I Fioretti di San Francesco sono il libro che meglio esprime il messaggio del Santo d'Assisi, l'espressione del desiderio di un vangelo vissuto e annunziato con radicalità. Contengono episodi celeberrimi, ormai sedimentati nella memoria dei secoli. Questa edizione raccoglie la parte più interessante dei Fioretti, costituita dai primi 28 capitoli. È un gruppo omogeneo di episodi tenuti insieme dalla personalità fascinatrice di Francesco. I fioretti del glorioso messere santo Francesco e d'alquanti suoi santi compagni.....Santo Francesco levò gli occhi e vide alquanti arbori allato alla via, in su' quali erano quasi infinita moltitudine d'uccelli; di che santo Francesco si maravigliò e disse a' compagni: voi m'aspetterete qui nella via e io andrò a predicare alle mie sirocchie uccelli. Ed entrato nel campo cominciò a predicare agli uccelli...
«Abbiamo cominciato l'opera dei dodici profeti e, con l'aiuto di Cristo, la finiremo» (Girolamo, Commento ad Amos, prologo al terzo libro). I commenti a Gioele e Amos, dedicati a Pammachio, risalgono al 406.
Ed. bilingüe promovida por la Federación Agustiniana Española.
Traducción de este volumen: Pío de Luis, Lope Cilleruelo, Moisés M.ª Campelo y Carlos Morán.
Notas de este volumen a cargo de: Pío de Luis.
Es difícil precisar la faceta más preponderante y definida de San Agustín. En cualquier aspecto que se le considere, nos asombra su genio poderoso y la amplitud de su vuelo. Sin dejar de ser nunca el gran pensador, que hunde su mirada en todos los problemas de la religión y del saber, el quehacer que llenó toda su vida fue la actividad apostólica del predicador sagrado. En instruir y adoctrinar a los fieles de Hipona desplegó su celo inagotable, explanándoles maravillosamente, en todos los tonos, los misterios de la fe y las verdades del Evangelio. El genio de San Agustín se pliega a la condición de sus oyentes para introducirles en el conocimiento de las verdades más altas. Recorre todas las gamas del estilo, desde el más familiar al más elevado y noble. Su unción incomparable se prodiga en innumerables recursos para ponerse al alcance de los más ignorantes. Los sermones de San Agustín serán siempre modelo vivo de predicación sagrada, de profundidad y sencillez, de gracia expresiva, de exposición catequística y pedagógica.
Contiene: Sermones sobre los Evangelios sinópticos
Volúmenes de los Sermones: Sobre el Antiguo Testamento (vol. VII); Sobre los Evangelios sinópticos (vol. X); Sobre Evangelio de San Juan, Hechos de los Apóstoles y Cartas apostólicas (vol. XXIII); Sobre los tiempos litúrgicos (vol. XXIV); Sobre los mártires (vol. XXV); Sobre temas diversos. Índices bíblico, litúrgico y temático de los Sermones (vol. XXVI).
Sulla scorta di una pluralità di fonti archivistiche e a stampa, l'Autore approfondisce il ruolo esercitato dalla Santa Sede in materia di assistenza e cura pastorale dell'emigrazione italiana all'estero nel periodo che, dalla seconda metà dell'Ottocento, giunge fino al Concilio Ecumenico Vaticano II e alla stagione postconciliare. L'Autore documenta come, almeno fino alla seconda metà degli anni Ottanta dell'Ottocento, gli interventi promossi dalla Chiesa italiana per la tutela degli emigranti furono assai limitati e rivestirono, nel complesso, un carattere episodico e marginale. La situazione mutò sensibilmente nel corso dei pontificati di Leone XIII e di Pio X. Quest'ultimo, in particolare, s'impegnò tanto sul fronte dell'intensificazione delle iniziative ed opere di assistenza e nella centralizzazione delle politiche a sostegno della cura pastorale dei migranti, quanto su quello - altrettanto decisivo - del reclutamento e della formazione culturale e spirituale del clero destinato ad animare la vita religiosa delle comunità di emigrati italiani all'estero. L'impegno in favore dei profughi e dei prigionieri di guerra esercitato dalla Santa Sede negli anni della seconda guerra mondiale contribuì a far maturare all'interno della Chiesa una sensibilità più larga e a spostare progressivamente l'attenzione dal problema dell'emigrazione italiana a quello, più complessivo e di portata universale, di tutti coloro che, non solamente per motivi economici, ma anche per cause legate ai conflitti armati, alle catastrofi naturali e alle persecuzioni, erano - e sono ancora oggi - costretti ad abbandonare i luoghi d'origine e a vivere lontano dal proprio paese (profughi, prigionieri di guerra, rifugiati ecc.).
Il commento al libro del profeta Geremia costituisce l'ultima fatica esegetica di Girolamo. In questo scritto emerge l'interesse che lo Stridonense riserva al testo biblico: la traduzione dall'originale ebraico, ritenuto il testo da privilegiare, è continuamente confrontata con quella che prende le mosse dalla versione dei LXX alla quale viene riconosciuto comunque riconosciuto un certo valore. L'interpretazione si caratterizza per la spiccata tendenza a collocare la realizzazione delle profezie all'interno della storia: sia quella del popolo d'Israele che di Cristo o della Chiesa. La polemica contro i pelagiani emerge ogni volta che il testo profetico ne presenta l'occasione e si ritrova soprattutto nei prologhi ai singoli libri.
