Nei primi otto versetti del libro dell'Apocalisse per ben tre volte si fa riferimento al tema della venuta. Già i classici greci e latini insegnavano che ogni buon autore annuncia all'inizio ciò che poi svilupperà nel corso della sua opera e che in prologo ed epilogo avviene un vero e proprio scambio diretto di messaggi e di avvertenze tra autore e lettore. Con i primi otto versetti e, quindi, anche in Apocalisse 1,7 l'autore stringe una sorta di «patto narrativo» con chi inizia a leggere affinché non vada fuori strada nell'interpretazione. Questo libro propone per la prima volta un'analisi completa e sistematica di Apocalisse 1,7 in tutte le sue sfaccettature: collocazione, struttura, composizione, testi e contesti cui si fa allusione, rimandi tematici a paralleli sparsi nel libro. La conclusione mette in evidenza anzitutto la grande inclusione cui l'autore dà vita prima collocando l'annuncio della venuta del Trafitto in apertura del libro, e poi mettendo sulle labbra di lui, alla prima persona, la promessa che ciò avverrà sollecitamente: «Ecco, io vengo presto!». In secondo luogo, un po' a sorpresa, quella conclusione mostra come l'Apocalisse, con la sua ricchissima Cristo-logia, sia in realtà basata sulla Teo-logia e ad essa orientata.
L'apporto di James Dunn alla ricerca biblica difficilmente potrebbe essere sovrastimato, in particolare per il contributo da lui fornito alla liberazione della chiesa e delle chiese da una concezione del vangelo predicato da Paolo inteso in chiave eminentemente antigiudaica. Questa nuova opera, rivolta a un pubblico più generale, tratta dell'autorità della Scrittura come parola viva, la parola di Dio come veniva ascoltata nel cristianesimo delle origini e la parola di cui si nutre oggi il credente mosso dalla fede. Dunn mostra come «fede» partecipi del linguaggio della relazione e come sue compagne siano la fiducia, il convincimento, la rassicurazione - pur nell'incertezza. In un contesto simile l'autorità della Scrittura non è da intendersi nel senso che «ciò che la Bibbia dice, lo dice Dio», come vorrebbe un'idea di inerranza che poco ha a che vedere con la Scrittura stessa, ma che per essere compresi in modo adeguato gli scritti biblici richiedono d'essere di volta in volta riferiti alla situazione storica originaria così come a quella di chi oggi li legge.
La sapienza biblica è incomprensibile se non viene considerata nell'ampio contesto culturale del Medio Oriente. Essa, infatti, rappresenta lo specifico contributo d'Israele a una corrente di pensiero prodotta nella vasta area geografica compresa tra l'Egitto e la Mesopotamia. La civiltà egiziana, di quasi due millenni precedente l'Israele biblico, ha avuto grande influenza nella letteratura sapienziale biblica (soprattutto nel libro dei Proverbi e del Qoèlet) in cui si riscontrano echi sia delle Istruzioni composte e trasmesse presso le corti faraoniche, sia delle Lamentazioni, genere largamente utilizzato per affrontare i temi della caducità della vita o per la denuncia delle ingiustizie sociali. Sumeri, assiri e babilonesi, attraverso le loro avanzate strutture educative, furono i trasmettitori di una grande tradizione sapienziale - da rintracciare nei miti che raccontano l'origine del cosmo e dell'uomo - a cui Israele ha attinto a piene mani, soprattutto durante il periodo esilico, per esempio l'Epopea di Gilgamesh, di grande importanza per comprendere i racconti biblici delle origini dell'universo e del diluvio. Nel pensiero ebraico la sapienza ha sempre costituito il luogo «laico» di speculazione filosofica sui problemi dell'uomo e sulle circostanze concrete della vita: il dolore, l'insuccesso, il lavoro, la sfortuna, la morte. Davanti a tutto ciò i saggi propongono atteggiamenti da acquisire, strade da percorrere, scelte da abbracciare, stili di vita che siano propri dell'uomo credente. A tutto ciò essi giungono con lo stupore e la meraviglia di chi si china davanti al mistero divino, praticando il timore di Dio che essi non esitano a definire «radice della sapienza».
