Cinquant'anni fa, l'11 ottobre 1962, Giovanni XXIII apriva, nella magnifica cornice della basilica di San Pietro, il Concilio Ecumenico Vaticano II: la più grande assemblea di vescovi che la storia della Chiesa avesse mai conosciuto. Il memorabile discorso di apertura, l'allocuzione "Gaudet Mater Ecclesia", può essere considerato come il frutto maturo di un lento percorso intellettuale e spirituale che sempre di più confermò il vecchio Papa sulla "profetica intuizione" della convocazione di un Concilio di aggiornamento per la Chiesa universale. Il programma del Concilio non fu fissato da Giovanni XXIII tutto in una volta; al contrario, i suoi scopi e la sua natura furono da lui messi a fuoco e approfonditi poco alla volta, in un rapporto dialettico e costruttivo tra il Pontefice e quei vescovi (e teologi) ai quali stava molto a cuore il rinnovamento della Chiesa in ambito teologico e pastorale. Attraverso il diario del direttore della Civiltà Cattolica del tempo, padre Roberto Tucci S.J., oggi cardinale, ci è possibile verificare, nell'arco dei tre anni di preparazione di quell'evento, i temi che più stavano a cuore al Papa e quali furono le strategie di azione che egli pose in essere per dare maggiore slancio al futuro Concilio e assicurarne la libertà.
Quest’anno oltre al 150° dell’unità d’Italia, ricorre anche il centenario della «seconda guerra coloniale» italiana cioè quella di Libia del 29 settembre 1911, che a sua volta avveniva durante i festeggiamenti del cinquantesimo dell’unità nazionale. Non è facile oggi parlare di guerre coloniali e persino la ricostruzione storica di questi eventi si presta spesso a strumentalizzazioni di ordine politico internazionale. Sotto il profilo storico-interpretativo sarebbe un grave errore giudicare le guerre coloniali con criteri che appartengono alla nostra attuale cultura e sensibilità giuridica, stravolgendone quindi il significato e decontestualizzandone l’evento. Questo però non significa che il fatto storico non vada sottoposto a interpretazione critica, e riconoscere e condannare gli sbagli e gli eccessi compiuti da parte dei cosiddetti eserciti «civilizzatori».
Nelle guerre coloniali del XIX e XX secolo, condotte dalle maggiori potenze europee, l’elemento religioso è stato spesso utilizzato in modo strumentale per convincere le popolazioni indigene sull’utilità e necessità storica dell’impresa, volta, si diceva, a importare in quei Paesi la civiltà e la cultura occidentale e i benefici economici e sociali legati ad essa. Il libro tratta dell’utilizzazione strumentale che della materia religiosa, in tal caso dell’islàm, fecero in Libia i capi militari e civili italiani dell’impresa militare, mentre in Patria l’impresa fu a volte interpretata da una parte del clero e da una certa cultura cattolica con i toni «infervorati» della guerra religiosa. Posizione che fu energicamente condannata dalla Santa Sede, e in particolare da Papa Pio X, che per fugare ogni possibile dubbio sulla questione, fece pubblicare sull’Osservatore Romano una Nota di biasimo di tali fuorvianti interpretazioni. Più volte, inoltre, il Pontefice, come risulta dalle carte dell’Archivio Segreto Vaticano, richiamò, anche personalmente, alcuni alti prelati e vescovi residenziali a maggior moderazione nelle loro esternazioni a sostegno «della guerra coloniale», e a mantenere in tale delicata materia un atteggiamento imparziale come si addice, commentava amaramente il Papa, a Pastori, chiamati a pacificare e non a fomentare o giustificare una guerra di conquista.
Sale affronta con documenti inediti una pagina drammatica nella storia contemporanea italiana
Il Regio decreto legge del 17 novembre 1938 n. 1728 sui Provvedimenti per la difesa della razza italiana unificava, in un primo corpo legislativo organico, i princìpi che erano stati fissati il 6 ottobre precedente dal Gran Consiglio del fascismo nella sua celebre Dichiarazione sulla razza. Per la prima volta nella storia dell’Italia unita, un testo legislativo aveva per oggetto una parte dei cittadini dello Stato, identificati sulla base di criteri razziali. Per tutto il periodo fascista tale testo legislativo rappresentò il punto di riferimento per la successiva legislazione razziale, o meglio antisemita, nonché per i numerosi provvedimenti amministrativi - che resero più penetranti e incisivi i provvedimenti discriminatori adottati dal legislatore - successivamente emanati a tale riguardo. In questo lavoro, facendo riferimento alle fonti vaticane di recente desecretate e a quelle inedite della Civiltà Cattolica, si esamina l’atteggiamento di critica e di opposizione assunto dalla Santa Sede nei confronti di tale provvedimento, in particolare della sua prima parte, quella riguardante il matrimonio tra cittadini ariani e persone appartenenti a razze diverse: materia molto delicata per la Chiesa, sulla quale Pio XI in particolare non era minimamente disposto a transigere. Nella seconda parte del lavoro si tratta invece della difficile e farraginosa applicazione delle leggi razziali. Infatti, agli organi governativi responsabili della politica razziale risultò ben presto chiaro che l’applicazione di queste avrebbe creato al regime più problemi di quanto si fosse previsto, soprattutto nella materia dei «matrimoni misti». Di fatto, negli anni successivi, più volte furono presentati al Duce, da parte della «Demorazza», progetti di revisione della legge sulla difesa della razza in modo da renderla più efficace e «applicabile». Dalle fonti ecclesiastiche risulta che la Santa Sede, approfittando del nuovo clima che si era creato tra le due autorità con l’elezione al pontificato di Pio XII, cercò di ottenere dal Governo un «alleggerimento» della suddetta legislazione, che poco alla volta dalla fase della discriminazione delle persone passava a quella dei «campi di internamento», e appoggiò, attraverso l’infaticabile opera del p. Tacchi Venturi, le richieste di «arianizzazione» o simili presentate agli organi competenti da migliaia di ebrei. Mussolini su tale materia adottò, seppure senza troppa convinzione, la politica della linea dura, e, per ingraziarsi l’alleato tedesco, respinse la maggior parte delle richieste vaticane.
