
Nel libro "Quando il cielo s'oscura" l'autore descrive le credenze, i valori, i comportamenti collettivi che definiscono il complessivo atteggiarsi dell'uomo nei confronti del mondo naturale, del soprannaturale, del proprio stesso corpo. È un'umanità assediata da una natura ostile irta di pericoli veri e immaginari, perduta in un labirinto "gotico" di sofferenze e terrori, macerata nelle penitenze; eppure, insieme, è l'umanità che caparbiamente resiste agli urti delle calamità e dei barbari, che conquista nuovi spazi all'agricoltura, che ridà vita alle città decadute, l'umanità che con un lavorio secolare torna a imporre la propria regola su quella natura che, nel naufragio drammatico dell'età antica, pareva destinata a sommergere la civiltà stessa dell'uomo.
Scandali finanziari, abusi edilizi, corruzione politica e una crisi economica che arricchisce i pochi e impoverisce le masse. È Roma nel 1884, quando ci arriva Paolo Ciulla, giovane catanese assai versato nel disegno. Vuole studiare architettura e diventare un artista: non ci riuscirà. In compenso anni dopo, in una Sicilia sconvolta dalla dura repressione degli scioperi agrari e del movimento dei Fasci siciliani, verrà a galla il suo vero genio: quello per la falsificazione di banconote. È solo l'inizio di una "carriera" che si dipanerà per laboratori e stamperie, banche e taverne, trasformandolo in un paladino dei poveri messi in ginocchio dalla crisi. Paolo Ciulla, anarchico, criminale, benefattore, è un antieroe contemporaneo e la sua Italia è la nostra. Le sue avventure, raccontate con stile trascinante in questo romanzo dal vero, attraversano e illuminano un Novecento italiano che non è stato il secolo breve, ma il più lungo: iniziato nel 1861, non è ancora finito. L'interrogatorio di Ciulla, uno dei primi grandi processi mediatici del nostro Paese, ha il ritmo di una pièce teatrale: quasi cieco per le sperimentazioni con gli acidi, ma ironico e indomito, il principe dei falsari per giorni tiene testa a giudici e pubblici ministeri. Fino all'apoteosi finale, il più grande momento di gloria: il riconoscimento pubblico di un italianissimo genio.
Vennero dal mare. Sappiamo il loro nome e poco altro: li chiamiamo "Popoli del Mare" e al loro arrivo caddero regni millenari e l'intera Civiltà del Bronzo collassò repentinamente. Dopo, seguirono solo lunghi secoli bui. L'Età del Bronzo era stata un'epoca di fiorenti commerci, di evoluzione tecnica e culturale, di rapporti diplomatici internazionali, di sottili equilibri politici. A lungo si è pensato che il mondo di tremila anni fa fosse un luogo primitivo, con un'economia ridotta su breve scala, ma gli ultimi decenni di scavi archeologici hanno invece portato alla luce un mondo incredibilmente organizzato e vasto, sorprendentemente simile al nostro, tanto da poterlo definire "globalizzato". Il quadro archeologico ci restituisce un'organizzazione solida e funzionale, che sembrava intramontabile, come la nostra, ma che cadde di schianto. Lo stagno, necessario per ottenere il bronzo delle armi e degli utensili, proveniva dall'Afghanistan, il rame da Cipro: come il petrolio di oggi, erano le merci più ambite, e sul loro commercio era fiorita un'intesa internazionale che coinvolgeva tutti i grandi imperi del Mediterraneo e della Mezzaluna fertile. I nomi dei regni antichi evocano avvenimenti lontani - Egizi, Ittiti, Assiri, Babilonesi, Mitanni, Minoici, Micenei, Amorrei, Ugariti, Cretesi, Ciprioti, Cananei -, ma le loro vicende sono così "moderne" che la loro storia suona ormai come un monito rivolto al nostro mondo.
Per lungo tempo - decine di secoli - le spezie hanno influenzato l'economia del mondo (di tutti i mondi, antico, medioevale, moderno) e di conseguenza hanno determinato gran parte della sua storia. Il prodotto più trasportato di questi che oggi chiameremmo a elevato valore aggiunto è stato, ad esempio, il pepe, una sostanza che non serve ad alcuna funzione, come d'altronde tutte le altre spezie. Ma perché l'uomo desidera tanto - anzi, sopra ogni cosa prodotti totalmente inutili? Perché in realtà essi assolvono a una funzione ancora più importante di quelli utili: se quelli utili servono a mantenerlo in vita, quelli inutili servono invece a rappresentarlo. E siccome la costruzione della propria immagine è stata ed è per l'uomo più importante di qualunque valore funzionale, la corsa alle spezie ha dato vita alla più lucrosa attività economica della storia umana. Francesco Antinucci racconta questa storia e la storia del veicolo primario delle spezie: l'arte culinaria. Alla fine di ogni capitolo ciascuno troverà le istruzioni per farne esperienza diretta, attraverso le ricette più tipiche e più eseguibili della cucina della Roma antica, del Medioevo e del Rinascimento.
