Al cuore delle comunità cristiane affiora un vistoso disagio, che si manifesta in modi diversi. In molti parlano ormai apertamente di fuoriuscita del cristianesimo dalla cultura occidentale, e di una sua imminente implosione. Cosa resterà, della Chiesa di oggi, nei prossimi decenni? Obiettivo del libro è di ricostruire i tratti salienti della religiosità contemporanea, per immaginare i caratteri della Chiesa futura ma più in generale della società futura. Dalla scomparsa della figura del praticante a vantaggio di quelle del nomade dello spirito e del pellegrino e dalla spinosa ma ineludibile questione del pluralismo religioso alla nuova geografia degli odierni cristianesimi; dal ruolo della Bibbia, grande codice dell'Occidente e non solo, alla figura di Gesù, riscoperta di recente nella sua ebraicità. La domanda centrale è poi su che cosa rischiamo tutti di perdere in una cultura in cui il cristianesimo che abbiamo ereditato dal passato non funziona più. Quel che è certo è che se la visione cristiana vuole risultare ancora credibile, va ripensata da capo.
Va presa sul serio l'attribuzione, da parte della tradizione ebraica, del libro di Qoèlet al re Salomone. Eppure, a prima vista nulla sembra più lontano dal messaggio del Qoèlet "Vanità delle vanità, tutto è vanità" del re di Israele più grande di sempre, sapiente oltre ogni misura, fortunato in amore e straordinariamente dotato di ricchezze. Cosa si nasconde, dunque, dietro tale misteriosa assegnazione? Quale enigma si cela fra le ruvide riflessioni di un saggio ebreo che non cita la Torah, non fa menzione di Gerusalemme e sembra ben poco attratto dalla prospettiva di un aldilà? Seguendo il filone della teologia narrativa, il libro reinventa, sulla scorta del midrash ebraico primo livello di lettura, la storia di re Salomone a partire dagli anni belli della giovinezza e della costruzione del tempio a Gerusalemme; lo seguiamo, poi, nella sua progressiva crisi e maturazione quale futuro autore del Qoèlet. Nel secondo livello di lettura il libro biblico è situato nel contesto della nostra cultura post-moderna, in cui sta riemergendo dal passato, in maniera sotterranea ma evidente, un'istanza sapienziale che può rispecchiare i propri dubbi, le proprie faticose speranze e le proprie perplessità in personaggi biblici sui generis come lo stesso Qoèlet.
Un nuovo libro che faccia l'apologia della pace non serve. Serve, e molto, ogni contributo che aiuti lo sviluppo del pensiero critico intorno a una sfida radicale per tutta l'umanità, in merito alla quale si addensano tradizionalmente pregiudizi, forme di stupidità, trivialità, discorsi interessati e parole dette in malafede. Dare un contributo di questo tipo è lo scopo di queste pagine scritte da due autori con competenze diverse, ma qui accomunati nel tentativo di offrire spunti di meditazione che vadano oltre l'esistente. Possono venire alla luce un'esistenza, una società e una storia che si svolgano nella libertà dal principio di potere e di guerra? «Da parte nostra», scrivono gli autori, «la risposta non può che essere positiva, ma potrà esserlo solo se si accetta il rischio di pensare altrimenti, superando i luoghi comuni del pensiero convenzionale e facendo nostro il valore essenziale della responsabilità». Dichiarare impossibile la pace è già un gesto che equivale ad abdicare alla nostra umanità. Non esiste una posizione asettica. Il tipo di pensiero che sviluppiamo è inscritto nel nostro modo di esercitare la responsabilità storica per la condizione dell'umanità e del pianeta. Più si accetta questa responsabilità con coraggio e fedeltà e più si riesce a cogliere la verità della pace.
Se resta ancora aperta- verosimilmente non destinata a chiudersi mai - la discussione su quanto la canzone d'autore sia imparentata con la poesia, impossibile è invece negare che essa abbia saputo interpretare al meglio sogni e bisogni, ansie e difficoltà del nostro paese, a partire dalla stagione del boom economico. Uno dei protagonisti di tale fenomeno è stato senza dubbio Enzo Jannacci, milanese doc, nato nel 1935 e morto nel 2013, che per quasi sei decenni ha alternato la professione di medico chirurgo alla musica cosiddetta leggera. Sapendo coniugare, come nessun altro nel panorama artistico nazionale, il gusto irriverente per lo sberleffo e una sensibilità geniale e stralunata, con una vena poetica tendente alla malinconia e alla nostalgia per un mondo arruffato ma ancora capace di riconoscere la purezza.
È ancora necessario soffermarsi sulle vicende straordinarie del fratello universale Charles de Foucauld, avventuriero, monaco ed eremita, forse oggi più di ieri. E di farlo con una preziosa bussola, l'enciclica di papa Francesco Fratelli tutti, cuore pulsante di un progetto che - mettendo a fuoco il complesso reticolo dei rapporti fra cristiani e musulmani - può fungere da cartina di tornasole di una Chiesa autenticamente, e coraggiosamente, in uscita. In entrambi i casi, per de Foucauld e Bergoglio, il solo metro di paragone, il Modello Unico (come lo chiamava il primo) è - e non può essere altrimenti - Gesù di Nazaret.
"La realtà è superiore all'idea" è uno dei principi che guidano il pensiero di papa Francesco. Ne parla, per la prima volta, nell'esortazione apostolica del 2013 Evangelii gaudium, al n. 231, quando affronta il tema del bene comune e della pace sociale. Bergoglio, evidentemente, intende metterci in guardia dal rischio di guardare la realtà attraverso le lenti non di rado distorte delle nostre categorie concettuali, talvolta frutto del nostro immaginario più che di un'esperienza diretta. Bene, esattamente come "la realtà è superiore all'idea", così la prassi dialogica - dal dialogo della vita quotidiana a quello segnato da vie spirituali - è sempre superiore a qualsiasi pur superba teorizzazione. Per dirlo con una frase chiave del bel film di Ermanno Olmi del 2007 Centochiodi, messa in bocca al protagonista, un professore di religione in piena crisi, "tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico".
La ricchezza del reale è multiforme e per esprimersi ha bisogno del concorso di molti e diversi saperi: anche di quello teologico e tanto più in un cambio d'epoca come quello che stiamo attraversando (papa Francesco). La teologia è oggi dunque chiamata a confrontarsi e dialogare con gli altri saperi, portando alla causa di un nuovo umanesimo il contributo della riflessione delle comunità credenti. Se la teologia deve saper accompagnare i processi culturali e sociali, essa lo potrà fare solo assumendo il contesto specifico in cui nasce e lavora. La dimensione ecumenica, interreligiosa e interculturale diventa così costitutiva della teologia pubblica che verrà.
"Il pluralismo religioso è oggi una sfida per tutte le religioni" (C.M. Martini). Questo volume, per la prima volta in Italia, si propone come un manuale di dialogo interreligioso, la cui lettura potrà essere utile agli studi teologici, alle comunità ecclesiali, alle cristiane e ai cristiani che vivono quotidianamente il confronto coi fedeli di altre religioni.