La Chiesa e i cattolici nei mesi decisivi dell'Assemblea Costituente: uno studio su documenti inediti.
Il grande lavorio per la formulazione della Costituzione repubblicana, fra 1946 e 1947, oggetto di questo volume di Giovanni Sale Ë, come negli altri suoi libri, corredato dalla pubblicazione integrale dei documenti dellíArchivio della Civilt‡ Cattolica sullíargomento e orienta nuova luce sullíopera svolta dai costituenti in un serrato e anche duro confronto con esponenti della stessa Civilt‡ Cattolica e della Segreteria di Stato vaticana.
La complessa materia Ë sviluppata in modo da condurre a una sempre maggior comprensione sia degli attori sia delle problematiche in campo. Ne emerge nitidamente il cammino che porta al maturarsi di una riflessione e allíesprimersi di una cultura giuridica e politica che Ë capace di affrontare questioni delicatissime con precisione, rigore ed apertura di mente, pur allíinterno di margini strettissimi di confronto e di mediazione.
Il volume Ë organizzato in tre parti: i protagonisti; la materia; i documenti.
Nei ìprotagonistiî si affronta líattivit‡ dei cattolici nellíAssemblea Costituente, quindi si incontra Giuseppe Dossetti e la preparazione dellíarticolo 7 della Costituzione e, poi, Alcide De Gasperi, soprattutto intorno a due temi dallo statista trentino ritenuti essenziali: la forma di governo e i rapporti tra Stato e Chiesa.
La materia viene identificata prima di tutto con líarticolo 7, sui rapporti tra Stato e Chiesa, poi con Famiglia e matrimonio nella Costituzione, quindi con la Scuola statale e non statale nellíart. 33 della Costituzione per concludere con la libert‡ religiosa in Costituzione.
Su questíultimo tema vengono esposti fra líaltro il progetto della Civilt‡ Cattolica, di allora, in materia di libert‡ religiosa e la posizione della Santa Sede di fronte alla discussione costituzionale sulla libert‡ religiosa.
Alcide De Gasperi (1881-1954) nel biennio 1946-47 fu al centro di eventi fondamentali per la storia d'Italia ed evitò il prevalere di un asse clerical-reazionario contro la sua politica di tessitura democratica. In questo periodo infatti, de Gasperi compì il suo viaggio negli Usa, firmò a Parigi il trattato di pace, presiedette il tripartito con socialisti e comunisti e nel giugno del '47 aprì la strada al periodo delle alleanze centriste. L'autore in questo libro tratteggia le relazioni e gli eventi che si susseguirono durante l'Assemblea Costituente, soffermandosi sui temi che stavano a cuore al Vaticano: i rapporti tra Stato e Chiesa, il matrimonio e la libertà in materia scolastica.
Il libro esamina uno dei momenti più delicati e significativi della recente storia politico-istituzionale italiana: la vittoria del voto repubblicano nel referendum del 2 giugno 1946. L'indagine è divisa in due partti: nella prima si ricostruiscono le vicende politico-istituzionali che portarono al passaggio dalla Monarchia alla Repubblica. La seconda ricostruisce gli ultimi giorni di regno di Umberto II.
In occasione della celebrazione del 150° anniversario dell'unità d'Ialia ili dibattito storico sulla "questione risorgimentale" sta vivendo un momento di vivacità, almeno a livello politico e mediatico. Da varie parti e con diverse motivazioni vengono espresse sempre di più, non solo da opinionisti, ma anche da politici, perplessità sul modo in cui fu raggiunta l'unità d'Italia e sull'opportunità della forma di Stato "accentrato" che fu adottata dalla élite politica piemontese del tempo. Per questi la raggiunta unificazione degli antichi Stati regionali sotto lo scettro di casa Savoia, e quindi sotto il modello statuale piemontese, fu un'operazione condotta affrettatamente e sotto l'incalzare degli eventi. Si deve parlare dunque di Risorgimento come di un'operazione "sbagliata"? O meglio come di una rivoluzione "fallita"?
Una breve appendice documentale coglie a caldo il dibattito che esisteva a quel tempo sulla "questione risorgimentale" all'interno del mondo cattolico.