"Chi è Stato?". Chi sono gli uomini che rappresentano al meglio lo Stato e "fanno funzionare l'Italia"? Quale il loro itinerario di formazione umana, intellettuale e professionale? Quali sono gli aspetti cruciali di alcune funzioni chiave dello Stato? Quale è il rapporto tra la carenza diffusa di senso dello Stato, la decadenza della politica, la crisi delle classi dirigenti e la caduta del senso civico? Cosa sta alla base di fenomeni come la guerra alla "Casta" e il "grillismo" e come reagire? Quali sono gli effetti dell'abbattimento del valore del merito e della concorrenza e quali sono le risposte possibili? Sono queste alcune delle domande cui il libro decisamente unico nel panorama editoriale italiano - offre risposte nuove e molto significative. Un libro un po' saggio, un po' pamphlet, un po' manuale, scritto con linguaggio plastico, a volte tagliente ma sempre lineare e comprensibile al largo pubblico, che accompagna il lettore fino al "cuore dello Stato" e alla scoperta dei nuovi fermenti della società italiana.
L'ideologia del terrore ha caratterizzato l'affermazione tragica dei sistemi totalitari nel corso del Novecento. La follia rigeneratrice per la costruzione dell'uomo nuovo, per il trionfo delle leggi della storia o della natura ha animato una dimensione ferocemente spietata del potere. Questo libro tiene conto di quella vicenda, ma si concentra sulla possibile esistenza di una nuova versione del totalitarismo o, meglio, della tendenza totalitaria che attraversa le società cosiddette democratico-liberali. Quali forme assume l'attuale totalitarismo postideologico? Si tratta di un totalitarismo senza un centro identificato ma socialmente diffuso, intrecciato alla potenza del mercato globalizzato e allo scientismo tecnologico, con le sue pretese di misurazione e di controllo dell'esistenza. Un totalitarismo che, pur in un contesto storico-politico profondamente diverso, conserva il nocciolo della versione originaria, ovvero l'incidenza del potere, nella sua variante biotecnologica, sulle condizioni di possibilità della vita stessa.
Crimini efferati, uomini-bomba che si fanno esplodere nelle città, tumulti di piazza e conflitti internazionali sembrano essere i più efficaci indicatori della quantità di violenza dispiegata dall'uomo, eppure a questa violenza visibile direttamente, se ne affianca una seconda ben più pervasiva. Si tratta di quella violenza "che nutre i nostri stessi sforzi di combattere la violenza e promuovere la tolleranza". Questa violenza si presenta con due facce: la prima è "simbolica" e si manifesta nel linguaggio e nelle forme, la seconda è "sistemica" ed è cioè una conseguenza necessaria del funzionamento dei nostri stessi sistemi economici e politici. È una sorta di materia oscura, qualcosa che pur essendo "invisibile" spiega e sostanzia il visibile. Non riconoscere la violenza dell'odierna globalizzazione economica e politica significa rendersi complici di un sistema che è responsabile dell'emarginazione di intere fasce sociali e di milioni di vittime nel mondo. Un sistema che non sembra poter offrire una soluzione giusta alle grandi questioni del nostro tempo. Le tesi controverse e provocatorie di Zizek sono qui esposte ricorrendo ai registri più diversi, alternando erudizione e temi popolari, riferimenti filosofici e cinematografici, in un caleidoscopio di idee e visioni sempre nuove, sempre eterodosse.
La realizzazione dell'uguaglianza politica all'interno degli Stati è davvero un obiettivo alla portata degli esseri umani o sarebbe più saggio concentrarsi su finalità maggiormente realizzabili? In agili capitoli, uno tra i più autorevoli politologi mondiali analizza lo straordinario avanzamento verso la democrazia avvenuto nel corso degli ultimi secoli, la crescita delle istituzioni democratiche, l'ampliamento della cittadinanza e i molteplici ostacoli che si sono frapposti al suo progresso. È possibile, dice Dahl, che l'ineguaglianza cresca e prevalga in tutto il mondo, ma è altrettanto possibile che si realizzi lo scenario opposto: "Predire quale di questi (o altri) futuri possibili finirà effettivamente per prevalere, va al di là delle mie capacità. Ma sono certo che il risultato può essere fortemente influenzato dalle iniziative e dalle azioni individuali e collettive che noi e i nostri discendenti sceglieremo di intraprendere".
