Emma De Tessent. Eterna stagista, trentenne, carina, di buona famiglia, brillante negli studi, salda nei valori (quasi sempre). Residenza: Roma. Per il momento - ma solo per il momento - insieme alla madre. Sogni proibiti: il villino con il glicine dove si rifugia quando si sente giù. Un uomo che probabilmente esiste solo nei romanzi regency di cui va matta. Un contratto a tempo indeterminato. A salvarla dallo stereotipo dell'odierna zitella, solo l'allergia ai gatti. Il giorno in cui la società di produzione cinematografica per cui lavora non le rinnova il contratto, Emma si sente davvero come una delle eroine romantiche dei suoi romanzi: sola, a lottare contro la sorte avversa e la fine del mondo. Avvilita e depressa, dopo una serie di colloqui di lavoro fallimentari trova rifugio in un negozio di vestiti per bambini, dove viene presa come assistente. E così tutto cambia. Ma proprio quando si convince che la tempesta si sia finalmente allontanata, il passato torna a bussare alla sua porta: il mondo del cinema rivuole lei, la tenace stagista. Deve tornare a inseguire il suo sogno oppure restare dov'è? E perché il famoso scrittore che Emma aveva a lungo cercato di convincere a cederle i diritti di trasposizione cinematografica del suo romanzo si è infine deciso a farlo? E cosa vuole da lei quell'affascinante produttore che continua a ronzare intorno al negozio dove lavora?
Un giorno il mondo si sveglia e scopre che sono finiti il petrolio, il carbone e l'energia elettrica. È pieno inverno, soffia un vento ghiacciato e i denti aguzzi del freddo mordono alle caviglie. Gli uomini si guardano l'un l'altro. E ora come faranno? La stagione gelida avanza e non ci sono termosifoni a scaldare, il cibo scarseggia, non c'è nemmeno più luce a illuminare le notti. Le città sono diventate un deserto silenzioso, senza traffico e senza gli schiamazzi e la musica dei locali. Rapidamente gli uomini capiscono che se vogliono arrivare alla fine di quell'inverno di fame e paura, devono guardare indietro, tornare alla sapienza dei nonni che ancora erano in grado di fare le cose con le mani e ascoltavano la natura per cogliere i suoi insegnamenti. Così, mentre un tempo duro e infame si abbatte sul mondo intero e i più deboli iniziano a cadere, quelli che resistono imparano ad accendere fuochi, cacciare gli animali, riconoscere le erbe che nutrono e quelle che guariscono. Resi uguali dalla difficoltà estrema, gli uomini si incammineranno verso la possibilità di un futuro più giusto e pacifico, che arriverà insieme alla tanto attesa primavera. Ma il destino del mondo è incerto, consegnato nelle mani incaute dell'uomo... Mauro Corona ancora una volta stupisce costruendo un romanzo imprevedibile. Un racconto che spaventa, insegna ed emoziona, ma soprattutto lascia senza fiato per la sua implacabile e accorata denuncia di un futuro che ci aspetta
"It's the end of the world as we know it (and I feel fine)" cantavano i R.E.M. alla fine degli anni Ottanta e con loro tutti gli adolescenti di quel periodo. Tutti tranne Giuliano, per il quale la libertà di poterla cantare a squarciagola è stata una difficile conquista. Giuliano è l'ultimo nato di una numerosa famiglia meridionale. Sua madre, Assunta, è una donna mite e devota che ha annientato se stessa per occuparsi dei figli. Il padre è un depresso cronico, che sfoga in modo violento la sua frustrazione. Un giorno Assunta accoglie in casa due sconosciuti in abiti eleganti che, annunciandole l'imminente giudizio di Dio, le promettono la felicità e la salvezza eterna destinate agli "eletti". L'ingresso di Assunta in seno alla "Società" porterà a drastici cambiamenti nella sua vita e in quella dei suoi figli, costretti loro malgrado a condividerne la scelta. Soprattutto Giuliano, combattuto tra il desiderio di assecondare le imposizioni e le manie religiose di una madre sempre più ossessionata dal peccato e il tormento che gli procura una vita di privazioni incomprensibili: l'isolamento a scuola, un amore soffocato e vissuto come colpa da nascondere, le sue giornate non più scandite da feste, partite di pallone o gite al mare ma dalle cupe assemblee nella "Sala del Regno" e dal servizio di testimonianza porta a porta.
