
Alida Airaghi è nata a Verona nel 1953 e risiede a Garda. Dopo la laurea in Lettere Classiche a Milano, è vissuta e ha insegnato a Zurigo dal 1978 al 1992. Ha collaborato a diverse riviste e quotidiani italiani e svizzeri. Tra le sue pubblicazioni: "L'appartamento", in Nuovi Poeti Italiani, 3 (Einaudi 1984), "Rosa rosse rosa" (Bertani 1986), "Appuntamento con una mosca" (Stamperia dell'Arancio 1991), "Il peso del giorno" (La Luna - Grafiche Fioroni 2000), "Un diverso lontano" (Piero Manni 2003), "Frontiere del tempo" (Piero Manni 2006); inoltre, per le edizioni LietoColle, le plaquettes: "Il lago" (1996), "Sul pontile, nell'acqua" (1997), "Litania periferica" (1998), "Le mura di Verona" (1998).
Queste poesie di carattere religioso dimostrano come noi esseri umani siamo come tante stanze bianche, vuote, riempite di volta in volta delle nostre personali memorie, ma la memoria del poeta, in quanto riconducibile a tutto il genere umano, è qualcosa di più dei ricordi dei singoli. È una memoria superiore e più vasta quella che vive in lui, così che il poeta esprime attraverso il proprio canto aspirazioni universali verso un mondo ideale di giustizia, di pace, di bellezza e di verità attraverso la gioia, l'amore o la sofferenza - sentimenti comuni a tutti gli uomini, in forme e modalità diverse. Ed è per questo che il vero poeta, esprimendo le radici più profonde della vita, parla un linguaggio che risulta nello stesso tempo vicino ad ogni essere umano.
"Disputa cometofantica" di Lucio Saffaro è una narrazione in forma di poesia. Della narrazione ha tutte le caratteristiche: c'è una vicenda, c'è un paesaggio, ci sono dei personaggi. Il presente di Saffaro è il presente della parola creatrice. Non al cielo delle stelle fisse chiede di volgersi, ma, secondo la definizione agostiniana, all'eternità: "Hodiernum tuum aeternitas": il tuo oggi è l'eternità. L'eternità come presente della parola poetica, che permane come permane la forma del tempo in tutte le sue forme; quella forma che Mario Luzi chiama il "punto vivo, il punto pullulante dell'origine continua".
Rilke, come Kafka e Werfel, apparteneva a quella generazione di scrittori praghesi che si esprimeva in lingua tedesca. La sua poesia rappresenta senza dubbio il vertice più alto raggiunto dalla poesia di lingua tedesca nel Novecento – un po’ come è accaduto per la narrativa con uno scrittore come Franz Kafka. Rilke tuttavia, diversamente da Kafka, fu un grande e instancabile viaggiatore, dalla Russia all’Italia e alla Spagna e, soprattutto, alla Francia, paese al quale fu molto legato e che certamente influì in maniera determinante sullo sviluppo della sua poesia. Scritte in francese, queste “poesie francesi” furono composte dal 1924 al 1926, per lo più nei periodi di ricovero per l’aggravarsi della malattia che l’avrebbe di lì a poco condotto a una morte ancora precoce – aveva infatti da poco superato i cinquant’anni. Eppure queste poesie sono tutto fuor che il lamento di un uomo disperato; al contrario, respira in esse un alito leggero e nostalgico verso la vita e le sue forme, quasi un riposo dello sguardo sulle cose del mondo.