La democrazia è un fine o un mezzo? Zagrebelski propone nel volume tre visioni della democrazia: dogmatica, scettica e critica. Ad esse corrispondono tre mentalità, tre visioni del mondo. Il dogmatico non vede che la verità alla quale tutti devono aderire. Lo scettico, la realtà alla quale bisogna piegarsi. Il critico, invece, si fa strada responsabilmente tra le possibilità. La tesi dell'autore è che solo coloro che possiedono una visione critica della democrazia la concepiscono come fine. Per chiarire questo concetto si rifà a uno dei simboli tragici della democrazia: il processo a Gesù dove il dogma dell'infallibilità della volontà popolare si profila come quintessenza della democrazia dogmatica.
Da attento studioso della realtà del Bel Paese e dei suoi orientamenti, Ricolfi ne traccia un profilo degli ultimi quindici anni, vale a dire una storia economico-sociale al tempo del bipolarismo e dell'alternanza. Il problema è che in Italia, come l'autore ha dichiarato in un'intervista, nonostante "l'aspirazione di tutti a vivere in un Paese normale, la realtà del dibattito politico è ancora quella della guerra fredda". Da noi ben pochi riescono a vedere le cose per quello che sono. Quasi tutti le guardano sempre accompagnate dalla loro ombra ideologica: con il sole del mattino l'ombra si allunga verso destra, con il sole del tramonto si allunga verso sinistra. Ricolfi, invece, racconta l'Italia della Seconda Repubblica come se fosse il Paese delle ombre corte.
La coppia antitetica destra-sinistra è, con sempre maggior chiarezza, esposta a uno strano destino: riferimento obbligato di ogni discorso sulla politica, essa tuttavia sempre meno riesce a sintetizzarne adeguatamente le differenti identità. Indispensabile per descriverne la cronaca quotidiana, non riesce più, tuttavia, a dirne la "verità". Contestata tradizionalmente "da destra", essa tuttavia, da qualche tempo a questa parte - e questo è il vero dato di novità - ha incominciato a essere messa fortemente in discussione anche "da sinistra", con la crisi sempre più evidente dell'idea di progresso, l'emergere delle tematiche e dei movimenti ecologisti, la critica dello sviluppo e della sua carica di distruttività, la fine delle apologetiche della modernizzazione. Il libro ripercorre la natura e la storia dei concetti di destra e sinistra, dalla loro origine, con la Rivoluzione Francese e la nascita della modernità in politica, a oggi, scavando nella molteplicità di significati e di simbolismi che ne stanno alla radice.
Dominata da servizi innovativi e ad alto valore aggiunto, destinata a far tramontare la cultura del lavoro salariato, la società della piena disoccupazione è un fenomeno che spaventa e genera polemiche. Alle classi dirigenti spetta prendere atto che il problema non è combattere il precariato, ma garantire opportunità di lavoro e protezione sociale per chi deve affrontare una vita lavorativa più frammentata. Con i nuovi meccanismi di produzione del quaternario il lavoro resterà necessariamente flessibile e volatile. Per la politica la sfida è complessa e ineludibile. Solo le comunità capaci di adattarsi al cambiamento, anche rivoluzionando l'organizzazione dello Stato sociale, riusciranno a ottenere benefici dall'avvento della società dei servizi personalizzati. Mentre i mercati del terzo mondo sfruttano la disoccupazione per affermare le proprie merci nei mercati aperti mondiali, nell'Occidente avanzato molti sono disoccupati perché sempre in formazione, imprenditori a rischio di fallimento o di spiazzamento competitivo, in cerca di un nuovo lavoro, con un assegno minimo, disoccupati perché lavoratori part-time o stagionali o a contratto a termine. Ma la strada intrapresa dalla politica economica per garantire crescita e sviluppo può paradossalmente dare al lavoratore più potere e porre alla politica nuovi e assillanti problemi.
Giovanni Moro è il figlio di Aldo. Ma questo non è un libro autobiografico. L'autore riflette sugli anni Settanta, in cui la sua vita è cambiata, guardandone l'irrimediabile complessità. Un decennio in cui non sempre si capisce chi siano i buoni e chi i cattivi, in cui comportamenti giustificati facilmente tralignano, in cui il confine fra uso della forza e ricorso alla violenza è spesso labile e quelle che appaiono buone cause a ben guardare possono non esserlo. Non riuscire a capire quel periodo troppo tormentato, terribilmente violento, comporta il non capire l'oggi che ne deriva strettamente, sia dal punto di vista politico e sociale che da quello delle biografie dei singoli viventi.
