
Il libro, scritto con grande competenza, ci guida attraverso la lunga storia del problema della povertà, analizza l'attuale complessa situazione dell'economica mondiale e si sofferma sulle cause della migrazione e sulle sfide politiche ad essa collegate, con le pesanti conseguenze umane e culturali di cui siamo testimoni ogni giorno. Padre Giulio Albanese si fa portavoce impegnato di questo grido. E la sua risposta non è quella della expertise economica ma quella dello stesso vangelo vissuto dal poverello d'Assisi, proclamata già dal Concilio Vaticano II e oggi attualizzata e messa come lampada sopra il moggio da papa Francesco, che vuole una Chiesa povera per i poveri. La conseguenza non è né il pauperismo o l'esaltazione della miseria, né l'atteggiamento paternalista di chi dà in elemosina il superfluo, seppure anche questa offerta abbia il suo valore, ma l' impegno in prima persona nel condividere con i beni anche la vita, nel cooperare non solo «per» ma «con» i poveri allo sviluppo, nel lavorare per una economia sociale e sostenibile, che non esclude, ma sia fondata sulla dignità di ogni persona e sulla centralità del lavoro umano.
Anselm Grün descrive a fondo 25 qualità umane alle quali corrispondono altrettanti atteggiamenti capaci di portare le persone a un incontro autentico, un incontro con l'«altro» nelle innumerevoli occasioni della vita: apertura e fiducia, condivisione e riconoscenza, nostalgia e tenerezza, distanza e dono di sé. Partendo da un riferimento evangelico o biblico l'autore propone una situazione che chiunque può aver vissuto e così visione cristiana ed esperienza umana si congiungono per tracciare un itinerario per la vita.
Seguito incompiuto de «Il Profeta», capolavoro riconosciuto di Gibran, «Il giardino del Profeta» fu pubblicato postumo nel 1932. Gibran vi lavorò fino al giorno precedente la sua morte, avvenuta a New York il 10 aprile 1931. «Il giardino del Profeta» ha come argomento il rapporto tra l'uomo e la natura, ed esprime in particolare il desiderio che Gibran aveva di dissolversi e congiungersi in essa. Almustafà, l'eletto e l'amato, in cui Gibran adombra se stesso, ritorna alla propria terra natale (il Libano) dopo dodici anni di esilio nella città di Orfalese (New York). E come alla partenza, esaudendo le richieste del popolo, aveva pronunciato i sermoni sugli aspetti principali della vita dell'uomo, così al ritorno in patria egli si rivolge alla propria gente e ai nove che si sono eletti suoi discepoli: nel medesimo ruolo di chirurgo d'anime e con lo stesso tono del dispensiere di saggezza sociale, Almustafà-Gibran sermona ancora sulla vita e sul desiderio, sulle cose inanimate e sul tempo, su Dio e sull'esistenza. Prefazione di Maurizio Clementi.
«Vedete, sono uno di voi» è il titolo del docu-film di Ermanno Olmi su Carlo Maria Martini. È anche il titolo di questo libro-intervista, curato da Marco Garzonio, in cui Olmi riprende i temi fondamentali del film, tratteggiando il «suo» personale ritratto di Martini, visto come figura emblematica della chiesa contemporanea e della società italiana. L'occhio di Olmi ci rivela un Martini sorprendente.
È sempre difficile capire i libri del passato prescindendo dalle loro origini, e questo è particolarmente vero per i Vangeli, libri unici per i quali si intrecciano le interpretazioni più diverse: testimonianza storica o divina, splendido racconto umano o trascendentale mistero di fede. Eppure, suggerisce in questa "Introduzione" il cardinal Martini, per apprezzare il carattere straordinario di tali documenti e il loro insegnamento non conta l'essere credente: ciascun lettore può infatti trovare risposte alle domande che sente maggiormente vicine alla propria sensibilità, interrogando il testo dai punti di vista più diversi. Grazie a queste pagine possiamo ricostruire, di tappa in tappa, il percorso millenario di questi testi, per arrivare a comprendere la loro natura più umana e vicina a noi, e per poterli leggere alla luce della nostra esperienza più prossima. Prefazione di Franco Manzi.