Questa antologia – che prende il suo titolo da una delle più belle poesie incluse, quella di Cesare Pavese – vuole offrirsi come un omaggio ad una delle presenze più assidue e più discrete degli animali nelle nostre case: il gatto. Da tempo questo straordinario felino si contende con il cane la palma di animale più amato dall’uomo; tuttavia, a suo favore, occorre dire che la presenza dei gatti in poesia supera forse quella dei cani. Dipenderà probabilmente anche dalle caratteristiche di mistero e di indipendenza che questo animale possiede; forse, però, dipende soprattutto da un’illustre tradizione che, se ha avuto in prosa il suo grande capostipite moderno nel racconto de “Il gatto nero” di Edgar Allan Poe, in poesia ha visto Charles Baudelaire come capostipite di una ricca e straordinaria serie di testi dedicati ai gatti: da Verlaine a Pascoli, da Corazzini ad Apollinaire, da Yeats a Neruda, da Lorca a Borges, da Pessoa a Montale, da Saba a Pavese, da Penna a Rodari, da Eliot a Éluard, da Ferlinghetti a Bukovsky, da Prevert ad Auden, da Fortini alla Szymborska, fino ad alcuni dei maggiori poeti italiani dei nostri giorni: Raboni, Benni, Marcoaldi, Dario Bellezza…
La prima edizione di Libro del frío (1992), secondo la particolare concezione artistica del suo autore, Antonio Gamoneda, che vede nella poesia qualcosa di biologicamente integrato alla vita, è giunta oggi ad una seconda edizione ampliata, che raccoglie, rispetto alla prima, venti nuove brevi poesie in un'ulteriore sezione. L'opera si presenta come un viaggio poetico attraverso i paesaggi della coscienza avviata all'incontro con la vecchiaia. Memoria, narrazione e costruzioni simboliche si fanno di una stessa e condivisa sostanza poetica, che non rifugge simboli anche indecifrabili, pur mantenendo il tutto una nitidezza a volte sconcertante. Ciò che colpisce è il vigore delle immagini che Gamoneda riporta in questo libro, riflesso filtrato del mondo esteriore senza togliere alla realtà anche la sua luce e valenza negativa. Una lettura d'impatto per il lettore italiano, che verrà trasportato in una tradizione poetica, quella più propriamente ispanica, i cui tratti essenziali sono l'asciuttezza del dettato poetico, la mozione etica dell'individuo, il profondo senso delle immagini a rappresentare l'impulso vitale "tra vertigine e oblio".
La traduzione poetica, per Ungaretti, è un'autentica opportunità di creazione poetica. Per questo motivo, eccezionalmente rispetto agli altri poeti del Novecento presenti nei Meridiani, di lui si offrono anche le traduzioni, a completare quel progetto di «Vita d'un uomo» che ha preso forma nel corso del suo lunghissimo rapporto di fedeltà con la casa editrice Mondadori. Al pari delle poesie, infatti, le traduzioni scandiscono le tappe della «Vita d'un uomo»: la prima traduzione pubblicata da Ungaretti (1910), da poco ritrovata, precede anzi l'edizione delle prime liriche; le ultime traduzioni escono, come la poesia estrema, “L'Impietrito e il velluto”, nel 1970. Il Meridiano comprende innanzitutto i volumi "canonici": “Traduzioni” (1936), “40 sonetti di Shakespeare” (1946), “Da Gongora e da Mallar- Mé” (1948), “Fedra” di Jean Racine (1950), “Pau Brasil” (1961), “Visioni di William Blake” (1965); esso raccoglie quindi le numerose versioni - in italiano e anche in francese - edite su rivista (alcune del tutto dimenticate dalla critica), e due importanti dossiers inediti: uno studio sulla canzone leopardiana “Alla Primavera”, che conserva diverse traduzioni, e una conferenza tenuta da Ungaretti in occasione della riunione annuale delle Accademie Straniere romane. Le traduzioni sono corredate di un apparato variantistico e di un ricco commento che dà voce innanzitutto all'autore, attingendo estesamente dai suoi autocommenti, editi (epistolari, interviste, prose, saggi) e inediti: per questa sezione i Curatori si sono infatti potuti avvalere di una sistematica esplorazione del Fondo Ungaretti al Vieusseux di Firenze e di quelli, finora ignorati dalla critica, di alcuni suoi corrispondenti.