Dalla formazione sui classici del marxismo e del liberismo, alle responsabilità di coordinatore della programmazione economica del centro-sinistra, al difficile ruolo di ministro dell'Ambiente nel momento di maggiore vitalità delle lotte ambientaliste, la vita di Giorgio Ruffolo è un racconto di scommesse fatte e non sempre vinte. Si trova ad agire da protagonista in momenti di svolta radicale per le sorti della repubblica, a volte nell'ombra, da tecnico, a volte sotto i riflettori da ministro o eurodeputato. Il racconto si snoda attraverso tappe che vanno dalla sua formazione, durante la seconda guerra mondiale - le letture, gli incontri, un antifascismo sempre più convinto che matura attraverso Marx e Salvemini -, ai primi incarichi pubblici, nell'Ufficio studi della Bnl, fino alla nomina a ministro nel 1987 e poi all'elezione a parlamentare europeo. La descrizione dell'ambiente, le biografie dei primi burocrati della repubblica si alternano al racconto di un'Italia che cambia, soprattutto nei costumi. La trama si arricchisce di considerazioni e documenti che consentono di toccare con mano periodi estremamente complessi della storia d'Italia: la pionieristica fase della programmazione, osteggiata dai grandi partiti di massa e dalle manovre dei grandi "monopoli" italiani; la morte di Mattei, ricordato attraverso il lavoro comune, i viaggi, il problema del petrolio italiano e il ruolo giocato dai paesi arabi e dai servizi segreti francesi nella sua tragica fine.
Le manovre intorno a Telecom Italia, il crac della Parmalat di Tanzi, l'ascesa dei nuovi finanzieri e non solo: il libro racconta la storia sotterranea del "capitalismo di rapina". I percorsi occulti del denaro, un sottobosco poco illuminato dagli articoli dei giornali, che secondo gli autori spesso non vanno oltre i semplici verbali d'interrogatorio o le intercettazioni telefoniche. Gli autori seguono le tracce dei soldi, entità resa ormai sempre più astratta, tra conti bancari e giochi di sponda in Borsa, fino a ipotizzare complicità ad altissimo livello nelle grandi banche, nelle istituzioni, nel mondo politico, nelle autorità di controllo. Un'affollatissima galleria di personaggi: Fazio, Fiorani, Ricucci, Coppola, Gnutti, tutti finiti sotto i riflettori dei media per effetto delle inchieste giudiziarie, alle cui spalle vive e lavora una folla di banchieri, avvocati, fiduciari. Sono loro a essere definiti come i gran sacerdoti del capitalismo di rapina.
"In Sicilia non si ammazza più, e questo è il termometro per capire che le cose per la mafia vanno bene. Tutti pensano che dopo qualche arresto eccellente la mafia sia stata sconfitta. Ma lo sanno anche i bambini che quando c'è troppo silenzio è perché gli affari tirano. Le bande hanno imparato la lezione: lavorano a compartimenti stagni e se uno si pente può fare arrestare cinque persone, non più cento come prima. Negli ultimi dieci anni noi inquirenti non abbiamo fatto che quello che ci dicevano i pentiti, perdendo il contatto con il territorio, con i confidenti, con la strada, e adesso è di nuovo il buio. Ci vorranno anni prima di capire che sta accadendo, cosa fa la nuova mafia. Le loro parole d'ordine oggi sono riciclaggio, investimenti, alberghi. E poi la borsa, la ripresa dell'edilizia, i grandi appalti, e soprattutto la politica. La mafia può essere il ragazzo che ti pianta la pistola in faccia, ma più spesso è un tizio con la cravatta, e nella giacca solo la penna per firmare assegni e atti notarili. Io su questo avrei una storia da raccontare. Ho quasi quarant'anni, sono un poliziotto, ma questa non è una biografia. Solo un pezzo di Sicilia, e di me, e di tutti noi. Sono un poliziotto. Non proprio uno dei tanti: uno scomodo, così dicono". Gianni Palagonia è il nome falso di un poliziotto vero. Una voce che racconta di grandi appalti e di affari sporchi, di stragi e di morti ammazzati. Una storia di rabbia e ostinazione, che mostra il volto della mafia di ieri e di oggi.