La grande storia di Erodoto, uno dei padri della storiografia, narra la lotta tra Europa e Asia, ossia i contrasti tra Greci e "barbari". Dopo alcuni rapidi accenni alle origini mitiche del dissidio, Erodoto passa ad analizzare le cause delle guerre persiane, interrogando fonti di prima mano (orali e non) per discernere il vero dalla menzogna. Ma Erodoto è innanzitutto un narratore, e non disdegna di arricchire il proprio discorso riferendo miti e versioni fantasiose, disseminando nell'esposizione dei fatti storici innumerevoli excursus sui più vari aspetti dei territori e delle genti di cui tratta: usi, costumi, favole e leggende, economia e religione vengono descritti con grande attenzione, con curiosità, interesse e a volte con meraviglia, fino a costituire una sorta di variegata enciclopedia delle popolazioni del Mediterraneo. È un racconto, quello di Erodoto, che non stanca mai e che, come tutti i grandi classici, continua a dispensare piacere e sapere, senza risentire del passare del tempo. «Espone qui Erodoto di Alicarnasso le sue ricerche, perché delle cose avvenute degli uomini non svanisca col tempo il ricordo; né, di opere grandi e meravigliose, compiute sia da Elleni sia da Barbari, si oscuri la gloria; e narrerà fra l'altro per quale causa si siano combattuti fra loro».
Tutta l'Asia si muove per partecipare alla spedizione che il re di Persia, Serse, organizza contro Atene e la Grecia al fine di vendicare la sconfitta patita dal padre Dario. Del viaggio e dei popoli che lo compiono Erodoto fornisce una descrizione precisa e affascinante: dei luoghi, degli usi, dei costumi, dell'abbigliamento e degli armamenti delle diverse etnie. Per noi moderni, però, il centro del libro è la battaglia delle Termopili nell'estate del 480 a.C, che per primo Erodoto descrisse e che da più di due millenni è impressa nella memoria collettiva: quando, come recita un'iscrizione riportata proprio dallo storico, in quel passo tra i monti, «un giorno, contro tre milioni combatterono quattromila uomini dal Peloponneso»; resistenza, tradimento, aggiramento, ferocia e valore, vittoria e sacrificio sino all'ultimo istante: «Alla maggior parte di loro» scrive Erodoto dei momenti finali, quando i quattromila sono ridotti a trecento spartani, «le lance si erano ormai spezzate, ed essi uccidevano i Persiani con le spade. E in questo scontro cade Leonida, dopo essersi rivelato uomo valorosissimo e, intorno a lui, altri illustri Spartiati». I Greci indietreggiano verso la parte stretta della strada e vanno ad attestarsi su una collina: «Questa collina si trova all'ingresso del passo, dove ora è collocato il leone di pietra in onore di Leonida. E qui, i barbari li seppellirono con i dardi, mentre si difendevano con le spade - quelli che ancora le avevano -, con le mani e con i denti, alcuni, inseguendoli di fronte e demolendo il muro di difesa, altri, circondandoli tutto intorno da tutte le parti». Lo scontro tra Greci e Persiani deflagra in tutta la sua portata: è uno scontro tra civiltà, tra ideali opposti gli uni agli altri.
La parola "storia", nel greco antico, significava soprattutto "inchiesta", ovvero quell'indagine che a partire dalla narrazione dei fatti avvenuti, e dalla riflessione su essi, aveva l'ambizione di individuare le ragioni logiche per le quali cause ed effetti si connettevano tra loro dando luogo alle vicende degli uomini: dalle guerre alle gesta degli eroi, passando per i grandi viaggi per il Mediterraneo e le fondazioni di città, I due maggiori rappresentanti di quella che possiamo considerare contemporaneamente una scienza e un'arte, la storiografia, furono Erodoto - di fatto considerato il "padre della storia" - e Tucidide - che seppe formalizzare in maniera sapiente i criteri metodologici ai quali uno storico doveva attenersi.
Mentre leggiamo le Storie, vediamo Erodoto, animato da una curiosità insaziabile verso la totalità dell'esistenza, entrare nei templi e "osservare, conversare, porre domande, ascoltare, riflettere, paragonare, sollevare problemi, ragionare, talvolta concludere". Egli considera con attenzione e rispetto tutto ciò che fa l'uomo - tutte le nostre imprese gli sembrano degne di interesse o memorabili. E, insieme, sparge un'onnipresente ironia sugli orgogli, le vanità, le pretese, le follie, la hybris dell'uomo. Prima o dopo di lui, nessuno ha mai saputo orchestrare così perfettamente una storia totale: i fatti politici, economici, militari, i costumi, le leggende, le favole, il folclore, la geografia, i monumenti si equilibrano in un'opera che respira l'immensità e la libertà degli spazi aperti.