«Un'incrollabile certezza caratterizza tutto il pensiero di de Lubac sul soprannaturale: contro ogni riduzione antropologica della teologia operata dall'ateismo è possibile al cristiano, partendo dalla sua fede, mostrare a se stesso e a chiunque altro che esiste effettivamente un legame intimo tra la religione del Dio fatto uomo e l'antropologia, senza con ciò aderire alla riduzione antropologica laicista e secolarizzata adottata dall'ateismo, anzi contestandola radicalmente. Infatti, per mezzo di Cristo e in Cristo, Dio, rivelando se stesso all'uomo, rivela anche l'uomo a se stesso, cioè conduce l'uomo a scoprire la sua più propria ed intima essenza e destinazione. Al tempo stesso, sulla scorta di tutti gli studi storici precedentemente svolti da de Lubac sul soprannaturale, si svela anche fino in fondo il facile malinteso circa un modo di intendere il dialogo e la collaborazione pratica con la contemporanea cultura atea. La Chiesa smarrirebbe infatti completamente il senso e la possibilità stessa della sua missione nel mondo, qualora pensasse di poter raggiungere una perfetta condivisione d'intenti con il mondo a partire da un concetto di "natura umana" concepita come pienamente autosufficiente e compiuta in se stessa. Sulla base di questa fragile e contestabile premessa sarebbe fin troppo facile condividere, con tutti i possibili interlocutori, i cosiddetti valori semplicemente umani, lasciando indefinitamente sullo sfondo il problema religioso che giunge a porre seriamente la questione del destino ultimo dell'uomo. In tal caso il "soprannaturale" apparirebbe semplicemente come quel "superfluo" che potrebbe essere messo tranquillamente tra parentesi e sospeso di fatto, senza che esso abbia incidenza alcuna sulla possibilità di individuare, a livello teorico e pratico, l'unico fine ultimo e vero, quello soprannaturale, cui l'uomo reale, creato da Dio, tende di fatto con tutte le sue forze». (Dall'Introduzione di Franco Buzzi alla Sezione quarta dell'Opera Omnia)
"Un'incrollabile certezza caratterizza tutto il pensiero di de Lubac sul soprannaturale: contro ogni riduzione antropologica della teologia operata dall'ateismo è possibile al cristiano, partendo dalla sua fede, mostrare a se stesso e a chiunque altro che esiste effettivamente un legame intimo tra la religione del Dio fatto uomo e l'antropologia, senza con ciò aderire alla riduzione antropologica laicista e secolarizzata adottata dall'ateismo, anzi contestandola radicalmente. Infatti, per mezzo di Cristo e in Cristo, Dio, rivelando se stesso all'uomo, rivela anche l'uomo a se stesso, cioè conduce l'uomo a scoprire la sua più propria ed intima essenza e destinazione. Al tempo stesso, sulla scorta di tutti gli studi storici precedentemente svolti da de Lubac sul soprannaturale, si svela anche fino in fondo il facile malinteso circa un modo di intendere il dialogo e la collaborazione pratica con la contemporanea cultura atea. La Chiesa smarrirebbe infatti completamente il senso e la possibilità stessa della sua missione nel mondo, qualora pensasse di poter raggiungere una perfetta condivisione d'intenti con il mondo a partire da un concetto di "natura umana" concepita come pienamente autosufficiente e compiuta in se stessa. Sulla base di questa fragile e contestabile premessa sarebbe fin troppo facile condividere, con tutti i possibili interlocutori, i cosiddetti valori semplicemente umani, lasciando indefinitamente sullo sfondo il problema religioso che giunge a porre seriamente la questione del destino ultimo dell'uomo. In tal caso il "soprannaturale" apparirebbe semplicemente come quel "superfluo" che potrebbe essere messo tranquillamente tra parentesi e sospeso di fatto, senza che esso abbia incidenza alcuna sulla possibilità di individuare, a livello teorico e pratico, l'unico fine ultimo e vero, quello soprannaturale, cui l'uomo reale, creato da Dio, tende di fatto con tutte le sue forze." (Dall'introduzione di Franco Buzzi alla Sezione quarta dell'"Opera Omnia")
