"La straordinaria diversità che caratterizza il nostro mondo attuale rende l'iperglobalizzazione incompatibile con la democrazia. Una base esigua di regole internazionali che lascino sufficiente spazio di manovra ai governi nazionali rappresenterebbe una globalizzazione migliore poiché potrebbe correggere i mali caratteristici della globalizzazione e nello stesso tempo mantenere i suoi essenziali vantaggi economici. Abbiamo necessità di una globalizzazione intelligente più che di raggiungere i livelli massimi di globalizzazione": Dani Rodrik ripercorre la storia dell'economia per dimostrare come il problema non sia tanto la globalizzazione, quanto il modo di interpretarla e governarla. Possiamo e dobbiamo procedere a un tipo di narrazione differente relativa al processo di globalizzazione. Invece di considerarla un sistema che esige un'unica serie di istituzioni oppure una superpotenza economica principale, dovremmo accettare di considerare la globalizzazione come l'unione di nazioni, le interazioni tra le quali sono regolate solo da poche leggi semplici, trasparenti e di buon senso riguardanti le attività commerciali. Questo modo di vedere le cose non costruirà un percorso che conduce verso un mondo "rigido". Niente di tutto questo. Grazie a tale modo di vedere sarà possibile costruire un'economia mondiale sana e sostenibile nell'ambito della quale verrà lasciato spazio alle democrazie per determinare a proprio piacimento il loro futuro.
Nel 1961, dopo aver appreso la notizia dell'arresto di due studenti portoghesi che erano stati imprigionati per aver brindato alla libertà, l'avvocato inglese Peter Benenson cercò di trasformare in mobilitazione quel senso profondo di indignazione che aveva provato e, insieme ad altre persone, diede vita ad Amnesty International. Da 50 anni questa organizzazione difende i diritti umani fondamentali, chiedendo a ogni cittadino di schierarsi, di mettere la firma in fondo a un appello, di attivarsi in difesa di chi subisce violazioni. "Io manifesto per la libertà" racconta la storia incredibile di questo movimento attraverso 25 poster che percorrono nel tempo e nello spazio gli ultimi 50 anni di storia dei diritti umani, grazie anche alla voce particolare e personale di autori e autrici d'eccezione che hanno accettato di manifestare per la libertà al fianco di Amnesty International donando i loro preziosi contributi. Con la prefazione di Dario Fo e Franca Rame e l'introduzione di Valentina Maran.
"Noi non ce l'abbiamo fatta, abbiamo fallito, ora tocca a voi." Un'ammissione di colpa grave e un appello vigoroso quelli di Massimo Ottolenghi, classe 1915, un simbolo della resistenza civile. "Un miracoloso soprassalto", ecco quello che ci vuole per togliere il potere dalle mani dei più anziani e partecipare in prima persona alle scelte del Paese, diminuendo l'influenza dei partiti. Il pericolo di una deriva antidemocratica è evidente. "Evitiamo una nuova shoah dei diritti" scrive l'autore con riferimento alle vecchie e alle attuali discriminazioni. "Cominciano così le dittature": Ottolenghi lo sa sulla sua pelle. Bisogna difendere la scuola pubblica (grande palestra di democrazia), gli investimenti alla cultura e la Costituzione. A tutti i costi. Parola di un novantaduenne con il cuore e la mente rivolti al futuro.
Nel 2001 a Genova viene spezzato il sogno dei No global italiani. La ferita è devastante, quasi mortale. Eppure il movimento No global ha cercato di rimettersi in piedi, vivendo altre giornate importanti, che lasciavano presagire un nuovo inizio, che però non è mai fiorito. Cos'era in fondo quel movimento? Possibile che sia apparso con roboante fragore sulla scena politica italiana e mondiale e poi rapidamente sparito, come una meteora luminosa? Ripercorrere gli eventi degli ultimi dieci anni, partendo e ritornando da Genova, significa incrociare una storia molto italiana: le giornate esaltanti del Forum di Firenze, la lacerazione sulla disobbedienza civile, la questione del pacifismo, la rottura con l'ala più radicale e l'addio delle associazioni cattoliche, la lotta contro l'Alta velocità in Val di Susa e quella contro la base americana a Vicenza, fino ai comitati contro i rifiuti e alle rivolte degli ultimi mesi. Questo reportage racconta ciò che è accaduto prima di Genova, durante e soprattutto dopo. I preparativi al G8, i laceranti dibattiti interni, la sordità del potere; e a distanza di anni rilegge il significato del culto sorto intorno alla figura di Carlo Giuliani; rivisita i luoghi oscuri della Diaz e Bolzaneto e la speranza di una rinascita sotto le bandiere arcobaleno, fino agli anni del rompete le righe, alla perdita di un orizzonte comune e al mesto ritorno a casa.