Le "Storie" sono la grande opera con cui la Grecia celebra la sua resistenza ai barbari - i persiani - contro i quali essa difese i valori della libertà e dell'individuo. Ma rappresentano anche l'architrave della disciplina storica. Erodoto è infatti nel V secolo a. C. il primo ad analizzare i fatti nel loro concatenarsi razionale, sottraendoli al fatalismo e alla visione mitica. Tanto che la sua indagine laica, volta a comprendere le ragioni degli avvenimenti, gli valse la definizione di "padre della storia" da parte di Cicerone.
I nove libri delle Storie trattano dei contrasti e delle lotte tra i Greci e i barbari prima e durante le guerre persiane, investigandone le cause. L'opera, che si basa sulla raccolta di materiali frutto di ricerche dirette, narra di paesi e popoli diversi, coprendo un arco di vari secoli. Attento alla dimensione religiosa, Erodoto la coniuga con un senso acuto della relatività dei fenomeni umani: pur accogliendo fatti mitici o leggendari, egli rifiuta l'interpretazione mitica della storia e fonda il suo racconto - che si avvale di uno stile semplice ed efficace - sull'analisi critica sorretta da una passione investigativa laica e razionale.
I bibliotecari alessandrini intitolarono al nome di Calliope - la Musa della poesia epica - il nono libro, l'ultimo, delle Storie di Erodoto. E ad essa paiono conformarsi l'argomento e il tono del libro. Strettamente legato al precedente, esso narra la fase terminale dell'epico scontro fra Persiani e Greci negli anni 480-479 a.C. Tre i nuclei principali del racconto: la battaglia di Platea; quella, avvenuta lo stesso giorno, di Micale; e infine la conquista di Sesto. Se intorno a questi avvenimenti si dipanano e si intersecano, come è tipico di Erodoto, continue digressioni - lunghi preparativi bellici, cataloghi di forze militari, narrazioni biografiche, descrizione di luoghi e aneddoti -, non v'è dubbio che l'attenzione dello storico si concentri sulla sequenza principale. Ecco che, scomparso Serse dalla scena, il libro si apre con l'occupazione e la devastazione di Atene da parte del generale Mardonio. Eppure, a questo tragico inizio fa seguito una memorabile riscossa: nonostante le invidie, i contrasti, le incomprensioni fra Ateniesi e Spartani - che culmineranno dopo quasi cinquant'anni nella Guerra del Peloponneso -, le due città rivali lottano qui insieme. Su richiesta della prostrata Atene, Sparta invia un grosso contingente comandato da Pausania. La tensione monta intollerabile per dieci giorni, mentre i due eserciti si fronteggiano. Poi, scoppia in combattimento furibondo, in cui i guerrieri si affrontano lontani e arcaici come eroi omerici e allo stesso tempo vicini e attuali come gli uomini più familiari. Con gli Ateniesi immobilizzati, tocca agli Spartani e ai Tegeati reggere l'urto. E i Persiani vengono alla fine sbaragliati. Collegando il trionfo di Platea al glorioso disastro delle Termopili all'inizio delle Guerre, Erodoto scrive: «Allora, secondo l'oracolo, fu pagata da Mardonio la pena dell'uccisione di Leonida, e Pausania, figlio di Cleom-broto, figlio di Anassandrida, riportò la vittoria più bella di tutte quelle che conosciamo». Battuti per mare e per terra, a Micale e più tardi a Sesto, i Persiani iniziano il ritiro definitivo. Poco prima, il crepuscolo viene annunciato dalla fosca vicenda di Serse invischiato nella passione per la moglie di suo fratello: quasi una novella di depravazione e violenza, a incorniciare il primo capolavoro della storiografia occidentale. Questa edizione integralmente rinnovata del nono libro contiene anche l'Indice dei nomi di tutte le Storie, la cui pubblicazione verrà completata nel 2008 con il settimo libro.
Indice - Sommario
Introduzione al Libro IX
Bibliografia
Abbreviazioni bibliografiche
Sommario del Libro IX
Tavola cronologica
Cartine
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Nota al testo del Libro IX
Il Libro IX delle Storie
Scoli
COMMENTO
Appendici
Indice generale dei nomi
Nell'edizione completa delle Storie di Erodoto pubblicata dalla Fondazione Valla, l'ottavo libro è stato commentato da uno dei maggiori studiosi dell'antichità classica, David Asheri, professore all'Università di Gerusalemme, da poco scomparso. Pietro Vannicelli ha aggiornato la bibliografia.
