La lettura di Emigranti (pubblicato per la prima volta nel 1928 da Mondadori) è una pura immersione nella grande letteratura. Ci troviamo dinanzi a un affresco grandioso del mondo contadino e pastorale dell’Aspromonte; e, in quanto «mondo», non solo degli uomini, delle donne e delle loro quotidiane tribolazioni, ma anche della natura e dei paesaggi che li circondano. Vi è in Emigranti una straordinaria conoscenza dei luoghi e un profondo amore per l’Aspromonte. Vi è una finissima introspezione psicologica dei personaggi. Vi è un incalzante ritmo narrativo. Ma vi sono anche momenti di pura contemplazione estetica del mondo della natura. Anche in Emigranti, come in tutte le altre storie della letteratura del Novecento calabrese, un senso di morte aleggia sulla vicenda narrata. Tuttavia, non c’è spazio per la disperazione perché non c’è morte senza rinascita.
"Oggi Roma è prigioniera. Prigioniera della cattiva politica e della pessima amministrazione, che l'hanno abbandonata a un declino (apparentemente) inesorabile. Prigioniera dello stesso ruolo di Capitale, senza lo status e i finanziamenti delle altre Capitali europee. Prigioniera dell'inerzia della sua classe dirigente economica, sociale e culturale che, per convenienza o pavidità, ha scelto di disinteressarsi del bene comune. Prigioniera - soprattutto - di un sistema di rendite unico a livello globale che rassicura e stordisce i romani, ne raffredda gli animal spirits e blocca gli ascensori sociali. Per far rinascere Roma, dunque, occorre passare da una terribile strettoia: trasformare la Capitale nel terreno della "battaglia finale" della produzione, dell'innovazione e delle competenze contro le rendite. Non è una missione impossibile: incrociando le caratteristiche della Capitale con i macrotrend a livello globale, è possibile costruire un grande progetto che la posizioni "in vantaggio" nella sfida per lo sviluppo che si giocherà nei prossimi anni tra metropoli globali e città internazionali. Non c'è più alternativa. La meravigliosa e fragile bellezza della Città Eterna è in grave pericolo: come Andromeda sullo scoglio, sta per finire nelle fauci del mostro che avanza tra i marosi. Ma stavolta la liberazione non potrà arrivare dal coraggio d'un eroe solitario: il mitologico Perseo potrà e avrà soltanto le sembianze della voglia di riscatto di un'intera comunità. La politica romana ha fallito troppe volte per poterci riprovare da sola: l'unica speranza è chiamare a raccolta le forze migliori della società. Perché quello che si è aperto con l'annus horribilis della pandemia potrebbe diventare, a sorpresa, il "decennio di Roma". Sempre che i romani - dai cittadini alle élite - lo vogliano davvero e inizino a pretenderlo da chi li governa. E anche da se stessi".
Gabriele De Rosa (1917-2009), storico e figura di primo piano nella vita culturale, politica e sociale del nostro Paese, ha insegnato nelle Università di Padova, Salerno - ove è stato a lungo rettore - e Roma "La Sapienza". È stato presidente dell'Istituto Luigi Sturzo dal 1979 al 2006, senatore della Repubblica per due legislature dal 1987 al 1994 e deputato dal 1994 al 1996. È stato fondatore e segretario generale dell'Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa di Vicenza e fondatore e presidente dell'Associazione per la storia del Mezzogiorno di Salerno e Potenza. I suoi contributi sulla storia del movimento cattolico italiano, su Luigi Sturzo, sulla storia della Chiesa e della pietà popolare e sulla religiosità nell'Italia moderna e contemporanea, sempre sorretti da un rigoroso metodo scientifico, hanno consentito una rilettura originale e incisiva della storia politica, sociale e religiosa del nostro paese. L'Istituto Luigi Sturzo, in occasione del centenario della nascita di Gabriele De Rosa, ha deciso di raccogliere e pubblicare una serie di contributi, a opera di allievi, colleghi e amici, su aspetti e momenti del suo impegno sul piano accademico, culturale e politico. Ne esce un quadro ricco e variegato, che ci consente di mettere a fuoco la personalità di un intellettuale animato da una intensa passione civile e da una viva sensibilità morale e religiosa, che ha lasciato una traccia profonda della sua presenza nella storia del Novecento italiano.
Nel 2017 ricorre il quinto centenario dell'affissione delle 95 Tesi di Lutero alla chiesa del castello di Wittenberg, che ha segnato l'inizio di una cesura traumatica nella coscienza religiosa europea. Una tale ricorrenza, quanto meno a ogni scadenza secolare, ha sempre suscitato un gran fervore di iniziative culturali che hanno ripreso e sviluppato l'immagine di Lutero e della Riforma da lui innescata. Questo lavoro s'inscrive nello spirito di quelle iniziative. Esso non è propriamente un libro su Lutero o quanto meno lo è solo 'in adiecto', perché il suo interesse centrale è dato dalla ripresa delle sue idee fatta dai personaggi, tutti affetti da passione luterana, che occupano la scena di questa narrazione. Attraverso le domande poste da questi autori a Lutero e le risposte che ne hanno dedotto ci pervengono inoltre materiali di riflessione per l'approfondimento di una Critica della ragione storica.
