Che cosa intendiamo quando rivendichiamo le nostre «radici» culturali? Confondendo memoria privata e memoria collettiva, antropologia e nostalgia, storia e politica, ciò che vorremmo è che il nostro mondo rimanesse quello che abbiamo conosciuto. Nelle «radici» pensiamo di trovare l'autenticità e la purezza, ma le culture sono mutevoli e complesse, non sono musei di sopravvivenze imbalsamate. Una pacata ma stringente riflessione contro ogni uso distorto della tradizione e dell'identità.
Impalpabili, evanescenti, i sogni sono creature fragili, che svaniscono nella memoria pochi momenti dopo la loro apparizione. Sono nostri, li facciamo noi («stanotte ho fatto un sogno...»), e però questi grandi suscitatori di immagini, sensazioni, emozioni, visioni sfuggono completamente al nostro dominio. Il libro accompagna il lettore in un viaggio nella terra dei sogni, là dove abitano quelli degli antichi, quelli dei moderni, e quelli che da tempo immemorabile visitano le notti dell'umanità, perché comuni a tutte le epoche. Nitidi o vaghi, enigmatici, spaventosi quando assumono i contorni dell'incubo, confusi o assurdi, spesso sono più emozionanti di un film, più commoventi di una poesia, più comici di qualsiasi gag che la mente (conscia) possa escogitare, donano momenti di perfetta felicità oppure di scorato smarrimento. A differenza di noi, che i sogni li «facciamo», i Greci e i Romani li «vedevano»; per loro i sogni cadevano prima di tutto sotto l'organo della vista. Anche per questo il nostro viaggio è accompagnato da un ricco corredo di immagini che dispiegano il modo in cui i sogni sono stati «visti» da una miriade di artisti, dall'Antichità al Medioevo e al Rinascimento, dall'Ottocento fin dentro l'epoca contemporanea, a testimonianza dello straordinario potere germinativo della materia onirica, serbatoio simbolico inesauribile.
I classici antichi sono diventati soggetti di cui aver paura. Non era facile prevedere che un giorno qualcuno avrebbe messo in guardia i giovani dalla lettura delle opere greche e romane, cospargendole di avvisi di pericolo o addirittura escludendone direttamente alcune dal canone; gli stessi che avrebbero accusato i classici di aver contaminato la nostra cultura con il razzismo, il sessismo, il suprematismo bianco, arrivando al punto di auspicare addirittura l'abolizione del loro insegnamento. Invece è accaduto. Si tratta di un fenomeno recente, ma soprattutto nuovo, inatteso, le cui motivazioni non possono essere ignorate: e come tutte le cose nuove e inattese, ha fatto sì che fosse necessario tornare a riflettere sullo stesso problema - che cosa sono i classici per noi? - da un nuovo punto di vista. Maurizio Bettini ci esorta dunque a tenere vivo il dialogo e a fuggire i pericoli insiti nella sua interruzione. Perché è proprio questo che avviene, quando si manifesta la paura dei Greci e dei Romani: un'interruzione di dialogo fra noi e i classici; non solo, fra noi e la storia, fra noi e il passato.
Da sempre al centro della riflessione antropologica, lo studio delle forme della parentela consente di illuminare - come dimostrano queste pagine - il cuore stesso di una società. Le regole in base alle quali si stabiliscono filiazione e matrimonio, parentela paterna e parentela materna, il modo in cui si acquisiscono gli affini, e soprattutto il modo in cui ci si comporta nei confronti dei numerosi membri di un gruppo di parentela, costituiscono altrettante manifestazioni di "umanità". Questo volume illustra al lettore d'oggi la concezione antica, romana in particolare, della famiglia: dalla terminologia di parentela ai divieti matrimoniali, al contesto religioso, infine al ricorrere di temi parentali nella letteratura (Seneca, Ovidio, Virgilio, Sofocle), a riprova di come la parentela prenda forma, e nello stesso tempo funga da stimolo creativo, all'interno della cultura antica.
Maurizio Bettini insegna Filologia classica nell'Università di Siena ed è studioso di antropologia del mondo antico. Tra i suoi libri più recenti: "C'era una volta il mito" (Sellerio, 2007), "Voci. Antropologia sonora del mondo antico" (Einaudi, 2008), "Alle porte dei sogni" (Sellerio, 2009).