Il libro comincia sotto segni sinistri per i Greci. I Persiani occupano Atene abbandonata e deserta: vi è rimasto soltanto un piccolo gruppo di Ateniesi, che barricano l'Acropoli con travi. Quando i Persiani vi salgono, i Greci si gettano giù dalle mura o cercano rifugio nel megaron dove vengono massacrati. L'Acropoli è incendiata. Poco tempo dopo, nelle acque di Salamina, avviene la battaglia decisiva, davanti agli occhi di Serse, seduto in trono sulle pendici del monte Egaleo, come un personaggio di Kurosawa. La flotta greca sconfigge la flotta persiana: mentre una parte dell'esercito persiano torna in patria, torturata dalla fame e dalle pestilenze. Tra i protagonisti greci e persiani, uno primeggia fra tutti: Temistocle, il nuovo Ulisse, geniale, audace, avido, corrotto, senza scrupoli; lo sguardo di Erodoto è diviso tra ripugnanza e ammirazione.
Per Erodoto, tutto ciò che accade sulla scena del mondo è doppio. Da un lato, è opera umana: gli eventi sono frutto del coraggio e del timore, dell'intelligenza e della stupidità, della tenacia e dell'indolenza degli uomini; dovunque rintracciamo la presenza del caso. D'altro lato, gli dei agiscono visibilmente nella storia: compiono prodigi, vogliono equilibri, tessono la loro rete misteriosa al di sopra dei disegni umani. La cosa più singolare è che questi due piani coincidono tra loro e si fondono in un solo tessuto. Anche la mente di Erodoto è doppia: a tratti sembra fresca e ingenua; ma è sempre complessa, intricata, sfaccettata, tanto che il suo ultimo giudizio sui fatti sfugge spesso alla nostra comprensione.
Indice - Sommario
Introduzione
Bibliografia
Abbreviazioni bibliografiche
Sommario del Libro VIII
Tavola cronologica
Cartine
Sigla Nota al testo del Libro VIII
Il Libro VIII delle Storie
Scoli
Commento
Appendici
Indici dei nomi
Le storie sono la grande opera con cui la Grecia celebra la sua resistenza ai barbari - i persiani - contro i quali essa difese i valori della libertà e dell'individuo. Ma rappresentano anche l'architrave della disciplina storica. Erodoto è infatti nel V secolo a. C. il primo ad analizzare i fatti nel loro concatenarsi razionale, sottraendoli al fatalismo e alla visione mitica. Tanto che la sua indagine laica, volta a comprendere le ragioni degli avvenimenti, gli valse la definizione di "padre della storia" da parte di Cicerone. Due volumi con cofanetto. Testo greco a fronte.
Mentre leggiamo le Storie, vediamo Erodoto, animato da una curiosità insaziabile verso la totalità dell'esistenza, entrare nei templi e "osservare, conversare, porre domande, ascoltare, riflettere, paragonare, sollevare problemi, ragionare, talvolta concludere". Egli considera con attenzione e rispetto tutto ciò che fa l'uomo - tutte le nostre imprese gli sembrano degne di interesse o memorabili. E, insieme, sparge un'onnipresente ironia sugli orgogli, le vanità, le pretese, le follie, la hybris dell'uomo.
Prima o dopo di lui, nessuno ha mai saputo orchestrare così perfettamente una storia totale: i fatti politici, economici, militari, i costumi, le leggende, le favole, il folclore, la geografia, i monumenti si equilibrano in quest'opera che respira l'immensità e la libertà degli spazi aperti.
Con il quinto libro delle Storie, tradotto e commentato da uno dei più noti studiosi europei di Erodoto, entriamo in un nuovo mondo, rispetto ai primi quattro libri. Non ci sono più i grandi spazi asiatici e nordafricani, che ci avevano condotto sino ai confini della terra conosciuta, e ci avevano dato la vertigine dell'infinito. Il nostro spazio è la piccola Grecia, sia asiatica che europea. La storia unitaria di tutta la Persia si frantuma in molteplici storie locali di città greche (sullo sfondo, Atene e Sparta), le quali però si richiamano e riecheggiano a vicenda, come parti di una storia non meno universale di quella persiana. Come sempre, il racconto è impareggiabile per freschezza, intelligenza, ironia. Erodoto cerca le minime cause degli eventi; studia le doppie motivazioni; e spiega il contrasto tra la concezione greca e quella persiana della geografia. Egli mostra come gli uomini architettino grandi progetti, che credono di poter realizzare; mentre poi giunge il caso, che si diverte a scompigliare tutti i progetti umani. Mai Erodoto è stato meno nazionalista che in questo libro. La rivolta ionica, che faceva ormai parte dei miti eroici della Grecia, viene rappresentata come un'avventura inutile e sciagurata, nata dall'eccesso di benessere e dalle oscure ambizioni di qualche dubbio personaggio.