È viva la convinzione che ancora oggi, a poco meno di settant'anni dall'adozione della Costituzione Repubblicana, sia utile per il lettore rivisitare il travaglio culturale e politico vissuto, in modi diversi, dall'intera cattolicità italiana nella stagione della Costituente. Già nelle idee ricostruttive della democrazia cristiana del luglio del 1943 De Gasperi aveva posto la difesa della libertà delle persone e delle comunità organizzate come "premessa indispensabile" per arginare i totalitarismi; in seguito, nel documento conosciuto come Codice di Camaldoli, scritto tra l'estate del 1943 e il 1945, e negli interventi della XIX Settimana Sociale dei cattolici italiani, dell'ottobre 1945, furono discussi i temi dello stato e dei suoi rapporti con la società, nella prospettiva di un assetto politico istituzionale socialmente avanzato e pluralista retto dal nuovo sistema dei partiti di massa. Durante i lavori della Costituente, specie i costituenti democristiani più giovani, come Dossetti, La Pira, Fanfani, Lazzati, Moro e altri, senza interrompere le forme di dialogo avviate nella stagione della Resistenza con uomini e forze di altra ispirazione, si adoperarono per affermare una concezione dello stato democratico e della stessa democrazia intesi non semplicemente come insieme di procedure, bensì come realtà che traggono la loro ragion d'essere da profonde ispirazioni culturali e si esprimono in indirizzi sociali solidali e pacifici. Introduzione di Gabriele De Rosa.
Come un gabbiano in volo, tema di un sogno che lo ha accompagnato sin dalla giovinezza, Francesco Forte guarda «da un punto mobile, un po' lontano», i suoi trascorsi e quelli della nazione, dal fascismo ad oggi. Intellettuale libero e irregolare, più volte ministro e sottosegretario, sempre al vertice di posti chiave, giornalista, accademico, economista appassionato, il racconto della sua vita è un'istantanea fedele dell'Italia intera. L'autore racconta la sua verità: senza compromessi. Dall'infanzia - quando con il fratello faceva da scudo umano durante i bombardamenti angloamericani e l'Italia era divisa in opposte fazioni - sino alle vicende più intricate della nostra democrazia. Un'autobiografia vigorosa e ricca, la cui forza maggiore è nella qualità delle informazioni di prima mano raccontate con pathos e affilata ironia. Vicende e uomini che hanno segnato in maniera indelebile la storia degli ultimi decenni: Enrico Mattei e l'ENI, Pier Paolo Pasolini e Petrolio, Roberto Calvi, il caso Moro, Bettino Craxi, Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano. L'Italia di oggi come prodotto delle sue tante contraddizioni, vagliate con la capacità di analisi del grande economista o sviscerate con un'emotività che non conosce filtri. Un racconto genuino che non disdegna di assumere, talvolta, i toni del risentimento e della critica feroce verso sfere di potere e uomini di eterogenea appartenenza, il cui peso specifico si è spesso rivelato decisivo per le sorti del nostro Paese. Sempre chiamato a dare conto di azioni e decisioni, l'autore si sente finalmente «libero e felice», come il gabbiano del sogno, di raccontare il suo vissuto senza reticenze. Anche se avverte «solo alcune cose ed alcuni fatti si vedono in modo nitido, altri sono sfocati, o ci sono solo alcuni dettagli. Del resto questo libro è stato scritto in gran parte a sprazzi, quando mi è accaduto di dover ricordare».
Il movimentato passaggio dalla Grande guerra alla pace è spesso associato, in Italia, all'immagine di un Paese che virava senza freno verso quel "sacro egoismo" sempre più incarnato dall'esperienza dell'occupazione di Fiume e dal mito della "vittoria mutilata". Instancabile artefice di un progetto di pace europea e mondiale di ampio respiro fu invece Francesco Saverio Nitti, al governo dal 1919 al 1920, che provò a fare dell'Italia postbellica un elemento importante dei nuovi equilibri di pace mondiali. Sostenitore fin dalla prima ora di un necessario revisionismo dei trattati di pace in senso democratico, affrontò i nodi gordiani della rifondazione europea, dalla necessità di una pace equa con la Germania al reinserimento della Russia bolscevica nel sistema internazionale, e operò in prima persona per garantire le basi di una pace duratura in un Mediterraneo ormai in fiamme. La prematura caduta del suo governo, spesso interpretata come vera e propria fine del liberalismo italiano, significò anche la fine di un'alternativa identitaria nazionale che fino a quel momento aveva fatto da solido contraltare al montare del nazionalismo e al fascismo incipiente.
