Non esiste libertà senza ordine. Questo libro presenta, attraverso una rassegna di articoli e aforismi, il pensiero di Gustave Thibon, definito "filosofo-contadino". SI tratta di testi pensati e scritti per il grande pubblico che traggono ispirazione da fatti di attualità o da conversazioni di vita quotidiana e che evidenziano la necessità di rimettere al centro di tutto Dio e un ordine del Creato autenticamente vivo, principi messi in crisi dall'odio rivoluzionario. Solo così l'umanità dispersa e smarrita potrà recuperare il senso autentico della libertà, dell'individuo e della società.
Il volume, che raccoglie i contributi presentati in occasione del 'Convegno di Ontologia Trinitaria' tenutosi presso l'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano nei giorni 28-30 aprile 2015, intende in primo luogo ricostruire il concetto di Dio-Trinità quale si è formato ed è evoluto nell'àmbito della storia del pensiero europeo, in particolare nell'antichità cristiana, con uno sguardo anche alle riflessioni medievale e moderna. Si cerca anche di prendere in esame i diversi linguaggi e le diverse logiche con cui, di volta in volta nelle diverse epoche della cristianità, il mistero trinitario è stato detto e concepito. Il saggio propone un ampio percorso in cui vengono alla luce e sono confrontati i tentativi dei più grandi teologi e filosofi europei di pensare la Trinità, nelle letture di autorevoli interpreti italiani.
L'attacco alla sessualità, nei suoi generi maschile e femminile, rappresenta oggi il più sconcertante tentativo di manipolazione dell'essere umano mai realizzato nella storia. Promossa grazie all'imponente contributo economico e politico delle più potenti lobby dell'Occidente, questa vera e propria "mutazione antropologica" viene oggi imposta attraverso i media, la cultura, lo spettacolo e le legislazioni. Gli autori ricostruiscono le tappe di questo processo senza precedenti toccando temi scomodi e drammaticamente attuali: dall'omosessualismo alla distruzione delle "identità sessuali"; dai "nuovi modelli familiari" allo sdoganamento della pedofilia; dagli uteri "in affitto" al transumanesimo; dalle nuove legislazioni imposte alla repressione del dissenso. Un viaggio inquietante nei meandri dell'ideologia di genere: l'ultima frontiera della manipolazione di massa nel mondo contemporaneo.
La metafora del "nodo" - ciò che intreccia, s'intreccia, lega ma anche può soffocare - può render conto di ciò che la vita è innanzitutto per ciascuno di noi. E l'uso della metafora al plurale cerca di dare un nome a queste possibilità - e scacchi - in cui si declina l'esistenza. I capitoli, nel loro articolarsi, disegnano una fenomenologia della vita tra il vissuto quotidiano e le parole della filosofia: corpo, amore, eros, dolore, virtù, felicità, dignità e rispetto, speranza, destino, Dio. Parole che gli uomini nella storia hanno sempre cercato - e anche trovato - per orientarsi nel mondo.
Ogni generazione condivide il destino del proprio tempo, recupera il passato e si proietta nel futuro. La morte implica la trasmissione dei beni materiali da una generazione all'altra, ma quanto si riceve in eredità non sono soltanto cose: un intero mondo di simboli e principi si perpetua e si trasforma in questo passaggio secondo la prevalente logica del dono e della restituzione. Se in una delle canoniche divisioni della vita umana - quella tripartita in giovinezza, maturità e vecchiaia - la preferenza era data alla maturità, simbolo di pienezza e culmine dello sviluppo dell'individuo, oggi la gioventù e la vecchiaia si dilatano e la maturità si restringe. I giovani tendono a rimanere più a lungo a casa, i vecchi cercano una seconda giovinezza e restano spesso produttivi dopo il pensionamento. Anche per effetto della crisi del welfare state muta pertanto la trama dell'esistenza individuale e dei rapporti di solidarietà tra le diverse età della vita. Si indeboliscono, in particolare, i legami sociali e la fiducia tra le generazioni. Si potrà introdurre tra loro un nuovo, più equo e lungimirante patto? Quali saranno le modalità di restituzione di risorse materiali e immateriali - cose, sicurezza, affetti, autonomia - alle giovani generazioni?