Indice - Sommario
Introduzione ai Libri V-IX
Bibliografia
Abbreviazioni bibliografiche
Introduzione al Libro V
Sommario del Libro V
Tavola cronologica
Cartine
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Nota al testo del Libro V
Il Libro V delle Storie
Scolî
LEXEIS
COMMENTO
Indice dei nomi
Prefazione / Introduzione
Dall'introduione ai libri V-IX, di Giuseppe Nenci
E opinione diffusa che le Storie si possano idealmente suddividere nelle due parti corrispondenti agli attuali libri I-IV e VI-IX, fra le quali farebbe da cerniera il libro V.
Alla base di questa convinzione troviamo però motivazioni divergenti: una cosa è infatti sostenere che la diversità derivi da un rimaneggiamento profondo dei primi libri in funzione della storia delle guerre persiane; un'altra cosa è ritenere che la materia degli ultimi libri esigeva una trattazione diversa. Per i fautori della cosiddetta teoria dei logoi, che risale allo Schoell e fu teorizzata dal Bauer nel 1878, le varie parti dell'opera sarebbero state composte separatamente, ubbidendo ogni logos allo stesso schema, dopo di che Erodoto avrebbe più o meno abilmente legato fra loro i vari nuclei tematici: di qui la disorganicità dell'opera, le sproporzioni fra le diverse parti, le digressioni. Ripresa dal Jacoby nel 1915, che ripete le tesi dei logoi scritti per essere resi noti separatamente e rimaneggiati poi in uno scritto unitario per lumeggiare la storia delle guerre persiane, la teoria ha infine trovato nel De Sanctis lo storico che l'ha portata alla sua più coerente teorizzazione. Per il De Sanctis, avendo Erodoto davanti a sé modelli quali gli Annali (come quelli di Carone di Lampsaco), le Periegesi e le Genealogie (come quelle di Ecateo) o monografie sui barbari (i Persikà di Carene di Lampsaco o i Lydiakà di Xanto di Lidia), non avrebbe potuto fare un'opera assolutamente nuova. Per questa ragione Erodoto avrebbe scritto a sua volta alcuni logoi (sui Lidi, gli Egizi, gli Sciti e i Libi) e poi avrebbe pensato di inquadrarli in una storia della Persia, che facesse da cornice, trattandosi di popoli tutti combattuti o incorporati dai Persiani. Una simile narrazione avrebbe poi comportato anche la storia della "grande guerra" fra Grecia e Persia, e specialmente quella di Serse. Sempre secondo il De Sanctis, avvicinandosi alla storia della grande guerra, Erodoto avrebbe sentito crescere l'interesse del pubblico, comprendendo la grandezza della materia che aveva la possibilità di trattare e dando alla sua opera la forma attuale. Di qui lo spostamento dell'interesse dall'etnografia alla storia: di qui la preponderanza della narrazione della guerra fra Grecia e Persia tale da mutare radicalmente il piano della sua opera.
La teoria dei logoi, che è stata il Leitmotiv della critica erodotea dal secolo scorso fino agli anni trenta del Novecento', porta perciò con sé la considerazione che i libri V-IX siano una sorta di coda che avrebbe finito col trasformare geneticamente il resto. Per chi viceversa ritenga che la struttura dell'opera non sia tale da giustificare la teoria dei logoi, che ha alla sua radice una visione formalistica della struttura di un'opera letteraria e fu influenzata dal parallelo dibattito sui poemi omerici fra analisti e unitari, i libri V-IX non si differenziano affatto dai precedenti, salvo che per ragioni legate al loro contenuto. Come è stato osservato, nella seconda parte delle Storie Erodoto non poteva più usare la sua percezione materiale di viaggiatore, ma soltanto paragonare le fonti: in questo senso, "la narrazione della guerra è perciò più derivativa e di conseguenza in un certo senso inferiore"2.
Per questo motivo il nesso unitario fra la prima e la seconda parte delle Storie, più volte richiamato da Erodoto, va visto nella storia dell'espansionismo persiano e nella ricerca della causa del conflitto fra Greci e Persiani. E un nesso esplicitamente dichiarato nella nota premessa delle Storie, che giustifica nello stesso tempo l'interesse per tutto ciò che (in quanto umano e grande) diviene degno di ammirazione, nonché la genesi del conflitto greco-persiano. L'umanità diventa con Erodoto soggetto e oggetto della storia, lasciati al loro destino gli dei delle Teogonie: questo è il laico messaggio di Erodoto; nelle Storie la divinità sovrasta come sempre gli uomini, ma non interviene più direttamente, come nell'immaginazione omerica.
