«Uno scrittore scrive quello che può, un lettore legge quello che vuole», disse una volta Jorge Luis Borges. Intendeva che il lettore gode di una libertà che allo scrittore è preclusa: libertà di immaginare e di imparare, certo, ma anche libertà di leggere o non leggere un libro, di decidere cosa è o non è un classico, di ignorare le mode o gli obblighi di lettura. Un lettore o è libero o non è. Forse non è eccessivo definire Alberto Manguel, scrittore, traduttore, critico, direttore della Biblioteca nazionale argentina, il «lettore definitivo». E infatti nel corso di una vita intera dedicata ai libri ha costruito una biblioteca personale di oltre 35.000 volumi. Ma cosa succede quando si ritrova a dover traslocare dalla sua casa nella Loira a un piccolo appartamento newyorkese? Succede che deve scegliere quali volumi portare con sé e quali lasciare in un deposito, passarli in rassegna, uno dopo l'altro, e ascoltare la loro voce. La biblioteca di Manguel, a parte una manciata di esemplari, non possiede volumi particolarmente rari: è composta tanto di umili tascabili quanto di volumi rilegati in pelle, di novità luccicanti e di malconci libri che si porta dietro in ogni trasloco fin da quando era bambino, libri belli e libri brutti. Il fatto è che i libri raccontano tutti una storia. Non solo quella che c'è scritta dentro (che a volte non è nemmeno la più importante), ma quella che si portano dietro. Perché ogni biblioteca è un luogo di memoria: sugli scaffali si succedono non solo i volumi ma anche il ricordo di quando leggemmo quel determinato testo, la città in cui l'abbiamo comprato, la persona che ce lo consigliò, il piccolo o grande dolore che quella lettura ha saputo lenire. Una libreria è una collezione di malinconie e di gioie, un repertorio di persone amate o dimenticate, un tributo alla speranza (o all'illusione) che quell'inerme massa di carta possa in qualche modo restituirci l'immagine degli individui che siamo. Così, mentre imballava la sua biblioteca e ne ascoltava la voce, Manguel ha scritto questa luminosa elegia con «dieci digressioni» che è tanto un diario di letture quanto una meditazione appassionata e urgente sulla lettura nel tempo presente; un'autobiografia e una riflessione sull'importanza delle biblioteche pubbliche e delle librerie per cucire insieme il tessuto civile di una comunità; una storia d'amore e di libertà degna di Eco e di Borges.
Un volume sulle monete, sulle attività finanziarie e le banche nell'antica Roma. Nell'opera si mostra come i Romani non ignorassero i problemi monetari e finanziari familiari a noi moderni (inflazione, deflazione, interessi). Al tempo stesso, si chiarisce come essi avessero regolato con grande cura, anche sul piano giuridico, tutta la sfera finanziaria, con strumenti molto sofisticati e in parte non molto diversi da quelli attuali.
I giorni del cielo sono giorni di pace, tranquilli come il mare cristallino; così calmi, così tranquilli in Dio.
I giorni del cielo sono giorni santi, liberi per sempre dal peccato; puri e custoditi da Dio.
Il pastore Albert Benjamin Simpson immagina così i “Giorni del Cielo”, che hanno ispirato il titolo di questo classico della letteratura devozionale evangelica.
Queste riflessioni bibliche profondamente spirituali, accompagnate da sprazzi di poesia, aiuteranno il lettore a gustare un assaggio di Cielo qui sulla terra.
Questo libro, alla sua XI edizione e progetto grafico a cura di Cinzia Napolitano ripercorre la vita della piccola Maria Goretti: un percorso lineare, inserito nel concreto, illuminato dalla fede. Alle grandi gesta preferiva il quotidiano, per cui tutto per lei era dono della Provvidenza. Il segreto della sua santità è racchiuso in questa “normalità”, vissuta in risposta a una precisa chiamata di Dio che l’ha vista protagonista nel contesto della sua famiglia, tra i fratellini, nelle difficoltà del mondo disperato e tragico delle paludi Pontine, nel dolore conosciuto precocemente, nel rifiuto di ogni violenza. L’episodio traumatico della sua morte e il perdono concesso al suo uccisore sono gli ultimi capitoli di una vita storicizzata nella dimensione della fede, della speranza e della carità.
