Quale eredità ci ha lasciato Kant? A partire dai suoi primi scritti sino alle sue opere fondamentali, si delineano qui - e vengono discussi - i concetti chiave della sua 'filosofia pratica', e i loro effetti sino a oggi: pena, (doveri verso la) natura, dignità. Categorie che, se in Kant hanno una fondazione morale, si declinano anche in senso giuridico. È il caso emblematico della pena - oggetto del primo capitolo - con riferimento alla quale Kant, al di là degli scopi che con essa si possono perseguire, è alla ricerca di un principio di giustificazione. Centrale anche il rapporto fra l'uomo e la natura, indagato nel secondo capitolo. Di fronte alle sfide dello sviluppo e dell'ambiente, alle urgenze dell'ecosistema, paiono trasformarsi gli stessi termini in gioco: le teorie etiche che coinvolgevano il soggetto-uomo si estendono ora ad altri soggetti, agli animali e al pianeta. E che ne è della dignità umana? Il terzo capitolo evidenzia che l'attuale dibattito intorno a questo principio è certamente diverso da quello verificatosi nell'immediato dopoguerra. E tuttavia, ora come allora, se non basta il semplice ritorno a Kant per risolvere i problemi, il richiamo al 'nocciolo duro' della dignità, che consiste nel considerare l'uomo come 'fine in sé', può continuare a offrire un punto cardinale per orientarsi.
Questo libro, presentato per la prima volta al lettore italiano, è un classico per gli specialisti di Pascal e del XVII secolo. Nelle dense pagine di quest'opera, Jeans Mesnard offre una lettura dei Pensieri destinata a rimanere di riferimento, come strumento capace di perlustrare la ricchezza e la complessità - lungamente sottovalutate - dei famosi frammenti pascaliani.
La filosofia di Emanuele Severino è destinata a interpellare filosofi, teologi e scienziati non perché ha per oggetto ciò che sta a fondamento della stessa cultura occidentale. Ripercorrendo le opere fondamentali - da La struttura originaria a Oltrepassare - Nicoletta Cusano compie una sintesi e insieme un'indagine teoretica su quell'oggetto obliato dalla tradizione e sul linguaggio che ne parla: l'oggetto è "la necessità dell'essere nel suo opporsi al non essere", il linguaggio "testimonia" questa verità. l'oblio è il nichilismo, la "grande follia dell'Occidente", consistente nel credere che le cose oscillino tra essere e nulla; da questa fede dipendono molte altre credenze infondate.
Severino dimostra la non evidenza del divenire sulla base del destino dell'essere, del suo stare necessariamente in opposizione al non essere: è impossibile stabilire il momento in cui una cosa smetta di essere o incominci ad essere, pena il cadere della contraddizione di far coincidere l'uno con l'altro. Il Nichilismo è la precompressione che abbiamo del mondo, perciò lo stesso Severino nell'assumere il linguaggio che testimonia la verità prende le distanze dal pensiero occidentale e al contento indugia in quel linguaggio che intende oltrepassare. La sua posizione teoretica non è inficiata, ma su questo residuo nichilistico- visibile nelle prime opere - si innesta un'altra riflessione: è possibile emendare del tutto l'errore?
Per Severino noi siamo errore, e proprio in quanto errore siamo testimoni dell'eterno che è in noi.
Martin Heidegger era un credente? E' noto che fosse un pensatore di formazione cattolica, ma qui l'interrogativo, accostandosi al vissuto spirituale, investe la cosa stessa del suo pensare,: la domanda sull'essere. In una prospettiva che fa dell'ermeneutica l'insieme di etica, estetica e filosofia, queste dimensioni diventano espedienti della fattività della vita in quanto tale. Di qui l'intreccio tra fede e ragione, filosofia e teologia, riflessioni che hanno lasciato un solco nel pensiero teologico contemporaneo - da Bultmann a Rahner, Przywara, Bonhoeffer - e persino nella fisionomia di Heidegger come "anticattolico". La sua stessa ricerca di una "nudità radicale dell'essere" afferma e nega al contempo il rapporto con la trascendenza: se la povertà dell'esserci è la ragione del suo filosofare - e quesito comune alla fede - quella stessa nudità è una condanna a non lasciar balenare le ragioni della salvezza attesa invece dal cristiano. Nel dialogo tra Pierfrancesco staggi e un testimone d'eccezione quale Heinrich Heidegger, emerge, insieme ai ricordi di famiglia, un ritratto inedito di Martin Heidegger.