La diversità fra i libri I-IV (in cui prevale la storia degli ethne) e V-IX (caratterizzati da storie di poleis) è se mai da cogliere nel diverso modo, più serrato, di trattare gli eventi, nel venire meno della necessità di pagine etnografico-scientifiche (non era necessaria una etnografia greca), e nella scoperta del concetto unificatore di Hellenikòn, che Erodoto individua nell'unità di sangue, di lingua, di religione, di costumi e istituzioni simili fra Greci, e non nell'abitare una terra chiamata Hellàs. Inoltre, nei libri V-IX, se si eccettua la voluta inserzione della storia arcaica di Sparta e di Atene, le digressioni si fanno più rare sia ratione materiae, sia per l'esigenza di collegare più strettamente fra loro eventi ben connessi anche cronologicamente - cosi la rivolta ionica e le due spedizioni persiane in Grecia -, mentre il loro spazio viene in qualche modo riempito da discorsi ora più frequenti come fra protagonisti più ravvicinati.
In sostanza, è più agevole cogliere ciò che accomuna fra loro le due parti delle Storie, se tali vogliamo che siano, che non ciò che le distingue. E cosi le accomuna l'identica cura nell'affrontare i problemi, la stessa tensione morale, la stessa visione della vita e del mondo: un mondo in cui l'etica delfica della moderazione e i primi spunti di uno spirito laico convivono in Erodoto, sempre presente col suo io narrante, se è vero che "leggerlo è come sentirlo parlare", perché di fatto egli scrive come parla. Il vero nesso unitario dell'opera erodotea sta nel fatto che la sua storia è funzione della sua storiografia, ovvero del modo in cui Erodoto concepiva il mestiere e il lavoro dello storico.
Il quarto libro delle Storie contiene la storia più bella narrata da Erodoto. Sotto la guida di Dario I, un grande esercito persiano avanzò nella Scizia: nel cuore dei paesi del freddo, dove per otto mesi all'anno il mare gela, il freddo fa cristallizzare le lacrime nell'occhio, e l'orizzonte è nascosto da una nevosa tempesta di piume. I cavalieri sciti si ritirarono come fantasmi davanti all'armata di Dario, distruggendo i raccolti, bruciando i pascoli, riempiendo i pozzi di terra, o comparendo all'improvviso sui loro cavalli, per aggredire i soldati che riposavano accanto ai fuochi accesi nella notte. I Persiani non potevano raggiungerli, a meno che non divenissero uccelli per assalirli dal ciclo, o non si trasformassero in topi per inseguirli sotto terra, o in rane per balzare nelle paludi. Così Dario decise di tornare in patria. Gli arcieri a cavallo della Scizia avevano sconfitto gli strateghi del "re dei re". Gli sciamani avevano scrutato il futuro meglio dei maghi achemenidi. L'antica patria degli Iranici era rimasta lontana e imprendibile, come i grifoni che custodiscono l'oro tra le nevi del Settentrione.
Nessuno dei grandi affreschi etnologici di Erodoto è forse pari a quello che egli ha dedicato alla Scizia: con le pagine meravigliose sulle tombe, i rituali funebri, le cerimonie sciamaniche. Le modernissime indagini archeologico-etnologiche, che Aldo Corcella ha raccolto con precisione e completezza nel suo commento, non fanno che confermare ciò che ha scritto Erodoto, quest'uomo innamorato dell'esattezza.
L'ultima parte del libro è dedicata alla Libia: Erodoto si inoltra sempre più lontano nel deserto, tra le montagne e le case di sale, dove non scende nemmeno una goccia di pioggia. Quando giungiamo tra gli uomini che non hanno nomi propri ne sogni, noi, che siamo fatti di nomi e di sogni, sappiamo di aver toccato la fine del mondo.
Il volume è accompagnato da un ampio inserto iconografico di ori e documenti scitici.