Pregiudizi secolari gravano sulla Calabria, la regione "più a sud del Sud" come scrive l'autore nella prima parte di questo libro. Calabria, la malfamata: per via del brigantaggio prima e della criminalità organizzata dopo. Ma anche terra di assistenzialismo, sprechi, arretratezza, sottosviluppo, malgoverno, omertà, indolenza, ignavia. Due scuole di pensiero si affrontano da anni. Da un lato chi considera la Calabria una terra irredimibile, in cui tutto è 'ndrangheta, malaffare, malapolitica e quant'altro. Dall'altro chi considera la Calabria vittima di secoli di malgoverno e propugna, per reazione, una falsa retorica identitaria, rivendicando un autonomismo uguale e contrario a quello leghista. Tra stereotipi e lamentazioni è difficile trovare il bandolo della matassa. Ci prova Francesco Bevilacqua che, dopo anni di studi e di esplorazioni pedestri, ci offre qui una sua originale ipotesi interpretativa sulla Calabria e sui Calabresi e, nello stesso tempo, un catalogo ragionato di cento libri, tra narrativa, storia, geografia, scienze sociali, da leggere o consultare, per cercare di capire davvero perché Calabria e Calabresi sono come sono, al di là di ogni stereotipo, di ogni luogo comune, di ogni (auto)rappresentazione mediática.
Qual è il "male italiano"? Cosa ci ha trasformato da potenza mondiale a Paese senza speranza? Un virus si è impadronito delle nostre menti. Così pericoloso da aver causato il declino del nostro Paese. Così invisibile che i suoi effetti si vedono soltanto nel lungo termine: dopo anni dalla sua entrata in azione, può accadere che un'intera comunità si blocchi, perda competitività e annulli le sue potenzialità di crescita. È esattamente ciò che è successo all'Italia. Il virus che ha contagiato l'Italia e gli italiani si chiama Opzione Zero. Ma come si è manifestato? Negli ultimi 20 anni, nella gran parte dei casi in cui un ministro, un sindaco, un dirigente pubblico, un grande imprenditore si è trovato di fronte ad una decisione strategica nel nostro Paese, ha scelto in realtà l'Opzione Zero. Ha deciso di non decidere. Per non rischiare. Per non assumersi responsabilità. Per abbattere i costi nel presente, ignorando il futuro. L'0pzione Zero è il virus che ancor oggi tiene in ostaggio il nostro Paese. Se vogliamo rinascere, dobbiamo iniziare a decidere. Resettando tutto ciò che ha bloccato l'Italia negli ultimi due decenni, tutte le "sovrastrutture" che hanno mortificato l'inesauribile creatività e intraprendenza della nostra gente. Perché oggi non abbiamo più scelta.
Che cosa è il mondo? Che cosa significa il mondo? Che senso ha il mondo? Il tentativo di comprendere l’universo è stato una costante in ogni epoca e in ogni società, e ha caratterizzato lo strutturarsi delle varie culture al procedere della storia, per dare un significato globale e ultimo all’esistenza. Questo interrogarsi sull’intero del reale e sul senso di ogni cosa, in cui interagivano elementi scientifici, filosofici e religiosi, aveva (e ha) delle implicanze anche in campo sociale, politico ed economico. Nell’attuale crisi antropologica ed ecologica tali domande sono ancora attuali. Perciò intorno ad esse lo studio articola una riflessione biblica e teologica sul reale-creato non umano, cercando di cogliere il suo valore intrinseco e il suo senso. Sottratto dall’essere un semplice oggetto di esperienza o semplice res extensa, il reale è colto nella sua intrinseca capacità di significazione, in grado altresì di dischiudere all’uomo un diverso senso di vivere e di abitare il mondo.
Dalla catastrofe dell'11 settembre alla Seconda Intifada palestinese, dalle esplosioni nella metropolitana di Londra del 2005 agli attentati che continuano a seminare morte e distruzione in Iraq, in Afghanistan e in molte altre aree del mondo: gli attacchi suicidi rappresentano una delle forme di violenza politica più impressionanti ed emblematiche della nostra epoca. Questo libro ricostruisce l'evoluzione del terrorismo suicida, e ne esamina le cause, svolgendo l'analisi su tre livelli: il livello individuale dell'attentatore suicida, il livello organizzativo del gruppo armato e il livello ambientale della comunità di sostegno e dell'ambiente circostante. Il volume indaga, inoltre, gli scopi e gli esiti politici di questa arma micidiale.
La raccolta qui presentata, che intende essere completamento e approfondimento a distanza di Chiesa e potere, include studi di vario spessore sul diritto della Chiesa e sulle lotte estenuanti del postconcilio per riformarlo (o, almeno, per impedirne ulteriori involuzioni) nel trentennio che agli inizi degli anni '90 si concluse. Tali studi, integrati da documenti essenziali del dibattito intracattolico coevo - un dibattito, che vide purtroppo le ragioni della forza prevalere troppo spesso sulla forza della ragione - sono a loro volta riportati a coerente unità storiografica da un ipertesto, che del tutto ritesse criticamente l'intimo dinamismo evolutivo.