Pubblicato a Roma nel 1535, il "Democrates" di Sepulveda ha ispirato la rinascita dello stoicismo moderno. Testo polemico rivolto contro Erasmo e Machiavelli, il dialogo rispose alle inquietudini del tempo trattando del problema della guerra e della sua legittimità morale per i cristiani. Si poteva esercitare serenamente il mestiere delle armi tenendo conto dei precetti del Vangelo? Si poteva accordare l'etica antica e mondana della gloria con quella della pietà? Richiamandosi a Cicerone e ad Aristotele, Sepulveda respinse il pacifismo erasmiano, esaltò la potenza spagnola e replicò alle pagine corrosive di Machiavelli sul rapporto tra cristianesimo, decadenza politica e virtù militare. Il "Democrates", inoltre, costituì il primo momento in cui Sepulveda elaborò una dottrina della guerra umanitaria che servì come base per la legittimazione dell'imperialismo coloniale europeo.
I "Quaderni neri" presentano una forma che, secondo le sue caratteristiche, risulta oltremodo singolare non solo per Heidegger, bensì in generale per la filosofia del XX secolo. Tra i generi testuali di cui solitamente si fa uso i Quaderni sarebbero anzitutto da paragonare a quello del "diario filosofico". In essi gli eventi del tempo vengono sottoposti a considerazioni critiche e messi continuamente in relazione con la "storia dell'Essere". Il presente testo è il primo dei tre volumi in cui saranno pubblicate le "Riflessioni". Il primo quaderno di questo volume incomincia nell'autunno del 1931, l'ultimo, con le "Riflessioni VI," si conclude nel giugno del 1938. Le "Riflessioni" non corrispondono ad "aforismi" da intendersi come "massime di saggezza". Ciò che è "decisivo non è", "che cosa si rappresenti e che cosa venga riunito a formare una costruzione rappresentativa", "bensì solo come si ponga la domanda e assolutamente il fatto che si domandi dell'essere". Dal "tentativo" di Heidegger di riconoscere la "storia dell'Essere" nei suoi segni quotidiani nasce un manoscritto che, dall'inizio degli anni trenta fino all'inizio degli anni settanta, interpreta anche i due decenni più oscuri della storia tedesca e l'eco che ne seguì.
Anthony Collins (1676-1729), illuminista radicale e personaggio chiave dei Free-thinkers inglesi, con A Philosophical Inquiry concerning Human Liberty (1717) dà una collocazione sistematica al determinismo che già filtrava dai suoi scritti precedenti. L’opera ha un carattere dinamico e coerente, che fa il punto delle principali linee guida della posizione determinista, costituendo un vero e proprio “trattatello” sul tema. La linearità di queste dimostrazioni non è però innocua: il determinismo collinsiano, con la sua dominante componente materialistica, è in grado di scardinare il sistema della filosofia tradizionale e, cosa ancor più importante, di proporne una valida ed efficace alternativa. Jacopo Agnesina Ph.D, si è dedicato allo studio dell’Illuminismo radicale. Riguardo il pensiero di Anthony Collins ha pubblicato articoli su riviste italiane e internazionali. Di prossima uscita, per l’editore parigino Honoré Champion, una monografia dal titolo The Philosophy of Anthony Collins: Free-thought and Atheism.
Molto tempo prima che venisse coniato il semplicistico termine di «globalizzazione», Carl Schmitt aveva visto, con lucidità profetica, come «l'universalismo dell'egemonia anglo-americana» fosse destinato a cancellare ogni distinzione e pluralità spaziale in un «mondo unitario» totalmente amministrato dalla tecnica e dalle strategie economiche transnazionali, e soggetto a una sorta di «polizia internazionale». Un mondo spazialmente neutro, senza partizioni e senza contrasti – dunque senza politica. Per Schmitt non il migliore, ma il peggiore dei mondi possibili, sradicato dai suoi fondamenti tellurici. Fedele alla justissima tellus, Schmitt persegue invece l'idea che non possa esservi Ordnung (ordinamento) mondiale senza Ortung (localizzazione), cioè senza un'adeguata, differenziata suddivisione dello spazio terrestre. Una suddivisione che superi però l'angustia territoriale dei vecchi Stati nazionali chiusi, per approdare al «principio dei grandi spazi»: l'unico in grado di creare un nuovo jus gentium, al cui centro ideale dovrebbe tornare a porsi l'antica terra d'Europa, autentico katechon di fronte all'Anticristo dell'uniformazione planetaria nel segno di un unico «signore del mondo». Certo è che la prospettiva di Schmitt, già delineata ottant'anni fa, appare oggi più attuale che mai, e il suo pensiero si conferma come essenziale per la lettura della nostra epoca. Lo testimonia eloquentemente questa ampia raccolta di saggi, che, scritti nell'arco di un cinquantennio – da Il concetto del politico (1927) a La rivoluzione legale mondiale (1978) –, compongono una vera e propria summa della sua speculazione sulla politica e il diritto internazionale.