Indice - Sommario
Introduzione al Libro IV
Bibliografia
Abbreviazioni bibliografiche
Sommario del Libro IV
Cartine
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Nota al testo del Libro IV
Il Libro III delle Storie
Scoli
Lessico
COMMENTO
Appendici
Indice dei nomi
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
Il quarto libro di Erodoto si apre con la decisione da parte di Dario di marciare contro gli Sciti; ciò avverrebbe "dopo la presa di Babilonia", narrata alla fine del terzo libro. Questa vaga datazione ha fatto molto discutere; e stabilire quando realmente la spedizione ebbe luogo non è facile. Sarebbe comunque un errore non riconoscere che l'indicazione erodotea è funzionale al "tempo narrativo": Erodoto dice che la spedizione avvenne dopo la presa di Babilonia perché ha deciso di narrarla subito dopo di quella, ma l'intervallo di tempo effettivo resta indeterminato, celato - come spesso accadeva nell'epica - nell'apparente continuità del racconto. Contemporaneamente alle ultime fasi della spedizione di Dario si svolge d'altro canto la spedizione in Libia; tutta la narrazione del quarto libro si sviluppa intorno a questi due eventi, quasi simultanei ma raccontati in sequenza, uno dopo l'altro.
All'iniziale dichiarazione sulla spedizione scitica fa seguito l'indicazione della causa. Come di consueto in Erodoto, sulla motivazione economica generale (la ricchezza dell'Asia, la volontà di espansione) si innesta la causa particolare, la vendetta. Il motivo della vendetta riporta la narrazione indietro, con un richiamo all'invasione scitica dell'Asia di cui Erodoto aveva parlato a I 103-6. Questo flashback offre il pretesto per raccontare un episodio relativo al ritorno degli Sciti dall'Asia: un piccolo excursus all'interno del quale se ne inserisce un altro (la lavorazione del latte da parte degli schiavi). Nel cap. 4, quindi, l'excursus viene chiuso con una tipica formula di passaggio che ci riporta al tema della spedizione di Dario enunciato al cap. I: "Fu così che gli Sciti dominarono sull'Asia, e... tornarono in patria nel modo che ho detto. Per questo motivo Dario, volendo vendicarsi, raccoglieva un esercito contro di loro".
A questo punto ci attenderemmo il racconto della spedizione. Questo racconto comincerà però solo al cap. 83; i capp. 5-82. sono invece occupati da un ampio excursus, il cui argomento è la Scizia e gli Sciti.
II
II modo in cui questo excursus si sviluppa ricorda da vicino il logos egizio del secondo libro. L'intimo nesso tra le due sezioni consiste nell'analogo atteggiamento, nel comune indirizzo della ricerca. Se il logos egizio si apre con la dichiarazione che gli Egizi sono il popolo più antico o quasi, all'esordio di quello scitico viene detto che gli Sciti sono i più giovani; entrambe queste affermazioni vengono quindi discusse attraverso un'analisi delle tradizioni locali, messe a confronto con quelle greche. Il problema dell'origine del popolo si lega così a quello dell'estensione del territorio e della sua delimitazione: per l'Egitto, si discute della sua natura di "dono del Nilo", della sua posizione a cavallo tra Asia e Libia e delle regioni all'estremo sud, fino alle foci del Nilo; per la Scizia, delle regioni poste all'estremo nord.
Erodoto va così esplorando i confini dello spatium historicum e dello spazio geografico, e la sua ricerca lo porta a una polemica contro i predecessori: se i racconti mitistorici greci vengono smentiti dalle tradizioni locali, le nozioni della geografia ionica si rivelano troppo schematiche rispetto alla realtà. L'excursus di IV 36.2.-45 sulla divisione tra le parti del mondo, apparentemente pretestuoso, trova così una sua motivazione: alla base della descrizione geografica della Scizia c'è la medesima esigenza di controllo e di verifica dei dati precedentemente noti ai Greci, e cristallizzati nei loro peripli e carte, che animava l'inizio del libro secondo (nonché la riflessione sulle regioni estreme del mondo a III 106-16); e a IV 36.2.-45 Erodoto può finalmente tirare le somme, su un piano più generale, di tutto questo lavoro.