In una striscia di terra, tra il Palatino e il colle Oppio, a ridosso del Foro, l'aristocrazia prende dimora. È questa la parte prestigiosa di Roma, ricca di storia, vicina ai luoghi istituzionali e tuttavia appartata, ben frequentata e piena di bei salotti e di mercati di lusso. Andrea Carandini entra nelle case del potere, nei grandi atri per il ricevimento, nei peristili alla greca affollati di opere d'arte, negli stretti cubicoli con pitture a trompe l'oeil e nelle sale da pranzo con pavimenti a intarsi di marmi colorati. E di questo cuore di Roma descrive le consuetudini e le stranezze nell'epoca di passaggio tra la tarda Repubblica e Nerone, quando la casa diventa luogo di incontri e attività politica, simbolo dello status sociale ed economico, manifestazione della personalità carismatica del proprietario, specchio nitido della sua ambizione e talvolta del suo delirio.
Con l'entusiasmo, l'audacia e l'erudizione che lo distinguono, Daniel Arasse invita il lettore a una carrellata sulla storia della pittura lunga sei secoli, dall'invenzione della prospettiva sino alla scomparsa della figura. Evocando sia le grandi tematiche - la prospettiva, l'Annunciazione, il dettaglio, le fortune e le sfortune dell'anacronismo, il restauro e le condizioni di visibilità e di esposizione - sia quadri e pittori particolari, Arasse fa rivivere con intelligenza e fervore diversi momenti chiave della storia dell'arte: il Rinascimento italiano, il manierismo, Vermeer, Ingres, Manet. La sua analisi si nutre di esempi concreti - La Madonna Sistina di Raffaello, La Gioconda, la Camera degli sposi di Mantegna, Il chiavistello di Fragonard - e si conclude toccando alcuni aspetti dell'arte contemporanea. Il lettore ritroverà il gusto di vedere con occhi nuovi celebri momenti della pittura, grazie a un approccio sensibile e aperto. Prefazioni di Bernard Comment e Catherine Bérard.
I Gap, componente esigua ma rilevante del movimento di Resistenza, occupano un posto marginale nella memoria collettiva e nella storiografia resistenziale. Due ragioni spiegano tale marginalità: da un lato i Gap combattono secondo le modalità classiche del terrorismo, cioè con uccisioni mirate di singoli individui e con attentati dinamitardi; dall'altro sono organizzati e diretti dal Partito comunista, e dunque restano, durante e dopo la Resistenza, connotati politicamente in modo molto più marcato delle altre formazioni partigiane. Quella dei Gap viene dunque in prevalenza percepita come "un'altra storia", su cui si sono esercitati anatemi con più virulenza che sulla Resistenza in generale. Nell'immaginario collettivo, alcuni dei più intricati nodi politici ed etici della lotta resistenziale messi in evidenza dalla pratica del terrorismo urbano continuano, ancor oggi, ad essere schiacciati tra deprecazioni calunniose e acritiche esaltazioni, che prescindono da una reale conoscenza dei fatti. In questo libro, origini, sviluppo, difficoltà, successi e fallimenti dei Gap vengono analizzati nell'unico contesto che li rende comprensibili, nella storia della Resistenza. Le condizioni esistenziali e materiali nelle quali i Gap agiscono, le risorse di cui dispongono, la difficile decisione di uccidere a sangue freddo, e i diversi modi in cui si pongono il problema delle rappresaglie, della tortura, della morte, escono dal mito e dalla demonizzazione liquidatoria.
Un grande rinnovamento ha caratterizzato a livello internazionale lo studio della grande guerra soprattutto dal punto di vista della storia culturale; Marco Mondini guarda all'esperienza dell'Italia in guerra secondo questa nuova prospettiva. Facendo ricorso a un ventaglio vastissimo di fonti, dai giornali alla letteratura, dalla memorialistica alle cartoline illustrate, il volume mette a fuoco tre aspetti essenziali: l'attesa e la mobilitazione per la guerra nei mesi e anni precedenti il 1915; l'esperienza del fronte così come è stata raccontata dai soldati in memorie e diari e come è stata interpretata e reinventata da giornali, riviste, film; infine il peso della guerra sul dopo, dal culto dei caduti ai monumenti, alla costruzione del mito.
