Anno 2053. Vittima di un incidente stradale dalla dinamica quantomeno grottesca, Antonio Martignoni si ritrova in Paradiso dove, accudito da una bellissima signora in blu ed esaminato da un burocrate celeste con le sembianze di Jean-Paul Sartre, inizia a poco a poco a familiarizzare con la sua nuova ed eterna condizione. Finché la Direzione decide di affidargli un "compito importante": raccontare per iscritto, in un file Word, la storia della propria vita, che diventerà uno dei "messaggi nella bottiglia" lanciati dal Cielo agli uomini rimasti sulla Terra. Grazie al fortunoso ritrovamento del file, sepolto in un vecchio computer, apprendiamo che Martignoni, all'età di 36 anni, pensava di farla finita. In preda alla disperazione, aveva intrapreso la sua ultima escursione nelle montagne tanto amate, quando un altro tragico e provvidenziale incidente gli apre una breccia verso il futuro, nella quale si lancia d'istinto: travolto dal desiderio di "spiare Dio da vicino", decide di trascorrere la seconda parte della sua vita come finto prete. Prima parroco di una sparuta comunità di montanari devoti e turisti ai piedi del Monte Rosa, poi pastore di 3500 anime in una Milano sospesa, surreale, angosciata per la misteriosa sparizione dei propri cittadini più anziani, "don" Antonio vive la sua missione tormentato dal senso di colpa, ma anche animato dalla ferma volontà di non tradire il suo fiducioso e inconsapevole gregge...
Specchio di una straordinaria esperienza umana e intellettuale, lo "Zibaldone" è la chiave di lettura di tutta l'opera leopardiana; ma è anche un testo autonomo, che si offre alle indagini più disparate. "Diario meramente interno e mentale", libro "unico probabilmente in tutte le letterature", come ebbe a definirlo Gianfranco Contini, questo sterminato laboratorio (4526 pagine autografe) è il luogo in cui convergono, tra l'estate del 1817 e l'inverno del 1832, sondaggi introspettivi, capitoli di diario, meditazioni filosofiche di folgorante genialità, frammenti di compiuta poesia, riflessioni sociali e politiche, note filologiche, analisi di testi antichi e moderni. Con la scoperta postuma dello "Zibaldone", Leopardi è entrato nel circuito delle grandi correnti del pensiero moderno, collocandosi tra sommi protagonisti come Schopenhauer e Nietzsche.
Questa nuova edizione dei Canti leopardiani si caratterizza, nel ricco panorama editoriale, per tre elementi di rilievo: fonde in una vasta Introduzione, che in realtà si presenta, pur con le adeguate articolazioni, come un vero e proprio libro sulla poesia del Recanatese, i vari ?cappelli" che solitamente si premettono ai singoli componimenti; onde il lettore può qui davvero seguire - quasi condotto per mano - tutto il complesso svolgersi dell'itinerario creativo e compositivo dei Canti, dalla giovanile canzone All'Italia all'estrema Ginestra; la stessa Introduzione, in una seconda e altrettanto ampia parte, mette a fuoco una questione poco affrontata dalla critica non specialistica: quella cioè della "lingua leopardiana", del suo nascere e del suo svolgersi - e del suo originalissimo affermarsi - dal grembo della tradizione dantesca e petrarchesca; l'accurata annotazione al testo nella quale non viene soltanto fornita la spiegazione del testo stesso, ma vengono registrate le diverse varianti, le fonti classiche, gli echi della precedente tradizione poetica, i richiami a particolari abbozzi o ad altri testi leopardiani.
Una novena nata come preghiera di preparazione alla ricorrenza liturgica del beato Giacomo Alberione (26 novembre), ma che per sua natura può essere recitata in ogni occasione perché la spiritualità autentica ha alcune dimensioni universali. "La preghiera finale di petizione o di rendimento di grazie ci permette di rinnovare la nostra fede nella misericordia di Dio e così disporci ad ottenere le grazie richieste per intercessione di don Giacomo Alberione, sempre finalizzate alla gloria di Dio e alla pace degli uomini ". (don José Antonio Pérez Sánchez, ssp, Postulatore generale della Famiglia Paolina)
Nelle dense pagine che lo compongono, il testo ci fa guardare al ministero di Francesco, alle sue parole e ai suoi gesti facendoci scorgere, come in controluce, l'evento del Concilio e l'afflato che lo ha accompagnato. Lo spirito conciliare emerge nitido e chiaro, nel progetto di Francesco di una Chiesa più giovane e aperta al mondo. Il libro, che riporta testimonianze di teologi e storici, aiuta a comprendere quanto e come il magistero conciliare riecheggi nel pontificato di Francesco.
Un ritratto suggestivo del cardinale Giacomo Biffi, una lettura acuta e profetica del presente in un'intervista condotta da Sergio Zavoli a fine anni Novanta e presentata in questa edizione da Francesco Botturi.