Heinrich Heidegger, sacerdote diocesano e nipote di Martin Heidegger, si è laureato in Filosofia e Teologia all'Università di Freiburg e Munchen. Vicino allo zio nell'ultima fase della sua vita, ne ha raccolto preziose testimonianze filosofiche e teologiche. Dal 1994 a Mebkirch cataloga materiali sulla biografia del filosofo.
Pierfrancesco Stagi svolge attività di ricerca presso le Università di Torino, Tubingen e Freigburg.
Lo gnosticism o "spirit gnostico" costituisce l'essenza dell'epoca tardo-antica, visibile in Filone, in Origene e persino nell'antignostico Plotino: letteralmente "conoscenza", fa perno sull'angoscia dell'uomo e sull'idea di "fuga dal mondo". Per la sua naturale mescolanza di elementi mitologici e cristiani, ermetici e mistici, non è però circoscrivibile storicamente a un solo ambito, religioso o culturale. Una prospettiva dualista che, opponendo tenebre e luce, sfera mondana e sfera divina, è il sostrato del pensiero occidentale dall'antichità all'età moderna, ma anche del Novecento - con Heidegger, Barth, Benjamin… Questo stesso è il nucleo della speculazione di Hans Jonas, ed è presentato qui nei suoi lineamenti, frutto di un lungo scavo filologico, come "principio gnostico". Un pensare la contraddizione, e guadagnare la verità, che diventa modello ermeneutico: sul piano esistenziale si traduce nel rispondere all'angoscia del mondo con il "principio responsabilità" che, rovesciando la gnosi nel senso di appartenenza al reale, ci rende soggetti liberi di agire.
Hans Jonas (1903-1993) è stato tra i maggiori filosofi della seconda metà del Novecento.
Claudio Bonaldi collabora con l'Università di Milano per la cattedra di Filosofia morale.
Una delle difficoltà nella stesura della Biografia intellettuale di un filosofo si presenta nel tentativo di sistematizzare ciò che, per definizione, è in divenire: il pensiero. Quando però si cerca di ricostruirne l'evoluzione, nei suoi nodi teoretici frequentati per una vita, il modello biografico pare venir meno. È il paradosso del pensiero il cui movimento, in Ludwig Feuerbach (1804-1872) come perlopiù nelle menti speculative, si dà nel costante interrogarsi su un unico problema, nel suo caso sul rapporto filosofia/religione: un confronto di lungo periodo, che si dipana sotto il segno di vita, morte e immortalità; essenza, storia ed esistenza; individualità e empiria; uomo, natura e naturalismo. Temi, affrontati nei capitoli del volume, che prendono sul serio una problematica - l'essenza del cristianesimo - e ne diventano punti di osservazione, secondo un modello ermeneutico auspicato da Feuerbach medesimo, che fa del domandare l'essenza stessa della filosofia. Questa biografia riesce da una parte a restituire un volto complessivo di Feuerbach, con ampi riferimenti a lettere, scritti del periodo giovanile e inediti - risultato di uno studio più che trentennale e della consultazione del Nachlass -; dall'altra a metterne in discussione i punti teoretici più critici e le opinioni dominanti. Un'opera di riferimento per la storiografia, destinata a riscrivere la stessa interpretazione del filosofo tedesco.
