Il libro si presenta come una lettura da compiere all'interno di un ciclo di meditazioni. Ricco di profondi spunti di riflessione, è da leggersi a ritmi lenti e non d'un fiato, con frasi ora brevi, ora incalzanti. Il testo affronta le problematiche dell'uomo che, alla ricerca di Dio, si interroga sulla fede, sulla sua esperienza umana e cristiana, sulla sofferenza, il dolore. La constatazione del male presente nell'uomo alimenta i dubbi, la scienza sembra poter spiegare tutto. Ma la realtà umana, così come appare all'uomo moderno, può trovare l'unica risposta convincente nel valore dell'amore di Dio come fonte indispensabile della vita e della felicità dell'uomo. Il libro è rivolto soprattutto a coloro che, pur avendo fede, sono toccati dal dubbio per la loro esperienza personale di confronto con la cultura moderna laica e disincantata.
Il progresso della medicina, come quello di ogni altro campo del sapere attinente all'uomo, sembra affidato allo sviluppo tecnologico. La diagnostica per immagini rende visibile il dettaglio e in chirurgia le conquiste della robotica permettono di intervenire in modo sempre più selettivo. La conoscenza dell'individualità del paziente sarebbe quindi più precisa grazie alla capacità di cogliere aspetti sempre più fini e caratterizzanti. Tuttavia, spiega Giovanni Stanghellini, l'indagine sul paziente nelle sue componenti più minute non ha lo scopo di personalizzare la diagnosi e la cura, ma piuttosto di ridurre ciò che è personale a una categoria generale e dunque astratta. Psichiatra e psicoterapeuta, Stanghellini sa bene che ciascuna persona, con le sue risorse particolari e le sue fragilità, configura la malattia in maniera assolutamente individuale. E dimostra che la medicina ha bisogno di uno sguardo esterno e laico che sappia cogliere la sua idolatria per il cono di luce del proprio sapere. Uno sguardo disposto ad affrontare l'inquietudine di chi rinuncia alla sicurezza dell'astrazione e della classificazione disciplinare per comprendere ogni sofferenza rispettandone la singolarità. Che cosa significa scoprirsi vulnerabili? Che cosa vuol dire attraversare l'esperienza della malattia? È questa la zona d'ombra della medicina, che richiede di essere esplorata per ciascun paziente, ogni volta. Il riconoscimento della persona e della sua unicità non è solo un'opzione etica, ma un vero e proprio vincolo epistemologico per la buona prassi della cura.
Un nuovo caso sconvolge la routine quotidiana del commissario Stefania Valenti: in una mattina di dicembre, poco prima di Natale, la carcassa di un suv viene avvistata nelle acque del lago, in località Ponte del Diavolo, sulla strada tra Lezzeno e Bellagio. Nella macchina, intrappolato tra le lamiere, viene scoperto il cadavere di Irina Bogdanov, una donna di origine russa di trentotto anni che possiede una bellissima villa sul lago: la donna è annegata in circostanze misteriose, dopo un rocambolesco incidente. Cosa le è accaduto? Si tratta di una disgrazia o c'è qualcosa di più? Le indagini fin dall'inizio si concentrano sulla vita della donna, nonostante la sua situazione sentimentale appaia inizialmente tutt'altro che tormentata: figlia di un magnate dell'industria del petrolio, separata di fatto dal marito, un misterioso uomo d'affari italiano, da anni Irina Bogdanov conduceva una vita riservata. Mentre in questura tutti aspettano l'imminente arrivo del nuovo commissario capo, Stefania Valenti inizia a indagare sulle cause della morte della donna, nel tentativo di risolvere il mistero legato all'incidente. Qualcuno ha volutamente manomesso i freni dell'auto. Chi voleva uccidere Irina? La soluzione del caso si annida nelle poche frequentazioni della donna, sullo splendido scenario delle grandi ville sul lago, degli hotel a cinque stelle e delle serate all'insegna della mondanità.