Il volume, ripresentato in edizione completamente aggiornata, ripercorre la storia dell'Unione europea, riservando particolare attenzione alle istituzioni comunitarie e al loro funzionamento. Commissione e Parlamento, Consiglio dei ministri, Corte di giustizia e Banca centrale europea svolgono infatti un ruolo di primo piano nel governo dell'Unione, hanno poteri un tempo attribuiti ai singoli stati e sono destinate a incidere sempre più nella vita dei cittadini. Si esaminano infine le politiche e i cambiamenti che, dopo i referendum sulla Costituzione e l'apertura dei negoziati per l'ingresso della Turchia, vanno delineandosi sul futuro dell'Europa anche nei suoi rapporti con il resto del mondo.
C'è vita nella democrazia, dunque è giusto e possibile cercarvi anche la felicità. Che viene dalla nostra normale condizione di cittadini fedeli e infedeli, uomini e donne, persone liberamente associate. Proprio qui sta la possibilità vera della felicità: nella condizione di libertà personale e civile che nasce dalla democrazia, nella consapevolezza che tutti – non io soltanto – esercitano quella libertà e ne riconoscono il limite.
La democrazia non mantiene le sue promesse, la democrazia può deludere quando non produce buona politica e buon governo, quando non risponde alle mie esigenze biografiche. E tuttavia, come si fa il saldo della partita democratica? Scrivi pure quelle poste al passivo, e concludi che viviamo in una fase di bassa qualità della democrazia. Ma tra gli attivi io scrivo la mia (e la tua) libertà, intatta, i miei diritti, i principi d'uguaglianza alla base del nostro ordinamento, la possibilità di informarmi e d'informare, di pregare o di non credere, di studiare e di lavorare, di intraprendere, di governare e di dissentire, in un sistema in cui questo vale per tutti. È difficile, molto difficile, ma l'avvenire contiene molte cose, molte. Queste cose sono atti e fatti. La democrazia chiede che dipendano da noi coscientemente, responsabilmente, attivamente, perfino felicemente quanto è possibile.
L'idea di democrazia, ha scritto Hans Kelsen, implica l'assenza di capi.
In un paese come l'Italia che ha conosciuto il fascismo, l'idea stessa del capo quale espressione della volontà popolare è un'insidia micidiale per il futuro della democrazia.
I poteri, lasciati senza limiti e controlli, tendono a concentrarsi e ad accumularsi in forme assolute: a tramutarsi, in assenza di regole, in poteri selvaggi. Di qui la necessità non solo di difendere, ma anche di ripensare e rifondare il sistema delle garanzie. Solo un rafforzamento della democrazia costituzionale, attraverso l'introduzione di nuove e specifiche garanzie dei diritti politici e della democrazia rappresentativa, consente infatti di salvaguardare e di rifondare sia l'una che l'altra. L'idea elementare che il consenso popolare sia la sola fonte di legittimazione del potere politico mina alla radice l'intero edificio della democrazia costituzionale. Ne derivano insofferenza per il pluralismo politico e istituzionale; svalutazione delle regole; attacchi alla separazione dei poteri, alle istituzioni di garanzia, all'opposizione parlamentare, al sindacato e alla libera stampa; in una parola, rifiuto del paradigma dello Stato costituzionale di diritto quale sistema di vincoli legali imposti a qualunque potere.
