Dal ritrovamento di documenti inediti in italiano emerge la singolare vita di un frate tedesco, fervente patriota, morto ad Auschwitz per aver aiutato gli ebrei. Aniceto Koplin, cappuccino, autore di testi poetici e articoli scientifici, intesse in gioventù le lodi del soldato tedesco e del suo eroismo ed è un convinto sostenitore della potenza germanica e della funzione della guerra. Il suo patriottismo subisce però un notevole contraccolpo mentre si trova a Varsavia, la prima città europea occupata da Hitler. Cambia allora il suo cognome in Kopli?ski per solidarietà con la nazione polacca e dedica la maggior parte del suo tempo ai poveri. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, la capitale viene occupata dai tedeschi e viene istituito il ghetto. Padre Aniceto aiuta gli ebrei a nascondersi e fabbrica per loro certificati falsi. Il suo disprezzo nei confronti della Germania hitleriana diviene manifesto. Arrestato e condotto ad Auschwitz, vi troverà la morte. Viene beatificato nel 1999.
Dai giorni da studente a Parigi all'incontro decisivo con Ignazio di Loyola fino ai suoi viaggi come gesuita, la storia illuminante di Francesco Saverio - al secolo Francisco Xavier - è avventurosa come un romanzo: i primi tentativi frustrati di partire per Gerusalemme, la fondazione a Roma di un nuovo ordine, la Compagnia di Gesù; poi finalmente la benedizione della corte reale portoghese per il primo pellegrinaggio in India, raggiunta attraverso un terribile viaggio in nave approdato inizialmente sulle coste del Mozambico. Con la capacità narrativa che lo ha reso famoso in tutto il mondo, de Wohl ci trascina tra Goa, Malesia e Giappone lungo il percorso missionario di Francesco Saverio, che terminò la sua vita nella piccola isola cinese di Sancian. Una vicenda intensa, che sulle orme di una fervente passione religiosa racconta l'Oriente misterioso e affascinante del Cinquecento.
Ancora un libro di don Antonio Mazzi!?! Sì, ma questa volta è la sua autobiografia: finalmente si può capire cosa ha in quella testa così bacata da proporre idee e pensieri che fanno impazzire alcuni e incazzare altri, tanti altri. Soprattutto però mette a nudo il suo cuore, un cuore grande, così grande da riempirsi di tutte le debolezze, le fragilità, le schifezze che gli altri volentieri schivano o fanno finta di non vedere. «In questo libro non esiste la logica e, tanto meno, la continuità. Esiste la mia anima, perforata dalle vicende che la vita e il Padreterno mi hanno elargito con generosità. Un'anima che va avanti e indietro tra episodi, preghiere, riflessioni, dubbi, domande, gioie, tragedie. Ho raccontato perciò, alla mia maniera, la mia vita. Ripeto: non c'è logica, ma solo la mia anima sgangherata, la mia spiritualità grossolana, sparpagliata tra notti insonni, piccole vittorie, disfatte oceaniche e preghiere dislessiche. Perché in tutto questo ci sta il mio Dio. Non lo dico "mio" perché lo possiedo. Lo dico mio perché non so se sia anche quello degli altri, dei cosiddetti normali».
Il volume racconta la vita di Marianna Fontanella - la Beata Maria degli Angeli - , vissuta a Torino dal 1661 al 1717; monaca Carmelitana nel monastero torinese di Santa Cristina, ebbe doni straordinari e le vicende della sua vita si intrecciano con quelle di Casa Savoia. La biografia ripropone la sua testimonianza a quattro secoli dalla sua morte ed è arricchita da documenti inediti frutto della ricerca storiografica dell'autrice.