Secondo Plinio il Vecchio, se la 'vitalitas' dell'uomo risiede nelle ginocchia, la memoria risiede «nell'orecchio». Relegare questa affermazione nello sgabuzzino delle curiosità sarebbe un errore. «La memoria dell'orecchio» infatti ha l'immediato potere di svelarci uno dei fattori determinanti nella formazione della cultura romana, la parola parlata. I Romani cioè, e molte altre testimonianze ce lo confermano, sono ancora consapevoli del fatto che i costumi, le norme, i rituali, il ricordo del passato si tramandano (e si ricostruiscono) per via aurale. Come recita un proverbio ghanese «le cose antiche stanno nell'orecchio». A Roma non solo la produzione letteraria, ma anche il diritto, la pratica dello 'ius', viveva di «parola parlata», tanto che ai caratteri dell'alfabeto essa oppose spesso un'abile resistenza. E che dire del destino, concepito non come una «porzione» di vita ('móira'), alla maniera dei Greci, ma come una «parola», 'fatum', pronunziata dall'una o l'altra divinità? Perfino la norma indiscutibile e suprema che regolava il giusto e l'ingiusto, il lecito e l'illecito, ossia il 'fas', traeva origine da questa sfera: 'fas est', celebre e solenne locuzione romana, altro non significava se non «è parola che», proprio come molti secoli dopo si dirà «sta scritto che». Anche a Roma, però, la parola è soprattutto un evento sonoro. Come rivela la meravigliosa tessitura di «armonie foniche» che avvolgeva gli enunciati della produzione poetica, religiosa e giuridica di Roma arcaica: «armonie foniche», così le definì il grande Ferdinand de Saussure, che fu tra i primi ad appassionarsene.
Telecomunicazioni, trasporti, sanità, diritto, sono alcune delle grandi conquiste che l'umanità ha conseguito grazie all'evoluzione, lo studio e l'impegno di molte società. E le società islamiche? Loro non hanno contribuito a questa evoluzione, rimanendone passive beneficiarie. Fanalino di coda nelle graduatorie internazionali per democraticità, le società islamiche risultano essere, al contrario, ai primi posti per corruzione, nonostante nella loro religione risieda la soluzione a tutti i problemi socio-politici e giuridici. Diffamazione e islamofobia sembrano un pretesto per non accettare semplici constatazioni, come la chiusura delle frontiere alle migrazioni e le relative responsabilità.
Questo libro inizia con un episodio dell'Eneide: il naufragio dei Troiani sulle coste di Cartagine (nei pressi dell'odierna Tunisi, nel canale di Sicilia) mentre sono diretti in Italia. Enea e i suoi vengono accolti dalla regina Didone in nome dell'umanità e del rispetto verso gli dèi, perché le frontiere si chiudono di fronte agli aggressori, non ai naufraghi. Scrive Bettini: «Ci sono troppi dispersi nel mare che fu di Virgilio, troppi cadaveri che fluttuano a mezz'acqua perché quei versi si possano ancora leggere solo come poesia. Sono diventati cronaca». Il libro propone dunque una triplice esplorazione della cultura antica alla luce di ciò che oggi definiamo "diritti umani": per scoprire in Grecia e a Roma alcuni incunaboli della Dichiarazione; per misurare gli scarti che su questo terreno ci separano dalla società e dalla cultura antica; infine per mettere in luce alcune specifiche forme culturali in base alle quali Greci e Romani si ponevano problemi equivalenti a ciò che oggi definiamo diritti umani. Ancora una volta, riflettere sul mondo antico ci aiuta ad orientarci nel presente.