"Correte. Mio padre sta uccidendo mia madre". La telefonata arriva alla stazione di polizia alle due del mattino. A farla è un bambino biondo con due grandi occhi blu che fissano il vuoto. Ma la mamma gli toglie la cornetta dalle mani: non è vero, non è accaduto niente, suo figlio urla nel sonno, si aggira per la città nel cuore della notte, suo figlio è sonnambulo. È un bambino che, notte dopo notte, sogna la fine del mondo. Trenta anni più tardi, un terribile sospetto scuote una città del Nord Italia: i bambini di una scuola materna accusano gli adulti di azioni orribili. Ben presto, propagato da giornali e televisioni come una pestilenza del nuovo millennio, il contagio della paura si allarga all'intero Paese. Tutta l'Italia si sente minacciata dal Male. In molti cominciano a sussurrare il nome del Diavolo. È in atto una cospirazione diabolica o si sta scatenando una caccia alle streghe? Nella stessa città, un professore universitario disilluso, legato a una donna che ama ma dalla quale non vuole figli, viene sollecitato da un grande giornale a condurre un'inchiesta sul caso che spaventa l'Italia. Lui oppone resistenza. Ben presto, però, risucchiato dal gorgo della cronaca nera, dovrà scoprire quanto sia sottile la linea che separa la vittima dal carnefice, l'accusato dall'accusatore. E i terrori notturni di quel bambino che sognava la fine del mondo riemergeranno implacabili, almeno fino all'alba di una speranza.
“Mettiamo che un giorno il mondo si sveglia e scopre che sono finiti petrolio, carbone e corrente elettrica. Non occorre immaginarlo, prima o dopo capiterà. Ma facciamo finta che sia già qui. Ha un brutto muso quel giorno. Tempo duro, infame, che scortica il mondo a coltellate. Lo spoglia di tutto. Di quel che serve e di quel che non serve. La gente all'improvviso non sa che fare per riacciuffare il necessario: sta dentro la natura, ma, per averlo, occorre tirarlo fuori, cavarlo con le mani. E la gente, le mani, non le sa più usare”. Che cosa succede agli uomini che non sanno più cavarsela senza energia? Prima, per scaldarsi, bruciano i mobili, poi i soldi. Prima, per nutrirsi, mangiano qualsiasi cosa, poi diventano antropofagi...
La funesta profezia del 21 dicembre 2012 è solo un esempio. L'ultimo, se i Maya avevano ragione. Il fatto è che periodicamente l'umanità si prepara a sloggiare dal pianeta Terra. Millenarismi di ogni tipo per secoli hanno alimentato la credulità popolare, e ogni scampato pericolo è sempre servito solo come carburante per la profezia successiva. In particolare, però, è la generazione di noi contemporanei quella che sta coltivando con maggiore convinzione l'idea di essere l'ultima della storia del mondo. Dopo di noi, il diluvio: e pazienza per i posteri, fossero anche i nostri figli. Potrà essere un collasso finanziario, oppure un drammatico stravolgimento climatico, forse un'ondata migratoria devastante, uno tsunami di spazzatura, una guerra mondiale, la fine delle risorse petrolifere. Oppure tutte queste cose assieme, senza escludere i classici del cinema: impatto con un meteorite o invasione di extraterrestri. Se pure i Maya avessero torto, un'apocalisse sembra davvero alle porte se non altro la fine dei mondo così come siamo abituati a viverlo da qualche secolo a questa parte. Ecco lo specifico contemporaneo: ci sentiamo talmente sicuri di un'imminente apocalisse (una qualsiasi apocalisse) che ci siamo convinti di non poter fare nulla per fermarla. Se ne ricava la più classica delle profezie che si auto verificano: siccome la fine del mondo ci sarà, ci sarà la fine del mondo.
C'era una volta un bambino che aveva un dolore, non se ne separava mai. "Il dolore era fedele al bambino," ed era solo con lui che voleva giocare. Il bambino se ne prende cura, lo nutre, lo accompagna ai margini del piccolo paese ai piedi di una montagna, nel bosco, lo tiene con sé a scuola, sotto la tavola quando mangia. Anche il padre del bambino ha un dolore, che a volte, senza preavviso, butta giù le porte della casa, e latra con urli che sembrano arrivare dal centro del mondo. Quel dolore così distruttivo spaventa il bambino e lo fa sentire solo: almeno fino a quando, insieme al suo cucciolo, conosce la bambina sottile che vive oltre la ferrovia. Allora ogni cosa prende la forma di lei, le foglie che cadono sono le sue mani, il passaggio a livello le sue ciglia che sbattono, i binari le sue gambe sottili distese nell'erba. Con un testo critico di Emanuele Trevi.
Gioia ha sempre pensato che ci fosse una parola per dare un senso a tutto. Dove quelle che conosceva non potevano arrivare, c'erano quelle delle altre lingue: intraducibili, ma piene di magia. Ora, il quaderno su cui appuntava quelle parole giace dimenticato in un cassonetto. Gioia è diventata la notte del luminoso giorno che era: ha lasciato la scuola e non fa più le sue chiacchierate, belle come viaggi, con il professore di filosofia, Bove. Neanche lui ha le risposte che cerca. Anzi, proprio lui l'ha delusa più di tutti. Dal suo passato emerge un segreto inconfessabile che le fa capire che lui non è come credeva. Gioia non ha più certezze e capisce una volta per tutte che il mondo non è come lo immagina. Che nulla dura per sempre e che tutti, prima o poi, la abbandonano. Come Lo, che dopo averla tenuta stretta tra le braccia ha tradito la sua fiducia: era certa che nulla li avrebbe divisi dopo quello che avevano passato insieme. Invece non è stato così. Gioia non può perdonarlo. Meglio non credere più a nulla. Eppure, Lo e Bove conoscono davvero quella ragazza che non sorride quasi mai, ma che, quando lo fa, risplende come una luce; quella che, ogni giorno, si scrive sul braccio il verso della sua poesia preferita. Che a volte cade eppure è felice. È quella la Gioia che deve tornare a galla. Insieme è possibile riemergere dal buio e scrivere un finale diverso. Insieme il rumore del mondo è solo un sussurro che non fa paura. Enrico Galiano ha finalmente deciso di regalare ai suoi lettori il seguito di "Eppure cadiamo felici".