Il "Cannibale" Eddie Merckx, il più forte di tutti, e il "Pirata" Marco Pantani, un magnifico testardo che ci ha lasciato troppo presto. Beppe Saronni e la perfetta strategia della fucilata di Goodwood, Claudio Chiappucci e l'impresa tutta istinto del Sestriere. L'indisciplinato Peter Sagan e Laurent Fignon, il "Professore". E poi l'irrequietezza dell'enigmatico Gianni Bugno, l'impetuosa forza tranquilla di Miguel Indurain, il fascino di Fabian Cancellara e la spavalderia di Lance Armstrong, al centro dello scandalo più grande della storia del ciclismo. Il pistard dal passato difficile Bradley Wiggins, icona pop che sembra uscita dagli anni settanta, e l'ipertecnologico record dell'ora di Francesco Moser, uomo che al futuro si è sempre affidato. Un campione nato nel periodo sbagliato come Felice Gimondi e un campione, Bernard Hinault, che nel proprio tempo ha dettato legge. Che cosa hanno in comune questi assi delle due ruote? Ce lo svela Giacomo Pellizzari: ognuno, a suo modo, ha saputo rappresentare più di chiunque altro un aspetto peculiare dell'essere ciclista, ognuno ha incarnato, appunto, un carattere e lo ha portato ai suoi massimi livelli, accettandone tutte le conseguenze.
Hai cinque anni, due sorelle e desidereresti tanto un fratellino per fare con lui giochi da maschio. Una sera i tuoi genitori ti annunciano che lo avrai, questo fratello, e che sarà speciale. Tu sei felicissimo: speciale, per te, vuol dire "supereroe". Gli scegli pure il nome: Giovanni. Poi lui nasce, e a poco a poco capisci che sì, è diverso dagli altri, ma i superpoteri non li ha. Alla fine scopri la parola Down, e il tuo entusiasmo si trasforma in rifiuto, addirittura in vergogna. Dovrai attraversare l'adolescenza per accorgerti che la tua idea iniziale non era così sbagliata. Lasciarti travolgere dalla vitalità di Giovanni per concludere che forse, un supereroe, lui lo è davvero. E che in ogni caso è il tuo migliore amico. Con "Mio fratello rincorre i dinosauri" Giacomo Mazzariol ha scritto un romanzo di formazione in cui non ha avuto bisogno di inventare nulla. Un libro che stupisce, commuove, diverte e fa riflettere.
La banca e il ghetto sono due invenzioni italiane. Nel 1516 veniva fondato il ghetto di Venezia. Negli stessi anni, sempre in Italia, si assisteva alla nascita di un nuovo modello finanziario, destinato a grandi fortune: la banca pubblica. Questa coincidenza non è casuale. La banca e il ghetto sono le due costruzioni complementari di una modernità che riconosce nella finanza l'aspetto più efficace del governo politico. La banca diventa in Italia, tra Medioevo e Rinascimento, un'invenzione strategica grazie alla quale le oligarchie cristiane al potere (dagli Sforza ai Gonzaga ai Medici, dal papa alle élites di Venezia o Genova) controllano direttamente lo spazio sociale che dominano. Si crea così la possibilità di indicare come economia "dubbia" quella in cui operano gli "infedeli". Il prestito a interesse e le attività economiche affidate dai governi agli ebrei sono derubricate ad attività minori e non rappresentative dell'economia "vera" degli stati. Questo percorso conduce alla delegittimazione progressiva della presenza ebraica in Italia e culmina con l'istituzione dei ghetti.
Attraverso 15 brevi e appassionanti capitoletti il cardinale Biffi propone una sintesi del contenuto della fede cristiana, dando così un contributo molto agile all’Anno della fede.
«C’è chi pensa che aver fede sia qualcosa di fortuito e, tutto sommato, di irrilevante (press’a poco come aver i capelli rossi o gli occhi grigi). Qualcuno è dell’avviso che il credere sia magari anche una fortuna, ma una fortuna del tutto casuale (come far soldi al “gratta e vinci”). I più comunque ritengono sia qualcosa di marginale nell’esistenza dell’uomo.
Gesù che è il solo maestro che non delude non è di questo parere. Egli mette in relazione la fede con la salvezza: per lui è dunque qualcosa di sostanziale, qualcosa di necessario se non si vuole che la nostra avventura umana finisca in un fallimento.
Non si può dunque parlare di fede, se insieme non si parla del fatto che abbiamo tutti bisogno di essere salvati. Da che cosa? Dall’insignificanza nostra e dell’universo, dall’indegnità morale, e dalla prospettiva che la morte coincida con il nostro annientamento. La fede ci salva da tutti questi guai.
La fede non è primariamente un prodotto della mente, del cuore, della sensibilità dell’uomo, quasi che possa decidere l’uomo come mettersi in rapporto con la Divinità. Ma piuttosto è la nostra risposta alla provocazione benefica di Dio.
È un aprirci al discorso appassionato del Padre che risuona sempre nell’annuncio evangelico, è fare spazio al Signore che viene a liberarci, è un arrenderci al fuoco trasformante del suo Spirito.
Ed è un atto che coinvolge tutto l’uomo: la sua intelligenza, perché è uno sguardo sulla verità integrale; la sua volontà, perché l’uomo decide di credere liberamente; il suo amore, che è chiamato a superare il nativo egoismo».