Solo tenendo presenti questi presupposti la struttura per certi versi disordinata del logos scitico può risultare più chiara. Innanzitutto, Erodoto deve fare i conti con i precedenti autori greci. Dell'origine degli Sciti e dei popoli che, al di là della Scizia, vivevano ai margini del mondo conosciuto, aveva già parlato una curiosa figura di poeta, Aristea di Proconneso, in un altrettanto singolare poema, le Arimaspee. Ma Aristea, tipico esponente di quella schiera di figure misteriose a proposito delle quali si raccontavano, nella Grecia tra età arcaica e classica, reincarnazioni, sparizioni miracolose, episodi di ubiquità, non era un personaggio che potesse incontrare il favore di Erodoto. A esordio del proprio poema egli affermava di essere approdato tra gli Issedoni "per un in-vasamento di Apollo": qualcosa di simile, forse, ai mistici arabi medievali sempre pronti a partire dalla natia Spagna per il loro misterioso "oriente". Aristea, per parte sua, doveva parlare di un volo magico, e discorreva degli Iperborei, il mitico popolo apollineo ben noto ai poeti greci. Tutto ciò sembrava fatto apposta per destare la diffidenza di Erodoto, il quale rivela chiaramente il suo scetticismo sulla realtà del viaggio di Aristea; e anche gli studiosi moderni, incerti perfino sulla sua collocazione cronologica, non sanno decidere se Aristea fosse solo un sublime ciarlatano, che inserì nel racconto del suo "viaggio dell'anima" elementi geografici, etnografici e mitici raccolti da ogni dove; oppure un reale viaggiatore, spintosi dalla Propontide fino agli avamposti settentrionali della grecità e di lì penetrato nelle steppe eurasiatiche, dove figure e leggende sciamaniche poterono corroborare una vocazione apollinea ben diffusa in tutte le colonie milesie del Ponto.
Non si finirebbe mai di leggere Erodoto: via via che procediamo nella lettura, cresce la nostra ammirazione per quest'uomo ironico, tragico e tranquillo, che insegnò a tutti gli europei l'arte di raccontare. Come il secondo, il terzo libro delle Storie è anche un saggio di geografia economica e di etnologia: il catalogo delle regioni della Persia è degno dei bassorilievi di Persepoli (che l'accompagnano in questo volume, riuniti in un inserto iconografico); i mirabilia indiani e i sentori dolcissimi d'Arabia hanno nutrito, per secoli, la fantasia occidentale. Ma il cuore del libro è dedicato all'empietà e alla follia dei potenti: Cambise che offende le tradizioni, che uccide gli dèi, che violenta e tortura - è uno dei massimi emblemi di hybris che ci abbia offerto la letteratura greca. Erodoto non amava l'altezza e la monotonia dello stile. Così, intorno al tragico ritratto di Cambise, ecco il viaggio nel primo dei mondi utopici, l'Etiopia, dove sgorgava la fonte della giovinezza: quell'acqua lucente che sapeva di viole. Ecco il tema degli ambigui rapporti tra gli dèi e gli uomini: gli dèi invidiano gli uomini e abbattono chi è troppo felice; gli uomini sono astutissimi, come Dario, e gli dèi proteggono e benedicono ironicamente la loro astuzia; gli uomini sfidano il cielo e, questa volta con un'ironia distruttiva, gli dèi fanno accadere l'impossibile: le mule partoriscono. Ecco scorci di grandi romanzi orientali, come quello del falso Smerdi, trattati con delicatezza occidentale. Ecco, infine, i piccoli, squisiti apologhi morali di Erodoto, con i quali egli ci comunica la sua profonda e lieve saggezza. Nessuno può non commuoversi su Psammenito, che non piange per la morte dei figli, ma per quella, che dovrebbe farlo soffrire assai meno, di un vecchio amico. Nessuno può non ammirare la grazia con la quale Erodoto ci ricorda che tutte le più straordinarie azioni storiche, come la guerra della Persia contro la Grecia, nascono quasi per caso, da un discorso futile, da una chiacchiera d'alcova tra un re e la più amorosa delle sue mogli.
Indice - Sommario
Introduzione al Libro III
Bibliografia
Abbreviazioni bibliografiche
Sommario del Libro III
Cartine
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Nota al testo del Libro III
Il Libro III delle Storie
Scoli
Lessico
COMMENTO
Appendici
Indice dei nomi
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
