Contemplando la "morte del Giusto" narrata negli apocrifi, si può comprendere cosa voglia dire "ben morire" e cosa s'intenda per "dignità nel morire". La morte di San Giuseppe è maestra del prendersi cura degli agonizzanti e dei morenti, e della vita che volge al termine. L'autore suggerisce una riconsiderazione della figura del santo nella vita della Chiesa, partendo dalla genesi della pia devozione al "Patrono della Buona Morte" fino ad arrivare agli ultimi approfondimenti bioetici e pastorali sul fine vita.
«All'origine delle cure palliative, che si sono sviluppate in Italia a partire dagli anni '80 del secolo scorso [...], sta la consapevolezza della necessità di una vera rivoluzione culturale in ambito sanitario. Il consistente prolungamento dell'età media di vita, con un forte incremento della popolazione anziana [...], ha notevolmente accresciuto il numero di malati terminali, spingendo all'assunzione di opposti (e scorretti) comportamenti, quello dell'accanimento terapeutico o quello dell'abbandono. Il superamento di questo grave e pericoloso dilemma va rintracciato nell'adesione a una tipologia di cura che non si propone di guarire sottoponendo il paziente a interventi invasivi e del tutto inutili [...] ma si rapporta in misura proporzionata alla sua situazione, prestando attenzione alla peculiarità e alla globalità del suo vissuto personale e ricuperando a tutti i livelli la dimensione relazionale, nonché sostenendo sul piano psicologico, morale e spirituale la sua persona. È evidente - e Mirabella lo mette bene in luce - che tutto ciò suppone [...] un concetto di salute non riducibile alla semplice terapia fisica e la restituzione di significato alla sofferenza e alla morte, facendole uscire dallo stato di rimozione ed evitando di assumere nei loro confronti comportamenti ispirati o a una accettazione passiva o alla presunzione di poterle radicalmente sconfiggere» (dalla Prefazione di Giannino Piana).
Il linguaggio non è uno strumento: è una condizione in cui abitiamo e viviamo senza nemmeno accorgercene. Pensiamo a un piccolo aneddoto raccontato dallo scrittore David Foster Wallace: «Ci sono questi due giovani pesci che nuotano e incontrano un pesce più vecchio che nuota in senso contrario e fa loro un cenno, dicendo: Salve ragazzi, com'è l'acqua? E i due giovani pesci continuano a nuotare per un po' e alla fine uno di loro guarda l'altro e fa: che diavolo è l'acqua?». Il linguaggio è come molti aspetti del vivere quotidiano: proprio perché presenti da sempre sullo sfondo dell'esistenza, ci sono sconosciuti, diventano pressoché invisibili. Un libro che spiega al lettore la "tecnologia del linguaggio" e il linguaggio come tecnologia, cioè un'abilità e un'abitudine che è di tutti noi e che è sorprendete analizzare: a cosa serve? Come è nato? Perché lo abbiamo sviluppato in un certo modo? Qual è il suo futuro?
Quando, nell'Ottocento, William Perkin sfruttò il risultato casuale di un esperimento finito male, inventò il colorante malva e fece nascere la chimica industriale (degli esplosivi, della fotografia, dei profumi). Da allora siamo stati in grado di "sintetizzare", cioè produrre reazioni chimiche, e creare medicine come l'aspirina, colori, diamanti, carne e addirittura la vita. Emerge così una nuova categoria con cui classificare la realtà, il sintetico: qualcosa che non è distinguibile dal naturale, ma che esiste perché prodotto secondo processi che normalmente definiscono l'artificiale. Che significa? Oggi possiamo teoricamente produrre per sintesi un essere umano o la vita aliena per un altro pianeta. Quali domande etiche pone tutto questo? Ciò porterà a sconfiggere tutte le malattie oppure l'uomo, giocando ad essere Dio, trasformerà il futuro in un incubo distopico?