"Tra il 1951 e il 1955 de Lubac pubblicava a Parigi le due opere principali dedicate al buddhismo: 'Aspects du Bouddhisme' e 'Amida', frutti di un ventennio di studi e d'insegnamento, poi edite nel 1979 nel volume 21 dell''Opera Omnia' in lingua italiana. A queste seguiranno, a breve distanza di tempo, 'La rencontre du Bouddhisme' et de l'Occident' (1952) e, dopo un trentennio, le ultime più mature riflessioni su questo tema nei tre saggi pubblicati in Appendice al tomo II, ventiduesimo volume dell''Opera Omnia' edita da Jaca Book nel 1987. Sono questi gli scritti che ora vengono ripubblicati, in un'epoca oggi segnata dalla globalizzazione e da flussi migratori di rilevanza mondiale, che ridanno piena attualità a questi scritti già fondamentali dal primo loro apparire. La prospettiva principale sotto la quale è esaminato il buddhismo è lontana tanto da pregiudizi negativi, quanto da irenismo o sincretismo. Convinto che l'uomo è un mistero a se stesso, e che il fenomeno universale del misticismo esprime l'agostiniana, inesauribile sete di Dio - 'inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te' - l'Autore esplora le vette buddiche come un alpinista, attratto dalle vette delle varie religioni e filosofie, che però considera come 'tante cime separate da abissi'. Sempre vigile e attento nell'evitare 'l'orgoglio europeo' denunciato da Camus, e la dipendenza dalle 'teorie puramente occidentali' secondo l'ammonimento di Guénon, il Nostro c'introduce nel cuore del pensiero buddhista, traboccante di compassione e verità universali. La mistica buddhista e il suo intreccio filosofico ed etico vanno esaminati, ci raccomanda de Lubac, con il supporto di rigorose analisi storiche, filologiche e scientifiche, ponendo attenzione all'evoluzione plurimillenaria delle dottrine e al vario condizionamento geografico, culturale e sociale nel quale il buddhismo prende forma." (Dall'introduzione di Pier Francesco Fumagalli alla Sezione sesta dell'Opera Omnia)
«Tra il 1951 e il 1955 de Lubac pubblicava a Parigi le due opere principali dedicate al buddhismo: Aspects du Bouddhisme e Amida, frutti di un ventennio di studi e d'insegnamento, poi edite nel 1979 nel volume 21 dell'Opera Omnia in lingua italiana. A queste seguiranno, a breve distanza di tempo, ha rencontre du Bouddhisme et de l'Occident (1952) e, dopo un trentennio, le ultime più mature riflessioni su questo tema nei tre saggi pubblicati in Appendice al tomo il, ventiduesimo volume dell'Opera Omnia edita da Jaca Book nel 1987. Sono questi gli scritti che ora vengono ripubblicati, in un'epoca oggi segnata dalla globalizzazione e da flussi migratori di rilevanza mondiale, che ridanno piena attualità a questi scritti già fondamentali dal primo loro apparire. La prospettiva principale sotto la quale è esaminato il buddhismo è lontana tanto da pregiudizi negativi, quanto da irenismo o sincretismo. Convinto che l'uomo è un mistero a se stesso, e che il fenomeno universale del misticismo esprime l'agostiniana, inesauribile sete di Dio - inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te - l'Autore esplora le vette buddiche come un alpinista, attratto dalle vette delle varie religioni e filosofie, che però considera come "tante cime separate da abissi". Sempre vigile e attento nell'evitare "l'orgoglio