La figura di padre Matteo La Grua è centrale nell'ambito della lotta contro il diavolo, ma non solo: se lo stesso Amorth lo cita come uno dei sacerdoti con grandi doni carismatici in questo ambito, padre La Grua è stato anche molto di più. Padre spirituale dai doni di discernimento straordinari; figura di spicco nell'ambito del Rinnovamento nello Spirito; baluardo di testimonianza cristiana nella Palermo mafiosa... Il presente libro racconta la vita del francescano attraverso un'intervista che l'autrice stessa ha raccolto dalla sua viva voce, facendo rivivere con freschezza la sua figura. A cinque anni dalla morte, padre La Grua rimane uno dei punti di riferimento per ogni seria riflessione sul discernimento cristiano delle anime, che lui chiamava "cristoterapia" e che ancora oggi può venire in soccorso dei molti che, senza soluzione di continuità, continuano a invocarne presenza e vicinanza, come ai tempi in cui di lui si raccontava come aprisse la porta «a tutti, dalla duchessa di Aosta all'ultimo dei poveri del quartiere, persone con problemi di ordine fisico, che si accostavano alle preghiere di guarigione, ma anche con mali spirituali, bisognosi di un consiglio. Fino agli ultimi giorni di vita di padre Matteo (scomparso nel gennaio 2012 all'età di 97 anni) i fedeli hanno continuato a bussare incessantemente alla porta della piccola segreteria».
Provocatoria, stringente, inquietante, attualissima. Così può essere definita la lunga intervista rilasciata da don Benzi, qui ripresentata in occasione del decimo anniversario dalla sua morte. Provocatoria, sebbene don Benzi non abbia mai fatto polemiche sterili: il suo modo di eleggere la condivisione diretta della povertà e dell’emarginazione come regola di vita cristiana esprimeva infatti una radicalità evangelica di cui oggi si sente una grande nostalgia. Stringente, perché il suo sguardo vedeva chiaramente le responsabilità delle diffuse omissioni della nostra società e le elencava spietatamente e senza falsi pudori. Inquietante, perché scopriva e denunciava le debolezze di un cristianesimo di facciata. Attualissima, perché queste provocazioni e inquietudini sembrano profetiche in una società come la nostra, che rischia, più che mai, di dimenticare le proprie responsabilità di fronte alla sofferenza.
Don ORESTE BENZI, ordinato sacerdote nel 1949, all’inizio degli anni ’50 ha dato vita a un movimento educativo per adolescenti che aveva come obiettivo «un incontro simpatico con Cristo». Nel 1968, insieme a un gruppo di giovani
e ad alcuni sacerdoti, ha costituito il nucleo originario dell’Associazione Papa Giovanni XXIII. È in atto la sua causa di beatificazione.
Reso famoso dalla trasmissione televisiva Non è mai troppo tardi, che aiutò moltissimi italiani a prendere il diploma di scuola elementare, il maestro Alberto Manzi (1924-1997) ha sfidato l'analfabetismo anche dall'altra parte dell'oceano. Partito alla metà degli anni Cinquanta per studiare le formiche della foresta amazzonica, l'autore di Orzowei e di molti altri libri per ragazzi era rimasto colpito dalle condizioni di vita dei nativos e per oltre due decenni si era recato in Sudamerica, dove, con l'aiuto dei missionari salesiani aveva insegnato agli indios e li aveva aiutati a costituire cooperative agricole e piccole attività imprenditoriali. Accusato dalle autorità di essere un «guevarista» collegato ai ribelli, era stato imprigionato, torturato e dichiarato «non gradito». Aveva tuttavia continuato a recarsi clandestinamente in America Latina sino al 1984. Tre anni dopo venne invitato a collaborare al Piano nazionale di alfabetizzazione dell'Argentina, in seguito adottato in tutto il Sudamerica e premiato dall'Unesco.
Il beato Bertolo Longo, uomo di preghiera e di azione, fu tra quei cattolici che cercarono nella pietà, assieme all'ascesi dell'anima, il fermento capace di trasformare la città terrena. In anni in cui il dissidio tra Stato e Chiesa turbava le coscienze di ecclesiastici e di uomini politici sinceramente credenti, egli coniugò una incondizionata fedeltà alla Chiesa e al papa con la lealtà allo Stato italiano. Da queste pagine, scritte con severo rigore filologico, emerge un'immagine del fondatore del Santuario e della nuova Pompei del tutto inedita: quella di un protagonista della società e del cattolicesimo del suo tempo.
