A metà del volume "La prigioniera" un episodio interrompe il flusso narrativo proustiano: è la storia della morte di Bergotte. Il vecchio scrittore, desideroso di rivedere un quadro molto amato, la "Veduta di Delft" di Jan Vermeer, è colpito da apoplessia davanti al dipinto. Prima di morire ha però il tempo di confrontare la propria arte con quella del grande pittore olandese e di ammirare in particolare un "muretto giallo" raffigurato con "preziosità cinese". Ma qual è, nel quadro di Vermeer, il famoso muretto? Nell'inseguire la soluzione, forse impossibile, di questo enigma, Lorenzo Renzi offre una visione personale dell'opera proustiana illustrando nel contempo la propria concezione del compito della critica letteraria.
"Questo libro di Giovanni Fighera entra nel vivo della crisi della modernità, e analizza i fondamenti che l'hanno prodotta e che tuttora ne producono gli sviluppi in modo veramente impressionante": la libertà sciolta dai valori e dalla verità, la parcellizzazione del sapere, il relativismo, l'ideologia scientistico-tecnicistica. "Fighera si fonda soprattutto su testi di poeti e di letterati, che dimostra di conoscere molto bene, citando in modo puntuale molti loro passi particolarmente significativi". Così si esprime Giovanni Reale nella Prefazione, mentre Gianfranco Lauretano nell'Invito alla lettura soggiunge che attraverso un documentato percorso storico (dall'antichità alla contemporaneità) si delinea la "questione che l'autore ritiene fondamentale: senza il Mistero, il mondo è più piccolo e assurdo, soprattutto la parte più interessante del mondo, cioè l'io, la persona". L'uomo, come dimostra la sua storia, soprattutto in questa età post-moderna, non è autosufficiente, non è in grado di salvarsi da solo. Bisogna fondare un nuovo umanesimo, che per Fighera deve riscoprire Dio e riappropriarsi della legge morale universale guardando di nuovo alla ragione umana non più intesa in modo riduttivo. "Questo Tu che ha creato il mondo apre le porte all'amore, vero fulcro della conoscenza, e all'appartenenza a esso, per cui la solitudine che contraddistingue i contemporanei è sconfitta con l'adesione e l'appartenenza alla Verità."
La vita e gli scritti, usciti su "Il Foglio", in una biografia letteraria a puntate, del "convertito più riluttante di tutta l'Inghilterra", l'amico di J. R. R. Tolkien che con le sue lezioni ha cambiato Oxford e Cambridge, con le sue fiabe e romanzi ha incantato il mondo: la storia del creatore di "Narnia" che ci ha fatto sbirciare tra le lettere del diavolo e viaggiare nel cosmo, il pagano innamorato di Cristo che, tra una conferenza ed una passeggiata, non ha mai smesso di leggere, bere, ridere e fumare, pronto a combattere contro ogni possibile "abolizione dell'uomo" e ad ispirare Borges, Auden e Benedetto XVI. Con brani e testimonianze mai pubblicati sinora in Italia.
Il percorso del desiderio non è affatto rettilineo: imbocca tangenti, disegna triangoli, si avvita in circoli viziosi. La coquette, il masochista, il seduttore, tutti si lasciano coinvolgere in un balletto affascinante la cui coreografia sfugge loro. René Girard rilegge alla luce di questa fondamentale intuizione i personaggi della letteratura, mostrando che i più grandi scrittori sono dei "geometri del desiderio". In Dante (Paolo e Francesca), Shakespeare (Giulietta e Romeo) e altri, il gioco dell'amore ubbidisce alle leggi implacabili del desiderio mimetico, secondo le quali c'è un terzo termine nell'equazione amorosa: il modello che l'amante segue, che tenta di imitare e che rende desiderabile l'oggetto del suo desiderio. Un nuovo straordinario tassello che Girard aggiunge alla sua analisi dell'amore nella letteratura e nella storia dell'Occidente.