New York, ottobre 1927. Sono i giorni in cui Sam Warner, il più autorevole dei Warner Bros, con l'introduzione del sonoro, sta cambiando per sempre la storia del cinema e della cultura del Novecento. Assistente del grande produttore cinematografico è il giovane Jake Singer, che dopo la morte improvvisa di Warner passerà al servizio di Joe Kennedy, il capostipite della più importante famiglia americana del XX secolo. Kennedy è un uomo controverso, duro, discusso, smodatamente ambizioso e disposto a tutto pur di raggiungere i suoi obiettivi. Ma è anche intelligentissimo, visionario e coraggioso. La sua, e quella dei suoi figli, sarà una storia leggendaria e drammatica, di cui Jake Singer è testimone privilegiato e narratore, e col suo racconto, serrato e avvincente, ci restituisce luci, ombre, atmosfere e protagonisti di una famiglia che è diventata mito. Con "Il principe del mondo" Antonio Monda continua la sua ricostruzione romanzesca di New York, la "capitale del mondo", la città dove tutto accade, il cuore pulsante del secolo americano.
Il volume intende offrire la prima indagine sistematica dei rapporti intercorsi tra la Commedia di Dante e la predicazione del suo tempo. La ricca e variegata letteratura omiletica tardomedievale (che include ad es. sermoni e prediche, esempi, regulae) viene puntualmente confrontata con il Poema, facendo interagire l'analisi con il decisivo ricorso al testo biblico e procedendo a inquadrare i risultati nel più ampio contesto del rapporto tra la Commedia e i diversi generi della letteratura religiosa due e trecentesca {visiones, rappresentazioni dell'aldilà, mistica, ecc.). Si delinea in questo modo una originale interpretazione di alcuni aspetti chiave del Poema dantesco (quali il profetismo e la conseguente finalità esortativa e morale), supportata anche da una serie di lecturae di canti e snodi cruciali della Commedia nei quali emergono possibili interferenze con la predicazione del tempo.
"Un bene al mondo" racconta di un paese sotto una montagna, a pochi chilometri da un confine misterioso. Un paese come gli altri: ha poche strade, un passaggio a livello che lo divide, e una ferrovia per pensare di partire. Nel paese c'è una casa. Dentro c'è un bambino che ha un dolore per amico. Lo accompagna a scuola, corre nei boschi insieme a lui, lo scorta fin dove l'infanzia resta indietro. E ci sono una madre e un padre che, come tutti i genitori, sperano che la vita dei figli sia migliore della loro, divisi tra l'istinto a proteggerli e quello opposto, di pretendere da loro una specie di risarcimento. Ma nel paese, soprattutto, c'è una bambina sottile. Vive dall'altra parte della ferrovia, ed è lei che si prende cura del bambino, lei che ne custodisce le parole. È lei che gli fa battere il cuore, che per prima accarezza il suo dolore. "Un bene al mondo" è una storia d'amore e di crescita; è una storia universale, perché racconta quanto può essere preziosa la fragilità se non la rifiutiamo. Basta cercarsi su una mappa, disseminare parole per trovarsi, provare altre strade e magari perdersi di nuovo.
"Parlo meglio di quanto non scriva" diceva Barbey d'Aurevilly "quando l'Angelo di fuoco della Conversazione mi prende per i capelli come un Profeta". E nell'"Armonia del mondo", dove il filo conduttore è l'Italia, davvero sembra che quell'Angelo si sia impadronito di Citati: che ci parli di gatti e di bambini, della maturità, della nube di scontentezza che ci avvolge, del giusto rapporto da tenere con gli oggetti, della morte nel mondo moderno, della scomparsa dei veri potenti (ma non del potere), di una Parigi dove tutto è traslucido come in un Bellotto, degli ospiti di un albergo di montagna, della lingua italiana moderna, sempre si ha l'impressione di partecipare a una luminosa conversazione capace di cogliere ciò che si nasconde in ciascuno di questi argomenti, o lo trascende. Una conversazione che ci offre, come ha scritto Giovanni Mariotti, "molte ragioni di ammirazione, una lezione di stile (nel senso non solo letterario) e un antidoto efficace al malumore".