La convergenza tecnologica e l'ibridazione con la Rete non hanno prodotto nell'ultimo decennio la tanto attesa (e paventata) fine della televisione. Ma certamente ne hanno ridisegnato i confini, ridefinendone gli operatori e i modelli produttivi e distributivi, moltiplicandone schermi e setting di fruizione, dilatandone l'esperienza, e i suoi significati, oltre l'originale unicità del medium e la stabilità delle pratiche di consumo. Questa nuova TV fluida, ubiqua, senza limiti di tempo, componibile, modulabile e definitivamente avvolgente ci pone davanti a una serie di sfide teoriche ed empiriche ineludibili: in primo luogo, l'idea di flusso, alla base della televisione dei palinsesti, sta cedendo spazio alle pratiche audience-controlled, che ridefiniscono schermi e tempi di visione, promuovono la circolazione (digitale) dei contenuti e integrano l'interattività nell'esperienza televisiva. In secondo luogo, ai broadcaster tradizionali si vanno affiancando nuovi player Over The Top (come, per esempio, Netflix e Amazon) all'interno di un ecosistema in cui cambia il modo di concepire e distribuire contenuti televisivi. Infine, le audience stesse, impegnate in un inesauribile andirivieni di esperienze che entrano e escono dai confini del medium, degli schermi e dei singoli contenuti, impongono una revisione dei modelli di osservazione, analisi e valorizzazione delle pratiche di consumo, con uno sguardo interessato a comprendere la nuova centralità della/e televisione/i.
L'ufficio prigionieri della Santa Sede operò come centro di smistamento per le richieste di informazioni da tutte le nazioni in guerra e insieme con altre associazioni umanitarie internazionali compi opera di soccorso per i prigionieri. Dalle informazioni raccolte nei loro archivi in un decennio di ricerche l'autore - uno dei maggiori studiosi della Grande Guerra - presenta la realtà dei campi di prigionia in Germania, Austria-Ungheria e Russia e le vicende dei prigionieri di ogni nazione europea, che vi furono rinchiusi, toccando anche aspetti sinora poco conosciuti.
I "Nuovi racconti romani" di Alberto Moravia sono stati scritti tra il 1954 e il 1959 e costituiscono la naturale continuazione del discorso avviato con i precedenti "Racconti romani", considerati dalla critica centrali nella produzione moraviana. Anche nei "Nuovi racconti romani" il mito proletario influisce non soltanto sulla visione del mondo, ma anche sulla scrittura che è leggermente "romanesca" come appunto il linguaggio corrente di Roma che non è più affatto dialettale come ai tempi dei Belli, ma appena velato da un superstite accento locale. La vastissima compagine di questi racconti, una vera e propria commedia umana, può apparire anche come una puntigliosa verifica della disfatta che insidia i propositi della vita.
Il presente studio non intende tanto arricchire la sterminata letteratura erudita su Dostoevskij, quanto invitare il lettore a un dialogo con lui, nello spirito di un filosofo italiano, Luigi Pareyson, che gli ha dedicato pagine intense e profonde, sostenendo che non è possibile «parlare di lui senza parlare con lui». Attraverso i maggiori romanzi di Dostoevskij si segue il progressivo approfondimento dell'unico tema che gli interessava veramente, la lotta tra il bene e il male nel cuore umano. In particolare ci si concentra su uno dei testi più giustamente famosi, "La leggenda del grande inquisitore", incastonata in uno dei romanzi più filosofici, "I fratelli Karamazov".
Inginocchiarsi è un gesto molto importante che dice rispetto e onore, riconoscimento e obbedienza, fragilità e invocazione. Le ginocchia sono una parte del corpo che racconta molte dimensioni della vita: il potere e la vulnerabilità, la forza e la sottomissione. In ebraico ginocchio e benedizione hanno la stessa radice, quella che sta alla base di ogni nostra azione generativa di affidamento e di adorazione, di consapevolezza del mistero nel quale siamo immersi.
Il volume contiene uno studio sulla genesi della scrittura musicale e in particolar modo sull’origine della notazione neumatica (senza il rigo musicale). È arricchito dalla presenza di fonti manoscritte e di tavole
Alberto Turco, mansionario del Capitolo della Cattedrale di Verona, dal 1965 dirige la Cappella musicale della Cattedrale e dell’Istituto Diocesano di Musica Sacra S. Cecilia