Considerato uno dei capolavori della letteratura mondiale, La Storia di Nanda è un poema scritto, in un sanscrito elegante, nei primi secoli d.C. nel Nord-Ovest del subcontinente indiano, con il dichiarato intento di presentare l'essenza del messaggio di liberazione del Buddha in forma poetica. Nanda, destinato a divenire re dopo la rinuncia al trono del Buddha, suo fratello maggiore, è felicemente sposato con la più bella donna del regno, ma viene costretto dal Buddha stesso a diventare monaco. Non trovando pace lontano dall’amata moglie, Nanda viene condotto magicamente dal fratello nel paradiso di Indra, dove ottiene la visione delle ninfe celesti, la cui inconcepibile bellezza cancella dalla sua mente il ricordo della moglie. Libero da ogni interesse per l’amore mondano, Nanda può allora dedicarsi con intensità alla vita ascetica per raggiungere, dopo ripetuti tentativi, la liberazione.
Sommario
Introduzione. Sulla pronuncia delle parole sanscrite. Canto I. La fondazione di Kapilavāstu. Canto II. Ritratto del re Śuddhodana. Canto III. L’illuminazione e le prime conversioni del Buddha. Canto IV. Nanda è devoto alla moglie. Canto V. Nanda è fatto monaco dal Buddha. Canto VI. Il lamento di Sundarī. Canto VII. Il lamento di Nanda. Canto VIII. Contro le donne. Canto IX. La condanna delle illusioni. Canto X. La visione delle ninfe celesti. Canto XI. La disillusione riguardo al paradiso. Canto XII. La presa di coscienza. Canto XIII. La condotta virtuosa e la sconfitta dei sensi.
Note sull'autore
Aśvaghoṣa (II secolo d.C.), poeta e filosofo indiano di famiglia brahmanica convertito al buddismo, è il più antico autore a noi pervenuto di kāvya («letteratura d'arte») in sanscrito ed è considerato, insieme a Kālidāsa, uno dei maggiori poeti indiani.
Giulio Geymonat (master in Sanscrito alla School of Oriental and African Studies di Londra) insegna Sanscrito e Filosofia dell'India e cura il sito www.sanscrito.it.
Un vecchio poeta, un califfo, la favorita del sultano, un bambino dai poteri magici sono gli eroi di questi tre racconti inediti delle Mille e una notte, tratti da un manoscritto del XIX secolo conservato nella Biblioteca dell'Università di Strasburgo. Sconosciuti fino all'inizio del XX secolo, furono redatti nel 1831 per un diplomatico tedesco di stanza al Cairo e costituiscono una testimonianza vivace e ironica della società egiziana del XVIII secolo. Tre storie che vanno ad arricchire il corpus di un testo emblematico della cultura araba e della letteratura universale.
Scritto in inglese nel 1923 e tradotto in oltre venti lingue, Il Profeta è il capolavoro di Kahlil Gibran. Con una scrittura incisiva e visionaria, il testo abbraccia i problemi fondamentali dell'esistenza, dall'amore al matrimonio, dai figli al lavoro, dal piacere alla bellezza, dalla religione alla morte. L'opera, qui proposta in una nuova traduzione e con il testo originale a fronte, è accompagnata da una nota di lettura firmata da Jean-Louis Ska, uno dei maggiori esperti del mondo biblico e della letteratura.
Fishke lo zoppo è considerato il capolavoro di narrativa di Mendele Moicher Sfurim: dalle sue pagine emerge l’universo degli schnorrer, accattoni vagabondi, descritto con fedeltà e bonaria ironia. È come un’affettuosa esortazione ad abbandonare l’arretratezza e la chiusura dell’isolato mondo dello shtetl nel rispetto dell’autentica tradizione.
Anche per questo Sfurim è unanimemente riconosciuto come il primo grande classico della letteratura jiddisch: nella sua opera trovano una perfetta sintesi l’entusiasmo riformistico degli illuministi e l’incrollabile saldezza dell’ebreo orientale dinanzi alle aggressioni della storia, la pietas tenerissima e la sbrigliata invenzione linguistica, con la sua irresistibile comicità.
