
Il testo racchiude l'esperienza viva condotta giorno dopo giorno da una decina di anni, da un frate minore cappuccino e da una operatrice didattica storica dell'arte con bambini e giovani appartenenti a parrocchie, centri di aggregazione di varia estrazione ideologica, ma soprattutto con gli alunni e gli insegnanti delle scuole primarie della città e della provincia di Reggio Emilia. L'arte, la narrazione, la creatività e la realizzazione di piccoli manufatti, sono i linguaggi che ci hanno permesso (e speriamo che lo permettano anche al lettore) di crescere insieme agli utenti sul rispetto del punto di vista altrui, sulla molteplicità dei valori e dei doni è per se e per gli altri e sulla dimensione della fede vista come incontro e relazione, come una modalità che ci permette di passare dall'io al tu e dal tu al Tu. Nella prima parte del testo vengono raccontati quattro laboratori didattici (scelti tra i quindici che gli autori propongono ad insegnanti ed operatori pastorali) e soprattutto la modalità con vengono costruiti. Nella seconda parte viene narrato un focus sulla figura di Don Lorenzo Milani (figura molto studiata, vissuta ed amata tramite i rapporti con i primi allievi del priore da parte di fr. Antonello) e la concretizzazione del suo messaggio di fede attraverso percorsi didattici particolari legati alla sua concezione di scuola e di radicalismo evangelico; percorsi che han dato vita a rappresentazioni teatrali condivise, costruzione di presepi ecc..
La grande sfida nel contesto della postmodernità e della crisi antropologica che la caratterizza richiede una riflessione etica profonda. Nessuna sopravvivenza del nostro pianeta può verificarsi senza un ethos globale.
I valori propri dell’animazione-formazione vocazionale hanno un rapporto fondante con la fede cristiana, ma riconoscono anche il valore umanizzante di numerosi documenti internazionali come punti di riferimento fondanti il diritto internazionale che possono rinforzare la nostra visione etica del mondo e della vita.
Il servizio alle vocazioni opera essenzialmente e intenzionalmente per una società più rispettosa dei diritti degli individui e dei gruppi, e quindi la difesa e la promozione di tali diritti sono parte integrante del lavoro dell’animazione-formazione vocazionale.
Il richiamo ai valori etici come fondamento dell’attività umana e dei rapporti tra gli uomini ha una necessaria, diretta e profonda ricaduta sull’essere e sulla formazione dell’operatore vocazionale. In virtù di quest’atteggiamento di onestà, trasparenza, disposizione non violenta e impegnata nella costruzione sociale, egli deve avere una visione fiduciosa e positiva dell’uomo singolo che si traduce in responsabilità etica per l’altro.
L’etica professionale postmoderna si configura attorno ad alcuni aspetti particolari quali la crisi d’autorità, il dibattito attorno all’universalismo/relativismo/pluralismo e l’importanza del rispetto della libertà individuale. In particolare, i codici deontologici sono nati con una pretesa universale, cercando di definire un comportamento «corretto» in modo universale.
L’obiettivo di questo testo è quello di approfondire questa prospettiva nella configurazione di una persona impegnata nel servizio vocazionale, coerente con la visione etico-antropologica propria dell’epoca contemporanea e della «visione vocazionale» dell’uomo.
Sviluppare la creatività dei bambini e delle bambine, sin dall'inizio del percorso scolastico, è appassionante anche per gli insegnanti. Si tratta di progettare situazioni ed esperienze in cui i più piccoli possano rivelarsi, mostrarsi, scoprirsi e conoscere meglio la realtà in cui vivono. Il corpo ha un ruolo fondamentale, le mani guidano il gioco. Hervè Tullet è un maestro nell'accompagnare bambini, bambine e insegnanti nel divertirsi con forme, colori, segni, gesti.
