Nel 1906 esce in Francia la traduzione proustiana di Sesamo e gigli di John Ruskin, accompagnata da una prefazione - Sulla lettura - nella quale Proust, prendendo le distanze dalle teorie del critico inglese, rende presente la sua idea di lettura, offrendoci un primo assaggio di quel peculiare stile di scrittura che troverà la sua massima espressione nella Recherche. Queste pagine, tra le più affascinanti che siano state dedicate all'attività di leggere, sono presentate insieme a un articolo, Giornate di lettura, pubblicato su "Le Figaro", dove - a dispetto del titolo - è un altro il magico oggetto in grado di evocare presenze e atmosfere assenti, il telefono, dispositivo all'epoca ancora estremamente raro e d'élite. È un piccolo esempio di scrittura mondana e d'occasione, un divertissement nel quale, tuttavia, traluce la capacità affabulatoria, ironica e ammaliante del primo Proust. Prefazione di Emanuele Trevi.
"Questo su Flaubert è forse il più disteso e il più classico dei saggi di Thibaudet: ricostruzione rigorosa e spregiudicata d'una vita, e del lungo viaggio compiuto alla ricerca dell'arte". Così scriveva Giacomo Debenedetti, esaltando i meriti di un'indagine che gettava piena luce sulla visione binoculare di Flaubert, comprensiva "della realtà e del sogno, del grottesco triste che è alla base di Madame Bovary". Con Thibaudet, allievo di Bergson, polemizzò Proust, definendo Flaubert "un genio grammaticale". In questo volume vengono oggi riproposti i due testi emblematici dello straordinario confronto tra due sacerdoti dell'intelligenza, esempi luminosi di una capacità critica vissuta come "festa, ricchezza, allegrezza, gioia di vivere". Introduzione di Daria Galateria.
Nel 1896 Marcel Proust pubblica I piaceri e i giorni, una raccolta di prose sparse. Liquidata all'epoca come l'opera dilettantesca di un giovane frivolo, lascia in realtà intravedere un primo groviglio di temi e immagini che ritroveremo nel capolavoro dello scrittore francese, Alla ricerca del tempo perduto. Soprattutto, ci sono gli snob, con le loro abitudini assurde e mortificanti: una manciata di racconti, ritratti e osservazioni satiriche per descrivere l'incomprensibile rituale della mondanità e i suoi protagonisti.
"La ricerca del tempo perduto" è uno dei grandi capolavori del Novecento e, allo stesso tempo, un'opera monumentale che suscita un certo timore reverenziale. Al suo interno si possono rintracciare in grande quantità aforismi, massime, sentenze, riflessioni, giudizi di straordinaria profondità che fanno di Proust uno degli ultimi anelli della grande tradizione dei moralisti francesi che da Montaigne passa a Joubert e arriva al Novecento pieno. Patrizia Valduga ha sviluppato un'idea di Giovanni Raboni e ha estratto dal romanzo "quanto più pensiero possibile, una quantità di pensiero, delle "verità" che sono solo una parte del senso della "Recherche", un ordito spesso contraddetto dalla trama, spesso smentito persino da se stesso". Ha messo insieme un nobile centone che celebra affettuosamente la classica traduzione di Raboni: "il propellente per intraprendere la lettura della "Recherche" che, non per estratti, ma tutta quanta intera, è "uno dei grandi avvenimenti dello spirito umano." (Giovanni Raboni)
La comunione con l'universo misterioso della pagina scritta è sempre carica di ricordi. E Proust, maestro della rievocazione, fa di questa esperienza un racconto perfetto, in cui la felicità infantile della lettura e la benedizione adulta della memoria, custodita tra le pagine di un libro letto in anni lontani, si rivelano nella loro maestosa dolcezza. Ma leggere è anche indissolubile compagno dello scrivere, per il quale costituisce un'essenziale palestra di umiltà e libertà: così, un giorno, all'attenzione silenziosa del lettore corrisponderà la purezza profonda dello scrittore.
"A confronto con l'opera di Proust, quasi tutti i romanzi che si conoscono sembrano dei semplici racconti. Alla ricerca del tempo perduto è una cronaca ricavata dal ricordo: nella quale la successione empirica del tempo è sostituita dal misterioso e spesso trascurato collegarsi degli avvenimenti, che il biografo dell'anima, guardando all'indietro e dentro di sé, sente come l'unica cosa vera. Gli avvenimenti passati non hanno più potere su di lui, ed egli non finge mai che quanto da tempo è accaduto non sia ancora accaduto, e che non sia ancora deciso quanto da tempo è deciso. Perciò non c'è tensione, non c'è acme drammatico, non c'è assalto e scontro, ne susseguente soluzione e pacificazione. La cronaca della vita inferiore scorre con armonia epica, poiché è soltanto ricordo e introspezione. E la vera epica dell'anima, la verità stessa, che qui irretisce il lettore in un dolce, lungo sogno in cui egli soffre molto, ma soffrendo gode anche la libertà e la pace; è il vero pathos del decorso delle cose terrene, quel pathos che sempre scorre, che mai si esaurisce, che costantemente ci opprime e costantemente ci sostiene." (Erich Auerbach)
Dopo la traduzione fortemente interpretativa di Franco Fortini, ecco una versione integrale dell'opera poetica, pubblicata postuma, di Proust, che mira a restituire la musicalità del testo e a reintegrare in italiano le assonanze con la Ricerca.
"Un amore di Swann" è una sorta di "romanzo nel romanzo": si inserisce come un lungo flash back nella prima delle sette parti di "Alla ricerca del tempo perduto", rievocando la passione travolgente, dolorosa ed esclusiva di Charles Swann - alter ego dell'io narrante - per la bella Odette de Grécy, enigmatica demi-mondaine, sospesa tra pretese di raffinatezza e freddo opportunismo. Raffinato esteta, al tempo stesso seducente e sterile, Swann sposa Odette quando ormai non l'ama più. Maestro dell'introspezione psicologica, Proust disegna la parabola del loro tormentato rapporto dalla cieca infatuazione al graduale spegnimento, facendo di questo amore la storia paradigmatica di qualsiasi amore. Vero o presunto che sia, perché, come osserva il filosofo Ortega y Gasset, in questo excursus "c'è dentro di tutto: punti di sensualità calda, pigmenti paonazzi di sospetto, grigi di abitudine, chiari di stanchezza vitale. L'unica cosa che non c'è è l'amore".
"Parigi, 1906. Un uomo decide di impegnarsi in un'impresa folle: la ricerca del "tempo perduto". Il risultato non sarà una seconda vita ma un libro, in sette volumi, intitolato appunto "alla ricerca del tempo perduto". Marcel Proust si congeda anzitempo dalla vita per riabbracciarla tutta intera in un grandioso romanzo. Una tattica suicida, direte voi. Sì, gli scrittori sono un club di suicidi, ma la vita è quella scemenza in cui tutto il mondo perduto della giovinezza, a volte, può riemergere d'un tratto nel sapore di un biscottino inzuppato nel tè. E allora, un romanzo, solo un grande romanzo può raddrizzare questo "perpetuo errore che è esattamente la via"." (Antonio Scurati)