La nostra epoca ha profondamente bisogno di una rinnovata filosofia dei valori. Non di una retorica sui valori, che associa la nozione di valore a quelle di tradizione, passato, memoria, religione o ideologia. C'è bisogno di pensiero vivo che faccia luce su un dato essenziale della nostra esperienza: i valori, come li incontriamo, attraverso la gamma della nostra vita emotiva e affettiva nei beni e nei mali di cui son fatte le nostre giornate, con le nostre decisioni, i comportamenti privati e pubblici. La filosofia, nata con Socrate per tradurre questa esperienza viva in conosenza vera, ha dato le dimissioni da questo suo compito. Eppure la sua anima migliore si era trasferita nel corpo di documenti e istituzioni che hanno cambiato la storia del mondo: dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo fino al sogno ragionevole di un'Europa unita in pace, libertà e giustizia. Ma dove lo spirito le abbandona, le istituzioni umane vanno in rovina. Questo libro interroga tutti noi, educatori e ricercatori, sulle cause di questo male dilagante. E conduce i llettore sulle tracce di una nuova cognizione del valore.
Le note diaristiche tracciate da Simone Weil su un quaderno nei mesi della sua esperienza come operaia tra 1934 e 1935 non erano certo destinate alla pubblicazione. Edite postume nel 1951, fecero da premessa a una raccolta di saggi e lettere sulla condizione operaia, rendendo così evidente la connessione fra un'esperienza di vita tanto anomala e la serie cospicua di analisi, riflessioni e proposte operative parimenti fuori schema per rivoluzionari e conservatori. Tale scelta ha tuttavia condizionato la lettura del Diario di fabbrica, riducendolo a pura registrazione del vissuto dell'autrice o a mero documento sull'oppressione subita dagli operai, e ne ha intralciato la percezione come opera narrativa di straordinario valore artistico per forma e contenuti, a condizione che lo si legga a s~ stante. Questo è per l'appunto l'intento con cui lo si ripropone in una nuova traduzione basata sull'edizione critica delle Oeuvres complètes, arricchita da un apparato di note che fa luce sul contesto storico e sulle procedure di lavoro nell'industria dei primi decenni del XX secolo.
«Che cosa ho guadagnato in questa esperienza? [...1 Un contatto diretto con la vita...».
«Se scrivessi un romanzo, farei qualcosa di totalmente nuovo».
Simone Igéil
I contributi di questa raccolta nascono dalla necessità e dal desiderio di cogliere i varchi e i rimedi offerti dal pensiero estetico, politico, spirituale di Simone Weil di fronte ai mali che stanno alla base della nostra convivenza.
Attraverso le letture della città che le autrici e gli autori danni, sotto diverse angolazioni, pur ispirandosi tutti in misura minore o maggiore all'opera di Simone Weil, si mette in rilievo il processo di lenta fermentazione delle sue nozioni di bellezza, di giustizia, di bene nei diversi ambiti del pensare e del vivere.
La sfida che essi lanciano riguarda una questione ineludibile: è possibile recepire i modi creativi di abitare la vita e di abitare la storia, porre al centro dell'attenzione le relazioni umane, dare spazio alle interazioni costruttive presenti all'interno delle comunità?
In altre parole, è possibile scardinare il sistema di pensiero, gli assetti mentali, le posture aderenti alla logica del potere e del prestigio sociale, così da ripensare ex novo la città, «un ambiente umano del quale non si ha maggior coscienza che dell'aria che si respira»?