Il titolo latino tramandatoci è "Contra errores Graecorum". Non rende molto l'idea dell'opera. Tommaso la redige su richiesta di papa Urbano IV alla fine del 1263 o all'inizio del 1264. Tommaso mette in luce il contenuto dottrinale di alcuni importanti testi dei Padri della Chiesa di lingua greca. Spiega i testi ambigui, dimostra che alcune traduzioni sono mal fatte e si sofferma su quattro temi: la processione dello Spirito Santo dal Verbo; la missione del papa; l'uso del pane azzimo nella celebrazione della Messa e il purgatorio. Testo latino dell'Edizione Leonina. Traduzione, note e introduzione di Gianni Godoli. A livello mondiale è la prima edizione che accanto al testo originale latino riproduce una traduzione in lingua moderna.
Un classico" di estrema attualita nel quale la devozione mariana ha un ruolo di primaria importanza nella spiritualita monfortana. "
Il fascino del pensiero di Giovanni della Croce non conosce davvero limiti temporali.
Frutto di una travagliata esperienza spirituale e vertice della sua maturità artistica, la Salita del Monte Carmelo è stata oggetto di studi lungo i secoli. Nell'Introduzione di Federico Ruiz, il leitmotiv della critica sull'opera non cambia: ci si chiede se sia possibile, ancora ai nostri giorni, vivere una vita cristiana autentica, alla sequela di Cristo e in unione con lui. La Salita del Monte Carmelo è essenzialmente un inno all'amore: l'amore di Dio per l'anima e l'amore dell’anima che incontra Dio e ne è attratta, fino a consumarsi nel congiungimento con l’Amato.
L'itinerario che il Santo propone è descritto con l'immagine della salita al Monte Carmelo, durante la quale l’anima passa attraverso un progressivo denudamento – la "notte oscura" dei sensi e dello spirito – fino ad arrivare sulla vetta all'unione con Dio. Tutto e nulla, luci e tenebre, aridità e desiderio, sono atteggiamenti interiori in cammino verso la meta finale. Oltre le barriere del tempo, la Salita ci parla ed è attuale. La via esposta da san Giovanni è ancora percorribile, giacché l'azione divina che soccorre e la risposta umana come impegno totale di vita restano parte integrante del pensiero cristiano.
Siamo creature uniti da legami invisibili, in grado di formare “una famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge a un rispetto, sacro, amorevole e umile”. Sono queste le parole di papa Francesco espresse nella sua Laudato si’. Sono queste le parole mediante cui leggere e interpretare il Cantico delle Creature di San Francesco. Un uomo, un Santo che come scrisse San Bonaventura “contemplava nelle cose belle il Bellissimo e, seguendo le orme impresse nelle creature, inseguiva dovunque il Diletto. Di tutte le cose si faceva una scala per salire ad afferrare Colui che è tutto desiderabile”. L’atteggiamento di san Francesco di fronte alla natura e alle cose naturali che nasce dalla lettura del Cantico fu così speciale che è sempre stato ammirato e continua ancora a porsi come modello per tutti gli uomini. Non può dirsi che esso sia solo una espressione religiosa o poetica. Nell’atteggiamento del poverello d’Assisi è racchiuso infatti un grande contenuto antropologico, un meraviglioso comportamento esistenziale che lo porta a vivere nel mondo ed a convivere in armonia con le cose, consigliabile a tutti gli uomini soprattutto in un momento quale il nostro in cui “la terra sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia”. Speciale è il senso educativo che può cogliersi dal Cantico: far prendere atto della natura che distingue l’uomo da tutti gli altri esseri, far comprendere che si è legati a Dio per la ragione e in quanto tale si è parte della sua natura e del suo Creato.
L'Ad Donatum è un affascinante testo di Cipriano di Cartagine rivolto all'amico Donato che ha ricevuto da poco il battesimo. Sembra composto a breve distanza anche dal battesimo di Cipriano stesso, che solitamente si ritiene avvenuto nel giugno 245 o 246. Attraverso uno scritto coinvolgente, il retore Cipriano vuole trasmettere l'entusiasmo per la fede cristiana: racconta il proprio passaggio da "una notte cieca" alla luce, non nascondendo le proprie esitazioni e spiegando la sicurezza e la libertà guadagnate. Questo narrare la propria genuina esperienza è un tentativo del tutto nuovo che dà inizio a un genere letterario: lo scritto autobiografico con valore storico.
Girolamo compose i commenti a Malachia e Osea nel 406; nel prologo del primo è presente un accenno al commento di Origene, in cui Malachia era ritenuto un angelo: Girolamo rigetta quest’interpretazione, seguendo la tradizione ebraica che identifica il profeta con Esdra; sono assenti citazioni, allusioni o semplici menzioni di autori classici. L’ampio commento in tre libri a Osea è un’originale fusione di componenti di origine varia: tradizione rabbinica, esegesi patristica (Origene su tutti) e cultura profana. Secondo Girolamo, le disgrazie matrimoniali del profeta sono un’allegoria dei tradimenti commessi da Israele contro il patto stipulato con Dio; largo spazio è concesso a preziosi richiami alla letteratura latina, soprattutto nei prologhi a ciascun libro, modellati esplicitamente su quelli terenziani, con i quali condividono l’impostazione polemica nei confronti dei rivali e delle loro critiche.