La fiducia è ogni giorno analizzata, desiderata, prescritta sia nelle relazioni interpersonali che nei contesti macrosociali. È tanto più invocata quanto più sembra mancare. Non è facile però definire se la fiducia sia un tema inflazionato o se resti una dimensione sfuggente, di difficile definizione e collocazione. Il rischio è che normalmente si attribuisca l'etichetta "fiducia" a dinamiche, situazioni, atteggiamenti molto diversi tra loro. Il volume esplora la fiducia come dimensione emergente nelle relazioni interpersonali e si propone di comprendere attraverso quali processi dialogici si possano costruire identità/vite buone a livello personale, familiare e comunitario. In altre parole: quali fattori permettono la costruzione di legami di reciprocità, di impegno comune, di cooperazione, di significati condivisi, in famiglia e nella comunità?
Il libro racconta l'esperienza di Amica Sofia, che da anni porta avanti percorsi di filosofia con bambini e ragazzi. La filosofia di Amica Sofia non è una materia che si insegna, bensì un modo di dialogare, una forma di attenzione, per usare un termine caro a Simone Weil: consiste nel mettersi in ascolto dei bambini e nel riscoprire insieme a loro le molte domande riguardanti l'esistenza, il rapporto con chi ci circonda, le prospettive per il futuro. A scuola si trasmette spesso un sapere strutturato che non corrisponde al domandare pieno di stupore con cui la curiosità si manifesta nel bambino. Amica Sofia intende mostrare come fare filosofia significhi anzitutto saper stare nella domanda, finché non si presenti una risposta plausibile (e mai, comunque, definitiva).
La maleducazione oggi non è più considerabile come assenza o insufficienza di "buona educazione". A differenza di quella del passato, non è espressione di subculture definibili devianti, artistiche, antagoniste, ma manifestazione, pur se in forme ed espressioni variegate, di culture anche maggioritarie e socialmente legittimate. Non è lo scarto, la zona d'ombra della "beneducazione", ha vita e autonomia proprie, costituisce anche uno dei segni della profonda crisi, o del definitivo esaurimento, dei comportamenti e dei vincoli relazionali auspicati dalle "narrazioni" riconducibili al cristianesimo, al marxismo, al liberalismo democratico. Il libro colloca la maleducazione (le maleducazioni) sul piano che più dovrebbe esserle proprio, quello pedagogico-educativo, per indagarne le forme e le manifestazioni, le cause, i vantaggi e gli svantaggi che procura, i processi che l'hanno generata, le esperienze che inducono le persone a essere maleducate.
Di fronte alla crisi di senso del presente, di cui il Covid non è la sorgente, ma sta giocando un subdolo ruolo di acceleratore, Luigi Ceriani, psicologo e pedagogista milanese, mette a tema in questo libro la sfida educativa che attende i genitori, gli insegnanti e le altre figure di riferimento per le generazioni più giovani, confrontandosi a tutto campo su figli, scuola, società… con Fausto Bertinotti, Mario Calabresi, Paolo Crepet, Diego Fusaro, Umberto Galimberti, Mario Mauro, Alessandro Meluzzi, Franco Nembrini, Daniele Novara, Raffaela Paggi, Antonio Polito, Massimo Recalcati, Giorgio Vittadini… nella consapevolezza che dall’educazione presente dipenderà la comunità del futuro.
La poesia e la "pedagogia" di Gianni Rodari possono essere lette come espressioni di riconoscimento, sostegno e valorizzazione dell'infanzia e dei suoi diritti per la costruzione di un mondo sostenibile e solidale. I diversi interventi che costituiscono il volume evidenziano, da angolature diverse, come Rodari possa insegnare ancora molto sul versante pedagogico-educativo relativamente alle possibilità di rendere i bambini attori protagonisti del loro progetto di vita. Sul versante delle politiche educativo-sociali, Rodari aiuta a riconoscere í bambini quali cittadini portatori di diritti e responsabili del mondo, del pianeta Terra; sollecita allo stesso tempo gli adulti, e le diverse agenzie educative, alla costituzione di un patto intergenerazionale in cui ciascuno sappia prendersi cura di sé e dell'altro nel rispetto reciproco, per un'educazione all'umanesimo ecologico-sociale. Il richiamo di Rodari è estremamente vivo e attuale, diventa anzi quasi un monito affinché la pedagogia non si assopisca rispetto all'educazione di un'infanzia "postmoderna" non au- tenticamente riconosciuta, e quindi poco rispettata nel suo essere, nel suo esistere e nel suo divenire.