Lo sviluppo e la diffusione delle intelligenze artificiali sollevano nuovi problemi di natura etica. Che cosa accade, infatti, quando non sono gli uomini, ma le macchine a decidere? L’autore, noto a livello internazionale nell’ambito della bioetica e del dibattito sul rapporto tra teologia, bioingegneria e neuroscienze, guarda con favore alla diffusione delle «macchine sapienti» e ragiona sul fatto che i processi innovativi hanno valenza positiva solo se orientati a un progresso autenticamente umano che si concretizzi in un sincero impegno morale dei singoli e delle istituzioni nella ricerca del bene comune.
Sommario
Una premessa. 1. Guardare le stelle. 2. Cosa significa essere umani? 3. Primo interludio. Una mappa può essere una copia esatta della realtà? 4. Secondo interludio. Macchine emotivo-razionali. 5. Un codice etico per le intelligenze artificiali. 6. Verso una governante delle intelligenze artificiali. 7. Conclusioni.
S
Note sull'autore
Paolo Benanti specializzato in Bioetica e nel rapporto tra Teologia morale, Bioingegneria e Neuroscienze, è docente alla Pontificia Università Gregoriana. Collabora con l’American Journal of Bioethics – Neuroscience ed è membro dello staff editoriale di Synesis.
Il 5 agosto 2013 oltre duecento giornalisti si accalcano nei Riverside Studios di Londra. La folla, analoga a quella che si raduna per la presentazione degli smarthphone o dei computer più innovativi dei maggiori brand internazionali, non è però in attesa di un conglomerato prodigioso di silicio e vetro, bensì di un hamburger, non meno stupefacente dal punto di vista tecnologico. Il panino in questione è una «creazione» del professor Mark Post, docente di biotecnologia all'Università di Maastricht, che ha confezionato il piatto utilizzando carne sintetica, detta anche artificiale o in vitro. Da quel momento un alimento che da sempre accompagna l'uomo può essere pensato come qualcosa che non è artificiale (è pur sempre carne), ma non è neanche naturale (non proviene da un animale). Che cosa comporta questa rivoluzione? Quali domande etiche solleva? Perché tutto questo interesse dell'hi-tech su un prodotto come la carne?
L'anoressia pone una questione etica, nella misura in cui espone il soggetto a dilemmi fra pulsioni di crescita e desiderio di perfezione, tra difesa della vita e ricerca d'emancipazione, tra un insaziabile bisogno di relazioni e la cura di un'autonomia narcisistica. Il rifiuto del cibo esprime l'incerta reazione adolescenziale alle sorprendenti esperienze della pubertà, in cui emergono possibilità promettenti e sviluppi minacciosi. Imbrigliato in una situazione-limite e assediato da rischiosi conflitti di senso, chi soffre di disturbi alimentari elabora una propria visione del mondo e insegue un ideale normativo, giustifica le proprie valutazioni morali e difende una certa immagine di bene e di salute. Il volume delinea l'organizzazione valoriale che ruota attorno alla paura di aumentare di peso, svolgendo una serie d'indagini preliminari: l'analisi delle opzioni morali veicolate indirettamente dalla psicoterapia e dalla psichiatria, le narrazioni mitiche che influiscono sulle cornici simboliche personali, l'esame di alcuni testi cinematografici sull'ambiguità semantica del pasto, le alternative concettuali ben note alla filosofia e alla teologia (i dualismi mente/corpo, norma/desiderio, ragione/passioni, sesso/genere). Attraverso e nonostante i sintomi, il soggetto tenta, in forme pericolose e aggressive, di prendersi cura di una sofferenza profonda, facendo di sé un'opera degna, in cui la dolente verità del corpo emaciato possa comunicare una nuova figura di bellezza. Il disturbo alimentare svela così la componente estetica dell'esperienza morale.