Con la preoccupante affermazione dei movimenti antiestablishment nelle principali realtà occidentali, tutte le iniziali diagnosi ottimistiche sulla tenuta delle democrazie liberali appaiono meno fondate. Per spiegare cosa sta succedendo, Giovanni Orsina rilegge le vicende dell'ultimo secolo individuando tre momenti fondamentali. I primi due - la trasformazione del rapporto tra Massa e Potere a partire dagli anni trenta e la cesura rappresentata dal Sessantotto, quando entrò in crisi l'idea che la Storia procedesse secondo una logica - sono comuni a tutto l'Occidente. I caratteri peculiari che rendono più grave la situazione del nostro paese vanno individuati, invece, nella svolta di Tangentopoli, con il trionfo dell'antipolitica. Da allora molte cose sono cambiate: basti pensare che, mentre dopo il 1992 la Lega Nord era il principale alfiere dell'antipolitica, oggi è il più vecchio partito in Parlamento. Siamo di fronte a un ulteriore passaggio: l'avanzata dei movimenti antiestablishment si salda alla crisi dei sistemi democratici. Se l'ultimo ventennio non ha visto sorgere proposte risolutive, cosa dobbiamo aspettarci dal futuro?
La riflessione offerta da san Giovanni Paolo II nell'enciclica "Laborem Exercens", di cui ricorre il 40° anniversario della pubblicazione (1981-2021), rappresenta un contributo prezioso in un momento di crisi del lavoro, con le sue gravi conseguenze sulla vita personale, sociale ed economica. La diffusa domanda di sviluppo sostenibile in funzione della casa comune richiede una rinnovata consapevolezza del fatto che «il lavoro costituisce una dimensione fondamentale dell'esistenza». Plasmato dalla mano di Dio, all'uomo è stato affidato il compito di plasmare la terra per l'«incremento del bene comune», e del «patrimonio di tutta la famiglia umana». Attraverso il lavoro, la persona scopre ed esprime se stessa contribuendo al sostentamento della famiglia e del popolo al quale appartiene; per questo la disoccupazione costituisce una ferita profonda e interpella tutta la società. Nell'attuale «tempo di scelta», per tanti versi drammatico, la ripresa della "Laborem Exercens" potrà alimentare negli uomini del lavoro, come quarant'anni fa, nuove forme di responsabilità e di solidarietà.
Il catechismo che Giovanni Calvino redasse nel 1537 a partire dall’affermazione biblica secondo cui «tutti gli uomini sono nati per conoscere Dio» è un’esposizione sintetica e didattica in lingua francese della sua opera principale, l’Institutio christianae religionis, nonché una confessione di fede evangelica.
Nell’intento di far conoscere e comprendere al popolo, in particolare ai giovani, la Bibbia e le dottrine fondamentali del cristianesimo, nel 1537 Giovanni Calvino scrisse in francese un compendio dell’Istituzione della religione cristiana, sua opera fondamentale uscita in latino l’anno precedente.
La chiesa non si conserverà mai senza catechismo, poich’esso è come la semenza per far sì che il buon grano non perisca, ma si moltiplichi d’età in età. E perciò se desiderate costruire un edificio di lunga durata e che non rovini in breve tempo, fate sì che i fanciulli siano istruiti con un buon catechismo, che mostri brevemente e in modo loro comprensibile ov’è il vero cristianesimo.
Giovanni Calvino
Sperare è operazione veramente difficile, soprattutto oggi: sperare, cioè spingersi oltre ciò che contrasta la vita e la sua pienezza, non è cosa scontata. Proprio per questo è importante riscoprire il senso della speranza, dal punto di vista sia umano che religioso. E questo è l’intento del presente saggio.