Riportare Giovanni sulla terra: è quanto si cerca di fare con questo libro, invitando il lettore a entrare in un testo nato per alcune comunità rimaste fedeli alla tradizione del discepolo che Gesù amava, voluto dalla chiesa per tutti i credenti e riconosciuto come patrimonio universale dalla successiva storia del pensiero. Come ogni altro strumento simile, anche questa Guida al vangelo di Giovanni persegue una ben precisa finalità: essere in qualche modo utile a entrare nel testo del quarto vangelo rispettandone l'originalità e riconoscendone il carattere teologico. Entrare nel quarto vangelo significa anche familiarizzare con studiosi che, sia pure molto diversi tra loro per estrazione culturale e per formazione scientifica, hanno intessuto intorno a questo scritto una trama investigativa fatta di questioni e di problemi, di ricerca e di tentativi di soluzione. Depositato nell'alveo della tradizione come lievito che fa fermentare la massa, il vangelo di Giovanni continua del resto a interpellare tutti quelli che, pur non avendo visto, vogliono credere. Un vangelo che, da quasi duemila anni, non finisce di appassionare gli studiosi per la sua problematicità e di interpellare i credenti con la sua intensità.
C'è una strada che indirizza verso il segreto stupefacente di Dio e della sua misericordia, un'apertura attraverso cui si può accedere alla pienezza della vita. È l'ascolto meditato della Parola, dentro la cui ricchezza si rivela nitidamente l'itinerario che conduce al Verbo incarnato, vera "porta stretta" che dà accesso al mistero di Dio e, svelandone l'infinita misericordia, fa da guida e modello all'azione caritativa dei credenti. Pietro Bovati, una delle voci più autorevoli nel campo dell'esegesi biblica, propone qui una serie di riflessioni, spiegazioni e attualizzazioni del testo biblico, affinché l'ascolto della Paola diventi davvero una porta spalancata verso una vita di amore. Vengono analizzati in questa prospettiva sette brani della Scrittura: tre dell'Antico Testamento, che illustrano la misericordia eterna del Signore, la sua predilezione per gli umili e i più piccoli, la larghezza del suo perdono; quattro provenienti dal Nuovo Testamento, che aiutano a mettere a fuoco la pratica misericordiosa di Gesù, dal suo modo pieno di bontà e attenzione di insegnare al modello per eccellenza di cura dell'altro incarnato dal Buon Samaritano, dall'accoglienza amorevole dei piccoli alle indicazioni agli apostoli sul modo in cui devono porsi nei confronti dei più deboli e dei lontani. Un vero e proprio esercizio di preghiera meditativa, capace di far risuonare "la voce del silenzio celeste, più eloquente e consolante di tutte le sonorità della terra" e di suscitare il desiderio di rispondere all'infinita tenerezza di Dio facendo dell'agire buono lo stile della nostra vita.
Il volume si propone di introdurre il lettore al tema meraviglioso e difficile dell'interpretazione del testo sacro di ebrei e cristiani, la Bibbia, per quanto riguarda l'amore (eros), sotto il profilo della simbolica della parola e della parola come simbolo dei fondamenti. L'ermeneutica è un'arte antica, quasi come la scrittura. Se ne può trattare da diverse angolature: in questo caso il tentativo è quello di una comparazione tramite accostamento che scavalca oltre un millennio e mezzo, per cercare di trovare - se vi sono - dei minimi comuni denominatori nell'ars interpretandi di autori assai distanti nel tempo e nello spazio: Origene, l'esegeta alessandrino vissuto a cavallo fra il II il III secolo, e il nostro contemporaneo Paul Ricoeur, senza trascurare qualche accenno ai primordi dell'ermeneutica greca classica e alcuni dei maggiori rappresentanti della corrente omonima della filosofia moderna e contemporanea. Un "avvicinamento", una sorta di parziale "lettura in sinossi" di impostazioni distanti fra loro circa diciassette secoli, e, sotto certi profili, così reciprocamente capaci quasi di echeggiarsi, evocarsi. La grande lezione origeniana ci ha condotto, e ci conduce ancora, sulle piste insospettabili, per alcuni, di una sostanziale unità della dimensione erotica nell'umano, capace di rendere plausibile una sorta di Teologia dell'Eros, senz'altro insolita come fecalizzazione, e forse per taluni perfino scandalosa, ma certamente utile in questi tempi disarmonici e tristi, a recuperare qualche barbaglio di bellezza. La scomposizione del tema erotico nei mille rivoli della sua complessità e contraddizioni, ci ha forse permesso di trovarne l'intrinseca formidabile e possente unitarietà alla luce delle scritture antiche.