Un viaggio nel mondo complesso e affascinante della vita umana per farne emergere la bellezza e la cogente chiamata etica che la permea e la caratterizza. Solo partendo da una concezione adeguata della vita – che includa tanto le visioni quanto le provocazioni: pensiamo alla biologia sintetica – potremo fondare una morale della vita fisica e una bioetica in grado di chiarire l’altezza della chiamata dei fedeli in Cristo (cf. Optatam totius 16). Da qui il titolo Ti esti? (Che cosa è?), la domanda che Socrate pone agli interlocutori rompendo il flusso del discorso retorico per risalire all’universalità delle premesse. Aristotele dirà che Socrate, attraverso il che cosa è, ha introdotto il ragionamento per induzione e la definizione dell’universale. Stabilite le premesse con il che cosa è si passa, attraverso la dialettica, alla costruzione del ragionamento vero e proprio. Allora il ti esti sulla vita è il punto di partenza ineludibile per qualsiasi confronto sui molti temi che oggi affollano i trattati di bioetica e di morale della vita fisica.
Informazioni sull'autore
Paolo Benanti, francescano del Terzo Ordine Regolare, svolge la sua attività accademica come docente di Teologia morale e Bioetica alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. È docente incaricato all’Istituto Teologico di Assisi per il corso di Morale sessuale. È autore di numerose pubblicazioni presso editori italiani e internazionali.
In questo volume il problema della morte è affrontato a partire dalla consapevolezza che gli enormi sviluppi scientifici e tecnologici applicati alla medicina hanno rivoluzionato negli ultimi decenni il quadro etico e giuridico in cui è stato finora concepito il fenomeno del finis vitae. Muovendo da questa trasformazione di senso epocale, l’autore affronta la questione di che cosa sia per noi la morte, oggi, e quale responsabilità morale abbiamo verso chi muore. La finalità è quella di rideterminare il principio della dignità umana al cospetto di situazioni radicalmente nuove, come il prolungamento artificiale della vita, il prelievo degli organi, la loro commercializzazione. Al centro della riflessione i lineamenti di una tanatologia critica, la questione della “morte cerebrale” e del suo accertamento, le problematiche funerarie, anche alla luce delle recenti innovazioni legislative. Paolo Becchi è professore di Filosofia del diritto nella Facoltà di Giurisprudenza dell’U­niversità degli Studi di Genova. Tra le sue ultime pubblicazioni: Morte cerebrale e trapianto di organi (Brescia, Morcelliana, 2008) e La fragilità della vita. Contributi su Hans Jonas (Napoli, La Scuola di Pitagora, 2008). Per Aracne editrice ha pubblicato, nel 2007, Da Pufendorf a Hegel. Introduzione alla storia moderna della filosofia del diritto.
Le odierne capacità tecnologiche hanno aumentato enormemente le possibilità di intervenire sulle condizioni non solo di salute ma anche di benessere dell'uomo moderno, sollevando però anche difficili e gravi domande di tipo morale e sociale. I due autori vogliono affrontare molte di queste questioni in un dialogo sereno e attento tra visione cristiana e le nuove posizioni morali, per evidenziare i vantaggi e i rischi che la tecnologia possiede per la qualità umana della vita e per la dignità della persona.
Il volume offre un quadro aggiornato delle più recenti ricerche scientifiche sul tema della morte cerebrale e del dibattito che hanno suscitato in ambito etico, con una ricostruzione critica delle norme previste nel nostro Paese per il suo accertamento. Se si è preteso di risolvere la questione delle persone in coma apneico irreversibile semplicemente ridefinendo la morte in termini cerebrali, i test standard oggi previsti non sono compatibili con questa definizione. È quindi improrogabile una modifica delle norme vigenti alimentata da una riflessione etica e giuridica sulle condizioni che rendono leciti la sospensione delle terapie intensive e l'eventuale prelievo degli organi.
Una riflessione a 360 gradi sulle frontiere del dibattito bioetico contemporaneo, tra filosofia, diritto, storia e scienza. Una "messa a punto" dei traguardi raggiunti e dei molti ancora lontani, una inquieta ricerca sulla peculiare posizione e responsabilità dell'uomo nel creato, e sulla possibile definizione e difesa della dignità dell'uomo.