Il terzo libro di Erodoto - la sua musa tradizionale è Talia - si ricollega, nei temi e a livello cronologico, sia al grande excursus di storia egiziana che costituisce la seconda parte del secondo libro, sia al racconto principale di storia persiana apertosi nel primo libro con la nascita e l'ascesa al trono di Ciro, interrottosi quindi con la sua morte sul campo di battaglia. Erodoto ci presenta subito i due rappresentanti di questo doppio intreccio egiziano e persiano: Amasi e Cambise. I primi capitoli riportano alcuni antefatti aneddotici che risalivano agli ultimi anni di Ciro e ai primi di Cambise. Tuttavia, il racconto vero e proprio del terzo libro si apre con la campagna egiziana del 525. I preparativi di questa campagna possono collocarsi nei due o tre anni precedenti; al limite opposto, gli eventi più tardi del libro sono costituiti dalla conquista persiana di Samo e dall'assedio di Babilonia, che Erodoto mette in rapporto cronologicamente, così da porli entrambi nel periodo iniziale del regno di Dario: all'incirca gli anni 520/19, sebbene dalle fonti orientali si desuma che l'ultima rivolta babilonese contro Dario fu domata nel dicembre 521. Dunque, è al massimo un decennio di storia a occupare il racconto principale del terzo libro. Si tratta di storia essenzialmente persiana: il regno di Cambise (529-521), l'usurpazione del Mago, la cospirazione dei sette, l'ascesa di Darlo al trono (521/1), l'opera di restaurazione e di riorganizzazione dell'impero, alcuni eventi bellici che appartennero ai primissimi anni del regno di Dario. I capitoli di storia egiziana e le tre importanti sezioni sulla storia di Samo si intrecciano nei temi e a livello cronologico al racconto principale di storia persiana. In alcuni capitoli digressivi si fa riferimento ad avvenimenti che risalivano al secolo precedente: l'appoggio di Samo a Sparta nel corso della seconda guerra messenica (fine settimo secolo), la tirannide di Periandro (forse 625-585), alcuni aneddoti di poco anteriori o contemporanei alla conquista persiana di Sardi (circa 548-546), l'ascesa di Policrate al potere (forse nel 533/2). Non mancano inoltre accenni sporadici ad avvenimenti più tardi, successivi non solo a quelli della fine del terzo libro, ma alla stessa conclusione delle Storie di Erodoto: la battaglia di Papremis del 462/1, le rivolte di Inaro e di Amirteo intorno al 450, la diserzione di Zopiro il giovane ad Atene (probabilmente poco dopo il 440). Ma, a parte questi rari sbalzi, il quadro cronologico essenziale del libro è rigorosamente circoscritto.
Anche da un punto di vista strutturale il terzo libro presenta un racconto principale solido, costituito da una serie di logoi persiani, volutamente concatenati insieme attraverso nessi cronologici, di contenuto, talvolta anche di carattere morale o simbolico. Il primo dei logoi persiani è dedicato al regno di Cambise. Si impernia sulla conquista persiana dell'Egitto: la "causa", gli antecedenti e i preparativi, la battaglia di Pelusio, l'assedio e la capitolazione di Menfi, la sottomissione volontaria dei Libi, dei Cirenei e dei Barcei. Dopo tre capitoli sulle pene e sulle umiliazioni inflitte ai membri vivi e morti della famiglia reale e della nobiltà egiziana, Erodoto si sofferma sulle tre spedizioni militari progettate da Cambise e poi fallite, che avevano tutte l'Egitto come base di partenza: contro Cartagine, contro l'oasi di Ammone e contro l'Etiopia. Solo questa terza campagna, terminata con una catastrofe, è descritta nei dettagli, in capitoli ricchi di materiale etnologico. Quando Cambise torna dall'Etiopia, l'interesse di Erodoto si concentra sul carattere, sul comportamento e sulle azioni del re, rappresentato in definitiva come vittima di una malattia mentale. Sospettandolo di cospirazione, Cambise fa mettere a morte il fratello Smerdi; uccide personalmente sua sorella, che era anche sua moglie e che era incinta; uccide il figlio del suo fido Pressaspe; fa seppellire vivi dodici nobili persiani. Al culmine della follia, secondo Erodoto, Cambise compie una serie di atti sacrileghi contro gli dei, i templi e i sacerdoti egiziani, in particolare provoca la morte del nuovo Api. Il vecchio Creso torna in scena un'ultima volta nel suo ruolo di "saggio consigliere", ma non riesce a impedire gli eccessi del re. Questa parte della "biografia" di Cambise si chiude con un famoso aneddoto di carattere etnografico e moraleggiante; in seguito, come epilogo, saranno narrate le ultime vicende e la morte del re. Tra i numerosi episodi di questo primo logos, quattro hanno la funzione di anelli di collegamento, tematico e morale, con altrettanti avvenimenti posteriori, narrati nel secondo grande logos persiano del terzo libro: l'uccisione di Api, del fratello, della sorella-moglie e del figlio di Pressaspe rinviano rispettivamente alla morte di Cambise, al regno del falso Smerdi, all'estinzione della stirpe di Ciro e alla sorte tragica di Pressaspe. Dunque, all'interno del libro, la funzione di questi quattro episodi supera i limiti tematici del primo logos. Qui il racconto principale è interrotto da varie digressioni geo-etnografiche o aneddotiche, che in genere si integrano bene nella "biografia" di Cambise: la geografia della costa palestinese, le giare di vino in Egitto, gli usi degli Arabi, la mensa del Sole in Etiopia, i costumi degli Etiopi . Un complesso novellistico di sogni, di portenti e di oracoli, è abilmente utilizzato per provare la concatenazione dei fatti.