Confessioni ripercorre l'esperienza di una lunga erranza e di una crescente disperazione fin sull'orlo el suicidio. Ma la lunga, sofferta ricerca non resta senza risposta. Non quella dell'illuminazione mistica, né dell'incondizionata adesione a una dottrina religiosa; la risposta venne piuttosto dalla "coscienza della vita", cioè dalla scoperta della conoscenza non razionale del senso della vita, che da sempre sostiene la vita degli uomini comuni, l'unica in grado di attribuire all'esistenza finita il senso dell'infinito. Fu così che la fede dei semplici diventò la fede di Tolstoj, e non solo la fede, ma la loro stessa vita, che egli volle condividere rempendo con il proprio ambiente e con la stessa famiglia.
Bibis, l'io narrante di questo libro confessione, portava le treccine come i personaggi delle fiabe uzbeke, ma la sua storia, ambientata in uno sperduto villaggio dell'Asia Centrale e nella dura realtà della Russia postsovietica, è terribilmente reale, nella crudezza delle violenze subite fin da bambina e nella sua lotta di giovane donna coraggiosa per la libertà e l'emancipazione. Scritta con il ritmo e il semplice linguaggio delle favole orientali, La danzatrice di Chiva è un esempio della nuova letteratura, che sta nascendo nel grande crogiolo multietnico delle città russe, ed apre uno squarcio sui conflitti da essa originati. A conquistare sono la semplicità e la purezza di cuore dell'autrice, di professione venditrice al mercato, la sua saggezza popolare, l'umorismo e la leggerezza con cui affronta e talvolta vince le proprie sfide, sempre in bilico tra due mondi, quello dell'Uzbekistan musulmano, conservatore e patriarcale, e l'altro, occidentale spesso impietoso e incomprensibile, in cui ha deciso di costruire la propria vita e il futuro dei suoi figli.
Opera lentamente cresciuta negli anni dell'esilio, Dell'Aurora è una straordinaria opera di pensiero, esorbitante dagli schemi del discorso filosofico; una trama poetica in cui si riannodano, riconoscibili ma trasfigurate, le domande, le riflessioni, le ricerche che occuparono la scrittura di tutta una vita. Ciascun brano è completo, compiuto in sé come il pezzo di una partitura musicale, e ciascuno sembra occupare esattamente lo spazio di una notte seguita dall'alba, tuttavia non c'è frammentazione, poiché comune è la tensione verso la luce, l'attesa della rivelazione portata dall'Aurora. «Come tutte le rivelazioni, l'Aurora mi è apparsa in molti modi. Nella Spagna del 1937, quando vi tornai a guerra ormai persa, fu un'Aurora di sangue. All'Avana, per sorprendere l'alba mi sdraiavo sulla riva del mare. Ho sempre camminato verso l'alba, non verso l'occaso; e ho sempre sofferto per tante albe precipitate nell'occaso».
Osman Lins nacque a Vitória do Santo Antão (Brasile) nel 1924. Trasferitosi a Recife per seguire i corsi universitari di Scienze economiche, scoprì ben presto la sua vocazione letteraria. A partire dal 1952 si dedicò completamente alla letteratura, con una vasta produzione che va dai racconti ai romanzi, ai testi teatrali, ai saggi. Dal 1970 in poi insegnò letteratura brasiliana nelle scuole secondarie di San Paolo. Morì in questa città nel 1978.
Nel 1987 è stata pubblicata presso Il Quadrante la traduzione italiana del suo romanzo Avalovara.
Introduzione di Claudio Magris Jan Neruda (Praga 1834-1891) non è soltanto uno dei grandi classici e padri fondatori della letteratura céca moderna, ma è soprattutto uno dei creatori di quel magico, fantastico e sanguigno paesaggio poetico che è l'immagine di Praga, città storica e insieme favolosa, realistica e mitica, una delle capitali della poesia moderna.
GLI AUTORI
Jan Neruda (Praga 1834-1891) non è soltanto uno dei grandi classici e padri fondatori della letteratura céca moderna, ma è soprattutto uno dei creatori di quel magico, fantastico e sanguigno paesaggio poetico che è l'immagine di Praga, città storica e insieme favolosa, realistica e mitica, una delle capitali della poesia moderna.