"L'originalità (cioè la produzione non imitata) della immaginazione, quando sbocca in concetti, si dice genio […] inventare qualcosa è del tutto diverso da scoprire. Infatti la cosa che si scopre, si ammette già preesistente, solo che non era conosciuta. Ora il talento di inventare si chiama genio". Immanuel Kant
Nella nozione di genio - come ingegno o talento - si intrecciano l'universale e il particolare dell'esperienza umana. Muovendo da una riflessione filologica, Giampiero Moretti delinea l'andamento dall'antichità al secolo scorso, rilevandone le oscillazioni: genio è una facoltà ce ogni uomo possiede in quanto uomo o rinvia oltre; è comune a tutti gli uomini o è unica nel singolo? Se sempre più le funzioni della mente con cui si percepisce il mondo si traducono da sensi in senso e creatività, allora il genio ha per oggetto la verità o se ne sgancia? Un motivo di fondo che attraversa la storia dell'estetica e raggiunge la sua massima tematizzazione nel '700 e '800 come categoria estetica - si pensi a Kant, ove esso destina l'arte alla sua piena autonomia.
Ma l'originalità di questo volume sta nell'attraversare i principali paradigmi estetici e al contempo trascenderli in una stabilità del concetto che ne mostra la portata teoretica. In quanto forma con cui l'uomo si accosta alla realtà, il concetto di genio investe la stessa teoria della conoscenza. Un concetto intrinseco ai nodi diffondo della storia del pensiero: il problema della soggettività e oggettività, la verità, la rappresentazione, l'immaginazione. Questioni perenni della filosofia, sulle quali l'estetica ha un suo particolare sguardo.
E' possibile esaurire i dilemmi etici in un conchiuso sistema di definizioni astratte? E' evidente come essi prorompano quotidianamente proprio in questioni limite, nelle quali è sempre più difficile parlare di "verità" e di "valori". Ciò spinge l'autore a porsi una domanda radicale: se non si dà una visione metafisica unitaria del reale e quindi dei suoi fondamenti etici, come può declinarsi un'etica che non voglia liquidare la questione in senso puramente relativistico, ma che cerchi ancora un "dover essere" nel nostro stare al mondo?Si presentano qui i lineamenti per un'etica non astratta ma intrisa di verità r azione: fondata su un'oggettività normativa, come un'imperativo del nostro agire che interroghi anzitutto il soggetto quale fonte di azione e decisione morale e centro di relazione.
L'Ethica, l'opera di Spinoza che così profondamente ha segnato il pensiero contemporaneo, fu pubblicata postuma dai "suoi amici" proprio così come era stata lasciata per la stampa dallo stesso autore. Non è lecito chiedersi, una volta constatata la presenza di alcuni passaggi "anomali" nell'opera spinoziana, se gli stessi amici, dopo la scomparsa di Spinoza, siano intervenuti sul testo che il filosofo aveva apprestato. In altre parole, l'Ethica di Spinoza è a tutti gli effetti l'Ethica di Spinosa. Questi gli interrogativi sui quali si concentra il volume di Di Vona, scrutando l'uso delle categorie di Spinoza e sciogliendo le ambiguità mediante un'acuta analisi concettuale dei testi e un'indagine storico-filologica del pensiero spinoziano.
Nel genere dell’intervista l’andamento autobiografico può essere l’occasione per rievocare un mondo e ripensare questioni aperte. È il caso di questo colloquio con Givone, il quale da un lato ripercorre gli anni in cui Torino era al centro del dibattito filosofico – bastino i nomi di Nicola Abbagnano, Luigi Pareyson, Pietro Chiodi, Augusto Guzzo, e dei più giovani Umberto Eco e Gianni Vattimo –, dall’altro riflette sull’eredità teoretica mutuata da Pareyson (il misterioso intrecciarsi di Dio con il male e la libertà) e sul suo stesso itinerario. Un percorso che, avendo al centro il problema del nulla – insieme possibilità di grazia, ma anche di annientamento –, ha condotto Givone a delineare un pensiero tragico che è, nel medesimo tempo, una filosofia del bene di vivere. Tragico perché sfida e sopporta le contraddizioni dell’esistenza, e teso verso il bene come modo di stare al mondo: custodendo le parole in cui si svela l’umano. Quelle parole che Givone ha cercato di catturare nelle sue prove narrative.
Un libro per comprendere il «ritorno della religione» oggi nell'incertezza dell'esistenza umana. La definizione di religione come "prassi di superamento della contingenza" da parte di uno dei protagonisti del dibattito internazionale sui rapporti tra religione, società e politica.