'appassiona, un giovine di vocazione", direttore a Napoli della rivista letteraria "La Diana". Le lettere, le cartoline e i telegrammi - a cui Ungaretti spesso allega le poesie da pubblicare sulla "Diana" -, oltre a raccontare il sorgere di una salda amicizia e di un sodalizio intellettuale, testimoniano la genesi della grande poesia di Ungaretti, quella che il mondo conoscerà grazie a "Il Porto Sepolto" (1916), "Allegria di Naufragi" (1919) e "L'Allegria" (1931). Questa edizione delle lettere a Marone riunisce, ordina e commenta sia quelle conservate alla Biblioteca Nazionale di Napoli, sia quelle fortuitamente ritrovate nei mercati di Porta Portese e di Salerno, ora conservate all'Archivio del Novecento della "Sapienza" di Roma, e dà testimonianza del miracolo per cui in mezzo all'orrore può prodursi quel "gran silenzio d'armi" da cui fiorisce la poesia.
Quaranta composizioni poetiche che vanno dalla riflessione esistenziale alla rievocazione interiore di luoghi del cuore (come Milano e Gerusalemme) e di figure significative (come Etty Hillesum e papa Francesco). Su tutti, spicca la memoria di Carlo Maria Martini, di cui Garzonio è considerato uno dei più acuti biografi. "Cronache dell'anima scandite entro una scansione di tempo preciso, 'da Martini a Bergoglio': evocata la stagione della nascita dei testi, ma evocato anche un amore, non celato, quasi da privilegio, per un vescovo e un papa. (...) Spesso nelle pagine cogli una passione ferita - siamo il sogno, ma siamo anche l'incubo di Dio -, passione che leva grido, a volte anche urlo dalle poesie, là dove immobilità, indifferenze, ingiustizie sporcano sogni, nella vita della società e della chiesa" (dalla prefazione di don Angelo Casati).