Un fenomeno epocale come le nuove migrazioni verso l'Europa poteva essere l'occasione per una scommessa straordinaria: ragionare su una cultura della legalità, coniugata con il principio di solidarietà, collegare i comuni doveri con la capacità di estendere i diritti e di includere nuove popolazioni. Si poteva fare, di questa scommessa, l'orizzonte dell'Europa del futuro. Si poteva fare ma non si è fatto. La nostra ampia e confusa normativa sugli stranieri è sbagliata. È inefficace, non raggiunge gli obiettivi che si propone. Produce ingiustizia. È forte con i deboli e debole con i forti. Basta leggere cosa è accaduto ad Angela, moldava che voleva fare la badante; Hamid, marocchino, baby pusher; Abdel, egiziano e giardiniere clandestino.
Siamo ancora in tempo per cambiare rotta?
Cosa è stata l’Italia nei decenni che vanno dall’Unità alla fine della “Prima repubblica”? Dal conte di Cavour a Silvio Berlusconi, come è cambiato il modo di parlare della nostra classe dirigente? Gabriele Pedullà antologizza i sessanta discorsi più significativi pronunciati dai nostri politici tra il 1861 e il 1994, e ripercorre un secolo e mezzo di storia unitaria attraverso i duelli oratori che l’hanno contrassegnata. Il suo viaggio nei programmi di governo e negli appelli al voto racconta anche una vicenda parallela: quella di una parola letteraria che si è offerta, alternativamente, come modello autorevole per la lingua della politica e come diretta antitesi agli slogan di partiti e movimenti. Emerge così il filo rosso di un tormentato rapporto tra cultura e potere che, muovendo dalla stagione del poeta vate dannunziano, conduce sino alla generazione di narratori degli anni Venti e Trenta: intellettuali come Bianciardi e Pasolini, Calvino e Manganelli, la cui opera ha sovente preso di mira vezzi e vizi della classe dirigente, rivelando agli italiani quanti e quali non detti contenga anche il più cristallino dei proclami politici.Compralo su LibreriaColetti.it
Gabriele Pedullà (Roma, 1972) insegna Letteratura italiana contemporanea all’università Roma Tre e scrive su “Il Sole 24 Ore”. Ha pubblicato: La strada più lunga. Sulle tracce di Beppe Fenoglio (2001), Racconti della Resistenza (2005), In piena luce. I nuovi spettatori e il sistema delle arti (2008) e la raccolta di racconti Lo spagnolo senza sforzo (2009, premio Mondello opera prima). Con Sergio Luzzatto è il curatore dell’Atlante della letteratura italiana (2010-2011).
Praticamente coetanei – uno medico e teologo, l'altro scienziato e filosofo, il primo luterano, il secondo ebreo – Albert Schweitzer, premio Nobel per la Pace nel 1952, e Albert Einstein, premio Nobel per la Fisica nel 1921, si incontrarono solo due volte e si scambiarono una serie di lettere, tutte tra il 1948 e il 1955.
Nondimeno entrambi misero in guardia i contemporanei contro i pericoli di un progresso tecnico-scientifico acefalo, facendo pressioni contro i test e le sperimentazioni della bomba atomica – la cui costruzione, in un primo tempo, Einstein aveva appoggiato nel timore che il regime nazista se ne dotasse per primo – e battendosi per il disarmo nucleare e la pace.
La scoperta della profonda valenza politica insita nell’auspicio di una civiltà dialogica, deve riconoscere a tutti la piena libertà d’espressione, la piena partecipazione politica, le condizioni affinché esse siano effettivamente fruibili. Attraverso questa scoperta si passa dalla presenza e dall’azione al dialogo.
Dal dialogo alla convivenza universale, verso una società che possa diventare effettivamente globale e civile. È la scoperta del valore e della supremazia del dialogo, non solo quale strumento metodologico, bensì quale stile di vita. prassi, ethos: la vita stessa come dialogo. Nasce una nuova sfida: capire se alla prevalente attuale concezione della politica, scomposta, aggressiva, sopraffatta da assordante rumore, generante disagio, possa opporsi, favorendola, una politica costruita attraverso il dialogo vero: silenzio ed ascolto sono elementi imprescindibili.