Religioso francescano cappuccino, docente emerito di esegesi del Nuovo Testamento, autore notissimo, conduttore a Radio Maria, direttore spirituale e predicatore per numerosi istituti religiosi femminili, in questo ultimo libro P. Ubaldo coglie la centralità del messaggio cristiano nella vita del credente: la semplicità della fede, una vita autentica. È il ritorno al semplice, tanto auspicato anche da papa Francesco. Un testo profondo e molto scorrevole, dalla penna brillante di P. Ubaldo un libro davvero per tutti coloro che vogliono camminare verso Gesù con lo sguardo di bambini.
Ormai quasi al termine del suo ministero apostolico, Paolo si trova a Roma, la sua vita sembra giungere alla fine ed è convinto di non aver ancora raggiunto la perfezione verso la quale è proteso come un atleta. La mèta finale della sua esistenza, e di quella dei credenti, si trova lassù, nei cieli, dove e quando tutto sarà «trasformato». Per questo motivo l'Apostolo può essere considerato un «atleta incatenato» che lotta con e per il Vangelo, al fine di diventare un «campione celeste» e ottenere il «premio celeste». Il linguaggio agonistico sportivo e quello escatologico mostrano come nell'orizzonte del pensiero escatologico paolino l'intreccio delle varie dimensioni (temporale/spaziale, individuale/collettiva e statica/dinamica) faccia affiorare un quadro del tutto particolare nella corrispondenza con i Filippesi. Il linguaggio dell'Apostolo in rapporto all'escatologia risulta ricco, complesso e variato e come tale non presenta un'unica prospettiva o dimensione escatologica, ma cerca sempre il modo migliore per esprimere ai suoi destinatari il mistero della vita in Cristo. I cambiamenti linguistici fanno percepire un'evoluzione nella comprensione di Paolo in relazione a ciò che riguarda le cose ultime. In altre parole, l'orizzonte escatologico della Lettera ai Filippesi non esprime tanto una concezione nuova degli «éschata» (presenti altrove nell'epistolario paolino), quanto il modo nuovo con cui l'Apostolo riesce a parlare in forma «dicibile» delle cose «indicibili».
I seguaci di Gesù Cristo devono essere diversi, afferma John Stott; lo devono essere nei confronti di coloro che portano solamente il nome di cristiani (cristiani nominali); lo devono essere nei confronti del mondo secolare. I cristiani devono distinguersi dalla gente semplicemente religiosa e da chi è contro la religione.
Il Sermone sul monte è la delineazione più completa che troviamo nel Nuovo Testamento di una vera e propria contro cultura cristiana che dovrebbe contraddistinguere i discepoli di Gesù Cristo.
Rivista dell'associazione biblica italiana.
Anno LXIV
Nn. 3-4
Sacrifici umani e divinità: un tema presente nella letteratura del vicino Oriente antico, ma rifiutato dalla Bibbia. Eppure c'è il caso unico della figlia di Iefte offerta al Signore in cambio della vittoria del padre sugli Ammoniti. Possibile che il Signore accetti un così cruento atto oltretutto richiesto da parte di chi vuole ottenere un successo personale? L'episodio ha quindi dell'assurdo e Iefte risulta essere un "mostro". L'autrice ha studiato a fondo il "voto di Iefte" (Gdc 11,29-40) e, attraverso l'uso del metodo storico critico, l'analisi esegetica, l'esame della casistica del lessico e il confronto con i commentatori giudei e cristiani delle varie epoche, ha ricavato una lettura originale di questa che fino ad ora è stata considerata una delle pagine oscure della Bibbia. La figlia di Iefte infatti non è stata sacrificata secondo la prassi delle popolazioni coeve a Israele, ma è stata offerta al Signore. Anzi, lei stessa è protagonista attiva di questa offerta perché, dopo la struggente esitazione del padre, è proprio lei a voler espletare il voto fatto al Signore. La sua vita è stata dunque una "consumazione" davanti al Signore perché Iefte aveva specificato nel suo voto che la vittima sarebbe stata per il Signore (sarà per il Signore). Si deduce allora che la figlia di Iefte è una sorta di patrona di tanti uomini e donne che fanno della loro vita un'offerta che si consuma davanti agli altri e al Signore.
Si vuole individuare nella Bibbia la portata del valore del nome, cioè che cosa implica nel testo sacro il significato e la portata della denominazione data alle realtà umane, da parte dall'uomo, e, in qualche modo, da dio stesso.