"L'autrice possiede la maestria e la grazia della più autentica critica e saggistica letteraria, la simbiosi di acribia filologica attenta al minimo e di visione all'ingrande della vita e della storia". Così Claudio Magris introduce ai dodici serrati e ariosi capitoli sul tema dello specchio che l'autrice presenta in questa opera, in un percorso che si snoda fra Dante, Foscolo, Pirandello, Svevo, Montale, Piccolo, Luzi, Vassalli e altri ancora... Sempre Magris: "Indagare sullo specchio nella letteratura diviene così un modo di entrare nel cuore del labirinto umano, nelle contraddizioni degli uomini, che vogliono afferrare ma anche occultare e occultarsi la verità e la realtà, fissare direttamente il sole abbagliante e insostenibile e insieme distogliere lo sguardo dalla sua luce. Questo saggio di Giovanna Ioli diviene così attraverso una puntuale analisi che non concede nulla a divagazioni poetizzanti né a tentazioni di discorsi generici sui massimi sistemi - un viaggio avventuroso, ulissiaco eppur lieve, nei meandri della vita lacerata tra finitezza e desiderio di eternità, nei grovigli del significato e dell'insignificanza del vivere, nelle contraddizioni della parola sospesa tra verità e fallimento. Leggendo questo libro, si capisce, si sente concretamente come la letteratura e il suo studio siano, nella misura donata ai grandi e in quella minima e manchevole di tutti noi altri, una Commedia dantesca, un viaggio attraverso i tre regni".
Che cosa si intende dire quando si parla della comparatistica come "pensiero mobile sulla letteratura" e "disciplina dei passaggi"? Quali campi interessa? Il libro ripercorre storia e metodi della letteratura comparata dalle origini sette-ottocentesche agli orientamenti degli ultimi decenni, e descrive gli ambiti fondamentali nei quali la disciplina si muove (i rapporti letterari, la letteratura generale, letteratura e "altro"). La descrizione dei campi e delle relative questioni si sofferma su esempi significativi di studio letterario comparato.
Foscolo, Leopardi, Manzoni, Verga e Carducci, Baudelaire e gli Scapigliati, D'Annunzio e Wilde, Pascoli, Pirandello, Ungaretti, Montale, Pavese e Calvino: insomma, tutto il "canone" dell'Ottocento e del Novecento. Uomini che hanno conosciuto e attraversato la frantumazione dell'io, ovvero il dramma dell'umanesimo ateo. Quasi tutti hanno dato voce alla domanda di assoluto, in pagine celebri e più spesso in pagine sconosciute che Filippetti ha scovato e che qui propone e commenta. Quasi tutti prima o poi hanno fatto i conti con l'ipotesi della rivelazione cristiana. Con non poche sorprese.
Fra le tragedie shakespeariane, "Amleto" è una delle più misteriose e ambigue; per intenderne il senso, sostiene Carl Schmitt in questo piccolo saggio magistrale, occorre far riferimento a un nucleo di eventi storici di cui Shakespeare fu spettatore, in particolare alla vicenda di Maria Stuarda e di Giacomo I, successore di Elisabetta I al trono d'Inghilterra. Ma a Schmitt non interessa tanto identificare questi con i personaggi di Amleto e della madre Gertrude, quanto vedere come la politica lasci la propria impronta sulle più alte manifestazioni espressive di un'epoca: il genio di Shakespeare sta nell'aver riconosciuto l'elemento politicamente tragico del suo tempo (il destino degli Stuart e la nascita dello Stato moderno) e nell'averne conservato, all'interno del dramma, l'essenza concreta e vitale. Presentazione di Carlo Galli.