La nuova sfida è quella di contribuire a dare nuovo vigore ad una nuova e diversa cultura educativa, che vede, nel rispetto dell’altro e nel dialogo, gli strumenti per una civile e produttiva convivenza.
L´Autore:
Eugenio Scagliusi, avvocato cassazionista, autore di diversi studi ed articoli sui temi della bioetica e della politica quale impegno quotidiano nella "polis", ha già pubblicato "La politica... una idea" Ed.VivereIn, 2007.
Il presentatore:
Gaetano Quagliariello, Senatore della Repubblica dal 2006, è attualmente Vicepresidente vicario del PdL. Docente di Storia Contemporanea alla LUISS, collaboratore di diversi giornali e riviste, oltre che direttore di diverse collane, è Presidente Onorario della Fondazione Magna Carta, che ha contribuito a fondare.
Prefazione di Federico Rampini Traduzione Franco Motta e Cecilia Della Casa .
«Questo saggio va usato come un manuale per l’uso del Nuovo Mondo: può insegnarci a recuperare il senso del nostro ruolo di cittadini. Nella globalizzazione ci siamo spesso sentiti troppo piccoli e ininfluenti. Khanna ci spiega che possiamo contare molto, forse contiamo già molto, unendo le nostre forze per essere noi stessi gli attori della mega-diplomazia».
Dalla prefazione di Federico Rampini
Come si governa il mondo è un viaggio attraverso il mondo della diplomazia e della geopolitica del XXI secolo. Parag Khanna, direttore della Global Governance Initiative per conto della New America Foundation, consigliere per la politica estera di Barack Obama durante la campagna presidenziale, racconta la diplomazia del futuro e la geopolitica che dovrebbe guidare le scelte degli anni a venire.
Come si governa il mondo? Quali nuove forze politiche, economiche e sociali riusciranno ad imporre la propria visione sul pianeta? Come si affronteranno le crisi economiche, i conflitti armati, la fame, le malattie e le catastrofi ambientali nei prossimi anni?
In un’epoca globalizzata, segnata da poteri e pulsioni disgregatrici i vecchi equilibri e le anchilosate organizzazioni risultano sempre più incapaci di gestire le relazioni tra Stati e tra territori e persone. Dalle ceneri dell’egemonia di una sola potenza sta nascendo un “ecosistema ipercomplesso”, un “medioevo postmoderno” nel quale l’Est non sostituirà l’Ovest, la Cina non sostituirà l’America e il Pacifico non spodesterà l’Atlantico. Governare lo “spaesamento” di un mondo senza confini sarà la sfida di una nuova generazione di diplomatici. Infatti, fare buona diplomazia oggi significa stabilire relazioni in ogni modo possibile. Ecco che allora avranno un ruolo sempre più importante i filantropi, i policy makers, le multinazionali, le lobby, le ONG e tutti quei soggetti o gruppi di pressione che ben conoscono i meccanismi attraverso cui passano le decisioni di oggi e di domani. È venuto il momento, secondo Parag Khanna, di liberare tutte le energie per costruire la mega-diplomazia del futuro.
Parag Khanna, nato in India, è vissuto negli Emirati Arabi Uniti, USA, Germania. Laureatosi alla Georgetown University, sta svolgendo un Ph.D. in Relazioni Internazionali alla London School of Economics. Segnalato dalla rivista “Esquire” come una fra le settantacinque persone più influenti al mondo, ha lavorato per il World Economic Forum, ed attualmente dirige la Global Governance Initiative per conto della New America Foundation. Nel 2007 è stato Senior Advisor per gli Stati Uniti per le operazioni in Iraq e Afghanistan. È stato consigliere per la politica estera di Barack Obama durante la campagna elettorale. Collabora inoltre con varie testate giornalistiche, fra cui «New York Times», «The Guardian», e «Financial Times». Fazi Editore ha pubblicato nel 2009 il suo I tre imperi. Nuovi equilibri globali nel XXI secolo.