Nel pensiero di Arthur Schopenhauer un posto particolare viene occupato dalla riflessione attorno al linguaggio, quale veicolo della comunicazione umana e soprattutto quale abito del pensiero; ma è anche una riflessione sulle lingue stesse, intese come idiomi. Risulta abbastanza facilmente comprensibile come, all’interno di un modello di filosofia quale quella del Nostro, tale tema assuma un carattere del tutto particolare.
Nei Parerga, di cui qui presentiamo un capitolo (i paragrafi dal 298 al 303a) riuniti sotto il titolo Űber Sprache und Worte, si assiste a una ampissima analisi non tanto riferita al “Che cos’è” della lingua e dei suoi oggetti (e, sottinteso, del suo soggetto, il parlante), ma volta a – per così dire – circoscrivere, attraverso il riverberare di mille sfumature concettuali, il “Come” il linguaggio si struttura e si dispone, nell’azione stessa del pensiero.
Sulla religione raccoglie una serie di brevi saggi, pamphlet e un dialogo dello scrittore e filosofo tedesco sul tema della religione. In Sulla religione si ripropongono saggi poco conosciuti al grande pubblico, ma che a pieno titolo stanno tra quelle cosiddette "opere minori" di Schopenhauer che hanno riscosso grande popolarità tra le più variegate tipologie di lettori. Sulla religione non fa eccezioni, e il rapporto tra uomo e Dio, con i suoi inganni ed autoinganni, verità rivelate e smentite, abusi e storture viene sviscerato con la consueta intelligenza e caustica ironia. L'ebraismo, l'islamismo e il cristianesimo sono analizzati, soppesati e giudicati con intelligenza e profondità. Grazie all'inconfondibile stile aforistico, acuto e al contempo semplice e chiaro il filosofo nato a Danzica fa luce su 5.000 anni di "storia di Dio", dall'induismo, di cui Schopenahuer fu primo e grande divulgatore in Europa, all'ebraismo, padre del fanatismo islamico e crociato. La certezza di Schopenhauer di vedere il cristianesimo (e le religioni tutte) prossime all'estinzione, le divagazioni illuminanti sul rapporto tra religioni e animali, tra dei e demoni, morale e potere e perfino la massima cardine di questo volume "si tratta di credere o di pensare" restituisce tutta l'attualità e la forza viva di questi scritti.
Nel pensiero di Arthur Schopenhauer la parte relativa alla lettura affronta direttamente non solo l'elemento nodale della pratica del leggere quale attività elettiva del soggetto, nel distogliersi dal meccanico perpetuare del ritmo imposto dalla volontà di vivere, ma anche il suo opposto. Che cosa accade infatti effettivamente nel momento del leggere, se non una imitazione o una riproduzione di un movimento di pensiero non proprio? Questo aspetto fenomenico affascina fortemente il pensatore, perché presenta sotto una luce non ovvia, né tantomeno usuale anche per il linguaggio fìlosofìco, il movimento della lettura e la sua funzione oppiacea, la sua natura mimetica di "falso movimento" cognitivo, poiché "Quando leggiamo, un altro pensa al posto nostro: noi ripetiamo semplicemente il suo processo mentale".
Fra i molti elementi controcorrente che resero celebre Schopenhauer presso una ristretta cerchia di contemporanei e contribuirono nel Novecento a trasformarlo in oggetto di culto per una ben più folta schiera di appassionati vi è senz'altro la lungimirante apertura nei confronti del mondo, della cultura e della religiosità dell'Oriente, in particolare dell'India. Alcuni, da Nietzsche a Hesse, videro in ciò il segno di una inarrivabile libertà intellettuale: per Schopenhauer non la Grecia, non Roma, non il Cristianesimo rappresentano la culla e l'età dell'oro dell'umanità - e, quindi, dell'Europa - bensì l'India, il Brahmanesimo e il Buddhismo. Certo egli non fu il solo a pensarlo, giacché una sorta di indomania caratterizzò l'intera cultura romantica. Schopenhauer fu però il primo e unico filosofo a inserire organicamente l'India in un poderoso sistema di pensiero, facendone il cardine della sua metafisica e della sua etica: "Buddha, Eckhart e io insegniamo nella sostanza la stessa cosa" annotò due anni prima della morte, consapevole di imprimere così il proprio sigillo di verità a un'opera destinata a permanere.
Il senso rivoluzionario della tematica dell'opera sta nella sua concezione della volontà metafisica, considerata come il vortice inarrestabile che governa il tutto, e da cui la volontà umana può liberarsi solo autosopprimendosi, per raggiungere così la beatitudine. Quest'opera ha avuto una fortuna davvero rimarchevole, non soltanto in ambito strettamente filosofico (Nietzsche, Bergson), ma anche nella letteratura e nell'arte (Wagner, Tolstoj, Mann), in psicoanalisi (Freud), in antropologia (Gehlen) e nell'indagine critica della società (Horkheimer).
Tra le carte di Schopenhauer si trova un fascio di fogli fittamente annotati, sul primo dei quali si legge: "Questo libro si intitola «Senilia». Iniziato a Francoforte sul Meno nell'aprile del 1852". Fino alla morte Schopenhauer continuò a registrarvi, giorno dopo giorno, ciò che più gli premeva: citazioni, ricordi, riflessioni, appunti di lavoro, massime e norme di comportamento. E in tali fogli è possibile cogliere quella sapienza quotidiana che rende sopportabile e perfino piacevole la vecchiaia, compensando l'insopprimibile sensazione che "il Nilo stia ormai arrivando al Cairo."
Il volume presenta i testi postumi di Schopenhauer del periodo successivo alla pubblicazione del "Mondo come volontà e rappresentazione". Si tratta di riflessioni, aforismi, appunti e abbozzi riuniti in cinque "libri" che testimoniano come la vena filosofica e letteraria del giovane filosofo non si fosse esaurita dopo la pubblicazione della sua opera più conosciuta.
Presentato a un concorso bandito nel 1837 dalla Reale Società di Danimarca, questo saggio non solo non vinse il premio, ma venne decisamente riprovato dagli accademici danesi per le gravi offese recate a "parecchi grandissimi filosofi degli ultimi tempi": ossia Hegel, Fichte e Schelling. Cosa c'era che rendeva il saggio tanto inviso alla cultura del suo tempo? Probabilmente gli stessi motivi che nella seconda metà dell'Ottocento e poi nel Novecento lo resero tanto influente.
Nel 1838, quando presentò questo scritto al concorso della Reale Società norvegese delle Scienze di Trondheim per un saggio sul problema della libertà del volere, Schopenhauer viveva da cinque anni chiuso nella sua esistenza di "filosofo solitario" in rotta con i maestri, le scuole e le ideologie dominanti. Fin dal 1820 si era manifestato un aspro conflitto con Hegel, le cui teorie attraevano sempre più il pubblico colto tedesco. Schopenhauer svolgeva una deliberata critica dello storicismo idealista, il suo dichiarato ateismo suscitava il sospetto delle autorità accademiche. Il ritiro a Francoforte nel 1831 lo spinse a svolgere con netta intrasigenza pessimistica il tema dell'assoluta volontà che persiste oltre il fluire dei fenomeni.
Una raccolta di riflessioni per conoscere sè stessi