La prima parte del libro corre lungo il filo della modernità all'insegna di Callimaco "moderno" tra i classici. La seconda parte è dedicata a una serie di antichisti italiani a partire dalla fine del XVIII secolo. Seguono vicende della filologia, della papirologia e dell'archeologia britannica nella grande èra che va dal regno di Vittoria al secondo dopoguerra. Wilamowitz e la sua eredità sono al centro del volume, mentre in chiusura sono commentate alcune istantanee recuperate dalla belle époque degli studi classici. In biblioteche inglesi e tedesche l'autore ha potuto esaminare nuovi documenti relativi alla storia dell'antichistica. Di molti sono qui forniti gli estremi per la prima volta. Altri sono pubblicati per esteso: come una lettera indirizzata da Wilamowitz al papirologo inglese A.S. Hunt allo scoppio della Prima guerra mondiale, o le memorie in precedenza inedite del grecista oxoniense J.U. Powell, editore dei frammenti dei poeti ellenistici.
Clemente Rebora (1885-1957) in reazione al materialismo cercò una forma poetica carica di idealismo, che potesse rinnovare l'anima. Tuttavia sarà solo con l'esperienza della Prima Guerra mondiale che Rebora approdò a un vero rinnovamento interiore: la conversione al cattolicesimo e la decisione di diventare sacerdote e entrare nell'Istituto della Carità di Domodossola, fondato da Antonio Rosmini. Questa serie di saggi fanno luce proprio sul passaggio dal primo al secondo Rebora, sottolineandone la continuità di pensiero e l'idea della missione del poeta cristiano, in un tempo in cui la presenza di Dio viene ignorata dalle coscienze.
Come tramandare la Shoah? Esiste una forma d'espressione efficace per l'orrore? Alessandro Piperno decifra la retorica della memoria in voga nei nostri giorni che spesso con la celebrazione depotenzia il valore della tragedia. Indaga sui concetti di Memoria e Oblio e i rischi connessi utilizzando l'opera di Proust interpretata in chiave profetica. Proust fu il paladino di quei giovani letterati ebrei che alla fine del diciannovesimo secolo scelsero di ripudiare la propria origine. Ma dietro l'apparente antisemitismo si nascondeva una crudele ricerca di autenticità e verità. Ansia di piacere, di essere bene accolti, di promuoversi socialmente utilizzando tutti gli strumenti della seduzione costituiscono il marchio del vizio congenito che rende insopportabili gli ebrei agli occhi di Proust; vizio da cui egli stesso vuole emendarsi. Conformismo e mascheramento accomunano gli ebrei della "Recherche" agli omosessuali così come in essa appaiono: entrambe le "razze" (è così che Proust le considera) sviluppano impressionanti qualità mimetiche in modo da confondersi con l'habitat ostile in cui si trovano fatalmente a vivere. Dalle pagine di Alessandro Piperno scaturisce un'interpretazione nichilista della "Recherche" dove la memoria non è conforto, ma dannazione.
Esiste, nell'opera di Dostoevskij, un filo conduttore che lega indissolubilmente il grande autore russo al cristianesimo: seguire questo percorso attraverso i suoi romanzi consente di chiarirne, come mai prima, il complesso rapporto con la spiritualità, la ricerca morale, la storia. Dostoevskij intesseva la propria scrittura di puntuali riferimenti a passaggi della Bibbia e costruzioni di scene che riproducevano, nell'impostazione, alcuni grandi capolavori della pittura sacra. Per lo scrittore si trattava di aperte citazioni, che i suoi contemporanei potevano cogliere in modo immediato. Ma le mille interpretazioni dei suoi testi, così come la rimozione della cultura cristiana dalla vita politica russa, hanno sepolto negli anni elementi che Tat'jana Kasatkina, una delle più importanti studiose di Dostoevskij, ha ritrovato e messo in luce in modo inequivocabile. IL risultato è un ritratto inedito e illuminante di opere fondamentali della letteratura di tutti i tempi, che rivela una delle più tormentate e affascinanti ricerche spirituali della modernità. Prefazione di Uberto Motta.