europeo" denunciato da Camus, e la dipendenza dalle "teorie puramente occidentali" secondo l'ammonimento di Guénon, il Nostro c'introduce nel cuore del pensiero buddhista, traboccante di compassione e verità universali. La mistica buddhista e il suo intreccio filosofico ed etico vanno esaminati, ci raccomanda de Lubac, con il supporto di rigorose analisi storiche, filologiche e scientifiche, ponendo attenzione all'evoluzione plurimillenaria delle dottrine e al vario condizionamento geografico, culturale e sociale nel quale il buddhismo prende forma». (Dall'Introduzione di Pier Francesco Fumagalli alla Sezione sesta dell'Opera Omnia)
"Rosminianesimo filosofico" costituisce un autentico osservatorio di natura storico-teoretica, grazie al quale vengono mappate tutte le interpretazioni che nel corso del tempo sono state date del pensiero rosminiano. "Rosminianesimo filosofico", inoltre, pone in dialogo teoretico Rosmini con i più diversi pensatori di ogni tempo, ubbidendo a criteri ermeneutici di analisi critica, miranti a verificare, di volta in volta, il valore imprescindibile degli asserti di ciascun filosofo nel contesto specifico del loro porsi. In tal senso il background di ciascun pensatore e l'area tematica di appartenenza divengono, nel loro insieme, un luogo privilegiato di osservazione. I contributi presenti nel volume sono suddivisi in tre sezioni, dedicate rispettivamente alla storia del rosminianesimo filosofico, al confronto del pensiero rosminiano con i pensatori d'ogni tempo, e alle recensioni inerenti i volumi di area rosminiana, i quali, nel corso del tempo, hanno contribuito a generare filoni teoretici diversificati alla luce di un comune riferimento alla teoresi rosminiana.
A quasi trent'anni dalla scomparsa di Carlo Carretto, la vitalità del suo atteggiamento spirituale di fronte all'esistenza vissuta nella fede non ha subìto l'usura del tempo, perché attinge alla sostanza profonda, alla vita evangelica. Ma c'è di più: Carlo Carretto, come i profeti di ieri e di oggi, ha indicato realtà e dimensioni dello spirito che solo ora cominicano a diventare patrimonio comune. Il messaggio di "Fratel Carlo", contrassegnato dalla forte esperienza del "deserto", appare quanto mai vivo e ricco di prospettive. E il "deserto" mette a nudo la parola di Dio, fatta viva e riproposta in messaggio, che penetra nelle profondità dello spirito, diradando le ombre e le opacità del quotidiano; e si fa certezza; e placa le ansie del vivere. Leggendo il libro si ha come il senso di un augurio rinnovato di pace, che Carretto continua a prodigare.
Teresa di Lisieux ed Elisabetta di Digione hanno considerato l'atto della dedizione totale a Dio uno e trino come il modo più sublime ed efficace per impegnare la propria vita nella salvezza del mondo. Esse sanno bene che una simile vocazione porta al nascondimento, così come le radici affondano nel terreno oscuro. Ma, come von Balthasar mostra magistralmente, è proprio da questo nascondimento che la Chiesa trae nutrimento e forza per le proprie azioni. Sarebbe assurdo strappare le radici dal terreno «affinché anch'esse possano stare all'aria e al sole»; l'albero infatti seccherebbe subito. Teresa ed Elisabetta, unite in un'intuizione fondamentale, si trovano, pur in questa concordanza di vedute, animate da un'opposizione estremamente feconda per il cammino della Chiesa verso la salvezza. Il loro donare la vita alla realtà della fede, infatti, prende corpo nel 'fiat' incondizionato che i loro cuori pronunciano al richiamo della volontà divina, il loro abbandonarsi e lasciarsi condurre è ciò che von Balthasar indica quale esempio di totale adesione alla parola di Dio.