La tradizione poetica neogreca ha toccato nel Novecento vertici assoluti. Dei quattro poeti più celebri - Constantinos Kavafis, Ghiannis Ritsos, Ghiorgos Seferis e Odisseas Elitis - ben due vinsero il Nobel (Seferis 1963, Elitis 1979). Gli inizi della poesia neogreca vengono comunemente posti alla fine del Settecento, quando nasce l'idea culturale e politica della Grecia moderna: l'antologia si radica perciò nell'Ottocento per giungere praticamente sino a oggi e comprende di fatto quasi due secoli di poesia. Il percorso antologico propone non solo poesie dei grandi maestri del Ventesimo secolo ma anche di voci poco note, e mette in evidenza il ruolo culturale e sociale della poesia nella creazione dell'identità nazionale ellenica e spazio pubblico privilegiato che essa occupa, senza eguali in altre tradizioni europee. Si pensi ad esempio che due funerali di poeti - di Kostìs Palamàs nel 1943, in un'Atene presidiata dai nazisti, e di Seferis nel 1971, durante il regime dei Colonnelli - si trasformarono in occasioni di autocoscienza collettiva (di nobile resistenza all'occupante nel primo caso, di muta oceanica protesta nel secondo). Oltre all'impegno politico, altri temi attraversano la letteratura neogreca fin dalle origini: il rapporto con la musica, attestato dalle numerose liriche adottate come testi di canzoni dai più popolari chansonniers e compositori del Novecento, e il persistente e problematico rapporto con l'antichità classica e con la passata grandezza culturale della Grecia.
Una raccolta di raccolte, un vero e proprio contenitore di vent’anni di fittissima attività poetica. Poesie cartolina, resoconti dei viaggi più diversi, poesie travestimento, da Catullo a Pascoli, poesie gioco dove l’esperienza di vita, personale e individuale, si intreccia con l’interpretazione del mondo, l’uomo con la Grande Storia.
Un volume fondamentale, che mette in luce la ricerca coerente e lontana dalle mode di un autore che, senza perdere la forza dell’avanguardia, ha sempre saputo comunicare con trasparenza.
Lo stupore di fronte allo straordinario miracolo della vita che attraversa i dubbi e i momenti difficili di offerenza, riempie di gioia l'esistenza dove, nel frastuono del mondo di oggi, riecheggia dolce ma prepotente la chiamata quotidiana del Signore. Piccoli flash, incontri, momenti di cielo vissuti nella condivisione silenziosa della bellezza del creato, delle relazioni vere. Una lode a Cristo Risorto che sostiene ogni momento e ogni circostanza della vita, Pasqua nella città inquieta. Sono i graffiti dell'anima del vescovo Francesco Miccichè, brevi e intensi componimenti da leggere e meditare.
«Avevo una cagnetta che si chiamava Zoe, vita bianca, leggera e poi nuvola nera. E poi è scomparsa e il cielo era da capo azzurro come se nulla fosse»
«Marco Lodoli disegna la trama breve della vita di Zoe: una compiuta parabola, esemplare nella sua semplicità e nella sua trasparente "umanità"» Maria Grazia Ciani
Chi era veramente Alda Merini? Come nascevano le sue poesie? La grande poetessa italiana è una delle figure più enigmatiche e affascinanti del nostro panorama letterario: nessuno scrittore ha nutrito con altrettanta umiltà e autenticità, attraverso le sofferenze dell'esistenza, la sua opera. Nessun poeta assomiglia così profondamente alle sue poesie, che nascono dalla vita, non a tavolino: "prima della scrittura hanno valore le mie mani, i miei occhi, il mio cuore e persino la mia disperazione, e quando scrivo tutto è già compiuto, il mio corpo ha già scritto la sua apologia e persino il mio tradimento". Alda Merini viveva la poesia, prima ancora di scriverla. Per questo spesso "dettava" i suoi versi, non per autocompiacimento ma per un'insistente necessità interiore, un'ispirazione che poteva nascere in qualsiasi momento, come mostra il filmato accluso al libro. Un dvd che documenta con vivacità e delicatezza l'universo umano e poetico di Alda Merini, la sua quotidianità vissuta in mezzo alla gente, con semplicità e coerenza, lontana dal clamore dei media. Il filo conduttore che lega le immagini è proprio il lavoro creativo, il suo dipanarsi, parola dopo parola, attraverso la voce indimenticabile della poetessa, con un ritmo e un tempo che nessuna pagina potrà mai restituire. Forse, sembra suggerirci questa commovente testimonianza, è nell'oralità, e quindi nella relazione umana, e non nella mera scrittura, il segreto - e il significato - della poesia.