Quella del presepio è una storia che conosciamo tutti: la nascita di Gesù. Ci sono la Sacra Famiglia, una grotta, una capanna, la stella cometa, una mangiatoia, il bue, l'asinello e i Re Magi. La sua iconografia sembra essere tanto luminosa quanto immutabile. Ma, come spesso avviene con i racconti forniti di un forte significato culturale - quelli che hanno valore fondativo per una comunità o per un gruppo -, anche la narrazione della Natività è frutto di centinaia di anni di riscritture, di racconti che nel tempo si sono sedimentati su una base originariamente povera di dettagli. Nei Vangeli di Luca e Matteo molti degli elementi che popolano i nostri ricordi di bambini, infatti, non sono presenti. Non si parla né di una capanna né di una grotta, e nemmeno di due bestie che avrebbero tenuto al caldo il corpo del neonato. Queste pagine descrivono dunque il processo che ha condotto alla formazione di una vera e propria scenografia culturale della Natività, in base alla quale Gesù, che secondo Matteo era nato in una casa, passo dopo passo è arrivato a vedere la luce in una grotta, vegliato da animali soccorrevoli: come tanti eroi mitici dell'antichità destinati a cambiare il destino dei popoli. Quanto ai personaggi più fiabeschi del presepio - il bue, l'asino, i Re Magi -, scopriamo con sorpresa che la loro creazione, e la loro definizione, è stata prodotta non dalle invenzioni del folclore, ma da dotte speculazioni teologiche. Infine, l'autore disegna una vera e propria antropologia del presepio, mettendo in luce la trama di relazioni che da un lato lega fra loro la Sacra Famiglia, i pastori e coloro che «fanno il presepio », simbolicamente rappresentati da queste figurine; dall'altro ristabilisce il contatto con le statuette utilizzate nelle pratiche votive di epoca classica, per testimoniare, ora come allora, fedeltà, memoria e gratitudine alla divinità. Bettini ricostruisce questo avventuroso percorso antropologico con la cura del filologo e la passione del narratore, mostrandoci tutta l'affascinante complessità meticcia che si nasconde sempre dietro la tradizione.
Per i Greci i miti sono in primo luogo racconti: narrazioni meravigliose, che mescolano il divino e l'umano, il quotidiano e lo straordinario, suscitando davanti ai nostri occhi immagini di eroi, dèi, fanciulle, mostri e personaggi fiabeschi. Una schiera interminabile, perché più ci si addentra in questo fantastico mondo - attraverso l'ausilio della voce, della scrittura o delle immagini - più ci si accorge che ciascuno di questi racconti non è mai concluso in sé, ma rinvia sempre ad altri eventi, altri personaggi, altri luoghi, in un raccontare infinito che chiede solo di diventare a sua volta immagine o scrittura. La mitologia ha infatti la forma di una rete, in cui si intrecciano mille nodi. Nel corso del tempo, questa rete con i suoi molteplici richiami narrativi è stata calata infinite volte nel mare della cultura e, trascinata sul fondo, ha raccolto nomi, fatti, rituali, usi, costumi, regole, atteggiamenti, visioni del mondo. Per questo, raccontare o ri-raccontare oggi i miti degli antichi significa entrare dalla porta principale nella memoria della loro, della nostra cultura.
Questo libro attraversa i cieli stellati della mitologia antica, e prosegue il proprio cammino soffermandosi a Tebe, in Beozia: qui la futura madre di Eracle, Alcmena, soffre doglie terribili, finché una fanciulla non riesce a ingannare le nemiche della partoriente e a permettere la nascita dell'eroe. Solo che la liberatrice di Alcmena, rea di aver sconfitto la divinità, viene trasformata in una donnola. Perché proprio in una donnola? Per rispondere a questa domanda Maurizio Bettini compie un viaggio attraverso i mondi dei racconti e delle credenze antiche sugli animali: per scoprire che queste ultime costituiscono non una collezione di incomprensibili bizzarrie, ma una vera e propria enciclopedia simbolica che aiutava a «pensare» la realtà umana attraverso le figurazioni di una fantasia millenaria. Seguendo le tracce leggere della donnola - animale dal corpo sottile, soggetto di infinite storie, nomi, credenze che spesso la ricollegano al mondo femminile - "Nascere", che è insieme racconto ed esplicita riflessione di metodo, viene popolandosi man mano di streghe, levatrici, prostitute, spose mancate e spose infelici, conducendo il lettore dalla Grecia antica a Roma, dall'Irlanda medievale alla Scozia, e su su fino alla Scandinavia e al North Carolina degli inizi di inizio Novecento. Il racconto di Alcmena, storia femminile per eccellenza, ha varcato secoli e oceani per riproporre intatti i medesimi contenuti, le speranze e i timori di uno dei momenti centrali nell'esperienza femminile.