Ancona sviluppa il suo percorso toccando in successione queste tappe: lo sperare umano, quale azione fondamentale nell’esperienza di ogni persona; la difficoltà a sperare nel clima culturale del presente; lo sperare dell’uomo religioso, e del cristiano in particolare; la preghiera, la sofferenza, l’agire e il giudizio come luoghi specifici di apprendimento dello sperare; l’esercizio concreto dello sperare nella storia.
È reso così disponibile al lettore un itinerario che lo motiva a scommettere ancora sulla speranza. Perché sperare – non solo per se stessi, ma anche per gli altri e anzi per l’intera creazione – è bello e rende liberi: sperare prospetta come realizzabile una compiutezza cui tendiamo, apre a una totalità che dischiude ulteriori orizzonti di senso.
Un buco e un ranocchio, due buchi e due tucani, tre buchi e tre meduse... Imparare a riconoscere i numeri è facile se si può giocare con le immagini e i buchi da toccare con le dita. Giocando e rigiocando, si impara a contare! Età di lettura: da 3 anni.
A distanza di molti anni, Giovanni Bianconi ha interpellato i familiari di Moro e i suoi stretti collaboratori; i suoi carcerieri, gli uomini e le donne delle Brigate rosse; gli uomini dello Stato, anche in ruoli di vertice, della Democrazia cristiana e della polizia. Sulla base di testimonianze e valutazioni inedite, e di un enorme lavoro di ricostruzione e di indagine, ha poi ripercorso, momento per momento, gli accadimenti e il clima dei 55 giorni che hanno cambiato per sempre la storia e il cammino dell’Italia repubblicana. Dichiarazioni sepolte, intercettazioni, rapporti e verbali di polizia prendono luce come in un puzzle gigantesco dove, inesorabile, si rivela un disegno. Un racconto che lascia con il fiato sospeso, fino alla fine che credevamo di conoscere. Il racconto di come, a partire da un preciso momento, la sentenza contro Aldo Moro abbia preso la sua forma irrevocabile. Fino a essere eseguita. Nel contesto della vita di tutti, nella primavera 1978.
Il testo si propone come una sintetica teologia fondamentale, ma si presta anche ad essere utilizzato per una prima introduzione alla teologia, coprendo di fatto le due aree disciplinari, la fondamentale e l'introduzione. In una prospettiva teorica non apologetica si suggerisce un superamento della classica tripartizione di rivelazione, fede e testimonianza, nella quale abitualmente si articola il trattato, per ritrovare la loro unità nell'articolazione della triplice componente - teologica, antropologica ed ecclesiologica - del concetto cristiano di fede. In questo senso il titolo parla di "evento della fede" poiché si tratta di un evento che è di Dio proprio in quanto implica l'atto dell'uomo come determinante e produttivo della sua stessa evidenza.
Sono trascorsi ormai trent’anni dalla morte di Andrea Mandelli, eppure la memoria della sua breve esistenza è ancora viva.
Quarto di sette fratelli, cresce in un ambiente familiare e comunitario molto vivo, che desta in lui molteplici interessi e una inesauribile passione di vita. Tutto lo interessa, tranne lo studio. Per questo i genitori lo iscrivono all’Istituto Sacro Cuore di Milano. Di lì a poco emergono i sintomi di una malattia che diventa la circostanza attraverso la quale realizzare il suo più profondo desiderio: diventare santo.
Sorprendentemente la malattia lo rende ancora più intenso, teso a vivere pienamente ogni incontro e ogni istante: «Io da questa malattia ho imparato l’obbedienza a Gesù, perché non posso decidere quello che faccio nel giro di un’ora. Perché se mi viene la febbre non posso fare quello che avevo deciso. E così ho imparato ad obbedire a Gesù in ogni momento».
Fino a una totale consegna di sé, come scrive agli amici pochi giorni prima di morire: «Carissimi, a cosa serve la vita se non per essere data? Io adesso sono a completa disposizione. Non devo più decidere. Ma a questo punto è tutto nelle Sue mani. Voglio concludere ogni cosa per poter non far altro che aspettare».