"Gli dei della Rivoluzione" (1972) è il frutto postumo delle riflessioni, anticipate parzialmente in articoli di rivista comparsi in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d'America nel corso degli anni 1930 e 1950, che lo storico inglese Christopher Dawson, nell'ambito di quella storia della civiltà occidentale a cui dedica tutta la vita, sviluppa sulla Rivoluzione Francese come epilogo del processo che, partendo dal declino dell'unità della Cristianità medioevale, attraverso la Riforma protestante, un certo filone dell'umanesimo, l'illuminismo, conduce alle soglie delle ideocrazie rivoluzionarie del secolo XX. Dopo avere ricostruito la genesi culturale della Rivoluzione Francese, Dawson ne descrive efficacemente gli accadimenti, mettendo particolarmente in luce la mentalità e le modalità operative rivoluzionarie. Pur consapevole dello specifico politico della Rivoluzione, non può non coglierne gli aspetti "religiosi". Come afferma Arnold Toynbee nell'introduzione all'opera, "Nella Rivoluzione, un'antica, sinistra religione che era stata dormiente improvvisamente rispuntò con una violenza elementare. A ritornare dopo lunga assenza fu il culto fanatico della potenza umana collettiva. Il Terrore fu solo il primo dei crimini di massa che sono stati commessi durante gli ultimi centosettant'anni in nome di questa religione malvagia". Esamina quindi le reazioni intellettuali che la Rivoluzione Francese ha suscitato nel secolo successivo e la ripresa del cattolicesimo...
Significati e modi di essere donna o uomo mutano nel tempo. Che cosa voleva dire allora essere uomo, essere donna nel Medioevo? Lo racconta questo viaggio intorno all'identità di genere: innanzitutto come era definita dalla religione, poi come si esprimeva nella divisione sociale dei ruoli, nelle differenti possibilità (per esempio di educazione e di lavoro, o di accesso al sacerdozio), nelle relazioni sociali, nella sessualità, nella vita coniugale. L'immagine che ne viene è quella di un tempo in cui i ruoli progressivamente si differenziano e soprattutto, sul finire del Medioevo, viene sancita una gerarchia tra i sessi e si afferma un predominio dell'uomo sulla donna destinato nell'epoca successiva ad accentuarsi.
"Ne ammazza più la penna" è la storia dei giornalisti italiani dai tempi della caduta di Napoleone - e precisamente dal primo possibile scoop, il misero fallimento dell'impresa di Gioacchino Murat fermato dalla plebe calabrese nel 1814 mentre tentava di tornare sul trono di Napoli - fino agli anni Sessanta del Novecento. Storia di giornalisti, più che del giornalismo, da Ugo Foscolo (messo a libro paga dagli austriaci) alla rivoluzione editoriale di Enrico Mattei. Giornalisti avventurieri, giornalisti scandalosi, giornalisti venduti e comprati, giornalisti eroici, disvelatori di luminose verità o occultatori di vergogne nazionali: dai grandi ai meno noti, ognuno con la precisa cifra della propria personalità. Mentre le loro carriere si adeguano alle innovazioni tecnologiche, politiche, culturali, sociali e finanziarie del mondo che cambia, sullo sfondo della vita in redazione scorre la storia d'Italia nei suoi momenti cruciali, colti nella realtà quotidiana. Così il rapporto tra i due versanti del racconto - i giornalisti e la storia d'Italia - è tessuto in modo tale che i giornalisti sembrano quello che in realtà furono: l'ombra della storia d'Italia, il suo lato meno noto, ma parte integrante, e a volte determinante, dell'intero. Patriottismi e scandali, ideali e corruzione, coraggio innovativo e conflitti d'interesse, servitù culturale e ardimento d'avanguardia, fanno da refrain a un racconto che diventa, pagina dopo pagina, una storia culturale minuziosissima di notizie...
Il volume ripercorre la storia italiana degli ultimi trent'anni seguendone le vicende alla luce della fine della Guerra fredda e della crescente globalizzazione dell'economia. Il focus dei contributi spazia dalla dimensione europea a quella atlantica, a teatri come i Balcani e l'Africa, affrontando i principali temi del rapporto tra politica nazionale e contesto internazionale prima e dopo la caduta del Muro di Berlino. Ne emerge un quadro sfaccettato e problematico che evidenzia la difficoltà dell'Italia a intraprendere la strada di una riforma e di una ricollocazione del proprio ruolo negli scenari del mondo globale.