Nell'anno scolastico 2016/2017, in un liceo di Crema, è stata lanciata una provocazione: "una settimana senza Social", una proposta fatta agli studenti e alle studentesse di astensione dall'utilizzo dei social network. Da allora questa singolare esperienza si è moltiplicata, riproposta in diverse scuole e realtà associative italiane, in modi e con finalità diverse. Nel libro la ricercatrice, che per prima l'ha ideata, presenta i risultati della ricerca, esortando genitori e educatori a confrontarsi col nuovo tema dell'educazione civica digitale. L'invito è a non demonizzare (non tutto ciò che ha a che fare con la rete e i Social è male; le nuove generazioni non sono inevitabilmente "perse") ma anche a non minimizzare, mitizzando il progresso (non tutto quello che la tecnologia consente è buono e va accettato acriticamente; non tutto andrà a posto da sé). Il libro propone una terza via: conoscere i cambiamenti legati all'uso delle tecnologie e utilizzare le nostre conoscenze per potenziare le capacità dei nostri figli e per insegnare a usare la rete e i social come una risorsa, senza abusarne ed esserne dipendenti. Per fare questo dobbiamo abbandonare l'ottica del controllo (proibire tutto) e quella, opposta, del permissivismo (abbandonarli a loro stessi) per puntare sulla responsabilizzazione e sulla condivisione con le nuove generazioni di un nuovo linguaggio, nuove competenze, nuove regole per la comunicazione in rete. E soprattutto di una nuova etica della comunicazione social.
C'è un groove che caratterizza il suono di questo volume: l'improvvisazione è più della spontanea estemporaneità, è un fenomeno complesso e relazionale che per l'educazione, e per la scuola in particolare, può essere generativo se accolto con consapevolezza e fiducia. La risoluzione delle possibili dissonanze è data dalla proposta - nata a partire dai risultati di una ricerca esplorativa - del profilo di un insegnante improvvisatore, le cui caratteristiche vengono delineate e le cui implicazioni - "inutili ed effimere" - vengono sollecitate, a livello educativo e didattico. L'invito è di seguire il flusso, facendo epoché, lasciandosi accompagnare oltre il senso comune, verso una nuova prospettiva a scuola.
Ogni educazione dovrebbe sempre caratterizzarsi come un'educazione alla felicità. E questo tanto in famiglia quanto a scuola, così come anche in qualsiasi altro contesto formativo. A questo riguardo, d'altra parte, sarà necessario chiarire quale sia il significato di tale felicità. Per alcuni l'assenza di emozioni sgradevoli o il raggiungimento di un successo meramente materiale, per altri la capacità di integrare le diverse precarietà della vita verso un senso che dia significato ai diversi eventi. Va sottolineato come tale visione educativa abbia strettamente a che fare con il "prendersi cura" di sé e dell'altro, in una chiave autotrascendente, quale vero senso di ogni esistenza autenticamente umana, che trova il suo compimento e la sua realizzazione - la sua felicità, appunto - nel porre, liberamente e responsabilmente, la propria esistenza a servizio di un valore, di una causa, di una persona da amare.
È tempo di investire in educazione, non solo per superare l'emergenza Covid, ma per guardare oltre, per ritrovare quel cammino di sviluppo che sembra essersi perduto nei lunghi anni in cui hanno prevalso individualismo e populismo e che deve fondarsi sui valori definiti nella nostra Costituzione. Il nuovo secolo della connessione continua ha bisogno di cittadini portatori, oltre che di contenuti, di creatività, lavoro di squadra, capacità di astrazione e di sperimentazione, senso di orientamento per poter navigare in mari aperti. La scuola deve rispondere a queste esigenze e muoversi, insieme al Paese, nel senso di marcia di uno sviluppo inclusivo e sostenibile.