Il romanzo si compone di tre racconti ambientati in epoche diverse e che hanno protagonista Kino, p. Eusebio Francesco Chini (1645-1711), missionario gesuita. Il primo ci fa conoscere il difficile ambientamento di Kino presso le tribù dei Pima (area tra l’Arizona e Stato messicano di Sonora). Nel secondo, ambientato nel 1945, p. Kino soccorre un nativo Pima che partecipò alla conquista di Iwo Jima. Il terzo ha per protagonisti due giovani messicani di Puebla, che nel 2011 diventano migrantes clandestini in balia dei trafficanti. A soccorrerli giungerà un cowboy di Tucson (Arizona) animato dallo spirito missionario che risulta assai simile a quello che contraddistinse Padre Kino.
La cosa principale che stava più di tutto a cuore a Madre Clelia era l'unione con Gesù. Tutto il resto passava in secondo piano. Rimanere unita a Cristo, alla sua grazia, al suo amore, erano i fondamenti della sua esistenza. Grazie a questa stretta comunione con il Signore poté lottare contro il male fino alla fine dei suoi giorni. Ciò le permise di morire a se stessa perché altri avessero la vita, a cominciare dalla sua Congregazione per la quale tanto si spese. Il Signore accolse questa sua offerta e la utilizzò per accrescere e consolidare l'Istituto. Tutte le prove superate divennero così una purificazione che si accentuò negli ultimi anni della sua vita. Conservò però sempre la serenità interiore, la carità e l'affetto anche per chi la avversava. Dando grande esempio di fortezza, perseveranza e filiale abbandono in Dio. Affidiamoci perciò a Madre Clelia, quale guida sicura verso la santità, perché con la sua offerta quotidiana ha saputo veramente diventare discepola di Cristo.
Scrivere un'autobiografia quando si è ancora giovani come Ciprian Lupu potrebbe sembrare pretenzioso, ma non lo è se la vita che si dipana nelle pagine del libro è stata tormentata, rocambolesca, segnata dalla violenza e coronata dal riscatto come quella di questo giovane dai capelli biondi e l'animo gentile. La sua è la storia di un uomo a cui il destino non ha regalato niente, ma che ha saputo conquistare con il coraggio e un'indomita forza di volontà ogni briciola di felicità che ora sta assaporando. Il dolore, la solitudine, la violenza quotidiana, l'abbandono, la fuga, il successo personale, l'amore, la morte... sono questi gli ingredienti della storia di Ciprian. Più uno, probabilmente quello che ha fatto la differenza: la capacità di non arrendersi mai. Leggere la sua autobiografia significa immergersi in una realtà altra, lontana anni luce dall'esperienza quotidiana della maggioranza della gente, significa iniziare un lungo viaggio insieme a lui, alla fine del quale, forse, sapremo guardare alle nostre difficoltà con più leggerezza ed essere grati per ciò che abbiamo, invece che amareggiati per quello che ci manca.
24 marzo 2013. Domenica delle Palme. Nella solennità della sua prima omelia, papa Francesco non pronuncia parole tratte da un raffinato discorso teologico, né citazioni di un dottore della Chiesa. Con tutta la commozione del momento afferma: «Ho ricevuto il primo annuncio cristiano da una donna: mia nonna! È bellissimo questo: il primo annuncio in casa, con la famiglia!» La figura di nonna Rosa è stata quella che più di tutte ha avuto influenza nella vita di papa Bergoglio. Una donna fortissima, che ha attraversato infinite avversità, sempre sostenuta da una fede incrollabile e dalla convinzione che «fare del bene è il miglior modo per sentirsi davvero bene». Incontriamo Rosa la Luchadora una mattina, l'ultima della sua vita, sotto al cielo plumbeo di Buenos Aires. Siamo lì per raccogliere il suo addio e seguire, lungo il sentiero dei suoi ricordi, la storia di un'esistenza che ha attraversato due secoli e l'oceano, ed è stata testimone di incredibili accadimenti. Luci, tenebre e colpi di scena come nel copione di un film. La verità storica, accuratamente cercata, si mischia in questo romanzo al filo di un racconto che riannoda tante vite, tante speranze, tante illusioni. Tutti quei sogni, inseguiti con il rischio dell'estremo pericolo da uomini e donne che, in ogni tempo, non si sono rassegnati, aspirando con un'eterna partenza a un futuro migliore.