La centralità moderna del soggetto ha sigillato la dignità di ogni singolo venire al mondo: umani si nasce. Tale conquista, però, non ha spostato di un millimetro la nostra resa all'insignificanza della destinazione di questo nascere: l'umano è un effetto senza causa adeguata - praticamente un miracolo - ma la sua morte azzera tutto. Insomma, si nasce per niente. Non abbiamo il coraggio di dirlo ai figli, ma ci siamo convinti, dati scientifici alla mano, che il passaggio della nascita non si ripeterà in nessun altro modo. Eppure, nemmeno l'astrofisica, oggi, lo giurerebbe in tribunale. I segnali più antichi dell'ominizzazione della vita della coscienza coincidono con la ritualizzazione della morte come passaggio: come se lo sapessimo da sempre. Il cristianesimo, poi, ha introdotto la generazione e la risurrezione nell'intimità dell'essere divino, aprendovi la destinazione per un'umanità imperfetta. Impensabile anche per la religione più alta: eppure la fede cristiana non si muove da lì. Credenti o non credenti, quanti siamo, abbiamo forse dilapidato l'eredità migliore della nostra storia?
La vibrazione è l'annuncio primordiale della vita di tutte le cose. L'abbozzo della coscienza - fin dal grembo della madre - fu la risonanza di una qualità relazionale e soggettiva del sé, modulata dalla vibrazione (ritmo, tono, timbro). Nella musica - meraviglia di una risonanza spirituale della vibrazione fisica - la memoria di questa emozione generativa dell'anima continua e si arricchisce. In questo modo, la musica restituisce ed esalta la coscienza e il piacere dell'essere-significante della comunità e dell'io, che definisce l'umano. L'essere-significante non è costretto ad abitare un particolare significato, ma è libero di sfiorarli tutti, esaltandone le affezioni nascoste e arricchendone il pensiero riflesso. Esiste dunque un canone musicale del pensiero, non solo del sentimento; dell'interiorità, non solo dei suoni; delle relazioni, non solo delle emozioni. La cultura della musica conosce una straordinaria vitalità della sua integrazione affettiva della risonanza: ma non è ancora giunta a occupare il posto che le spetta nella storia del pensiero. Questo libro esplora la sua storia dal punto di vista del valore aggiunto che l'evoluzione occidentale, segnata dal cristianesimo, apporta all'esperienza universale, sempre intrecciata col sacro.
Nei giorni in cui più imperversava la pandemia da coronavirus, una delle menti più lucide del cattolicesimo contemporaneo ha tenuto una sorta di diario teologico, le cui pagine folgoranti sono state come distillate dalla gravità del momento. Non una retorica scontata - e quindi irritante in un tempo inedito come questo - ma parole e pensieri originali, potenti e persuasivi. Interrogato da un evento estremo, che impone la domanda della morte a dispetto di ogni sua rimozione, Sequeri ci restituisce l'essenziale di Dio, degli umani e della loro indistruttibile relazione. Uno sguardo penetrante che tocca l'anima, come quello di medici e infermieri, che prendendosi cura del corpo dei malati hanno raggiunto il loro spirito e quello di noi tutti. «Uno sguardo umano cambia la vita - e persino la morte». Ci siamo abituati a sguardi distratti, superficiali se non astiosi, nella frenesia delle nostre vite. Ora però abbiamo forse imparato a riconoscere la profondità e la potenza di uno sguardo buono, quello che ospita in sé la nostra fragile condizione umana. È lo stesso sguardo di Dio che vuole bene alla sua creatura e sa commuoversi davanti alle sue ferite. Tutte le pagine di questo prezioso libretto ci parlano della tenacia e della affidabile compassione del Dio di Gesù, misteriosa radice di ogni fiducia e speranza, anche quelle più esili. Ne saremo all'altezza? Impareremo a nutrire ogni giorno sguardi buoni per chi ci sta accanto, per l'altro che incontriamo, per la comunità umana a cui apparteniamo?
A venticinque anni di distanza dalla prima edizione il saggio di Pierangelo Sequeri appare di immutata attualità: è diventato un classico, un longseller. Il segreto di questa vitalità sta nel suo attestarsi sul nucleo centrale del cristianesimo, che rischia di essere perso di vista in un tempo confuso come il nostro. Questo saggio può essere considerato come una riflessione, geniale e originalissima, sullo sguardo di Dio e su ciò che esso suscita nell'uomo. A tale sguardo, per definizione, è impossibile sottrarsi: è una buona notizia o una scoperta inquietante? Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, avverte il sentimento della possibile ambiguità di Dio: dietro un volto in apparenza buono e promettente, egli ne cela forse uno preoccupante e minaccioso. Questo sospetto alimenta la paura, perché ci fa sentire nudi ed esposti a un occhio che scruta implacabilmente la nostra inadeguatezza. E così che l'esperienza religiosa universale immagina Dio, al modo di un Faraone strapotente, nello stesso tempo e senza criteri apprezzabili prodigo di favori e dispensatore di disgrazie. È la religione della paura e dell'assoggettamento servile. Gesù dissipa le nebbie di questa ambiguità con un'inaudita folgorazione sulla verità di Dio, quella che spesso ci si rassegna a considerare pura illusione: Dio, fin dalla creazione del mondo, e dopo ogni colpa, è passione inestinguibile e tenera cura per l'uomo. È questa, e solo questa, l'intenzione di Dio che il Figlio rivela restituendo al desiderio di vivere poveri, ciechi, zoppi, lebbrosi e peccatori. Fino alla misura colma della morte in croce per riscattare dalla loro schiavitù i devoti della religione della paura. Gratuità senza riserve, pura grazia la cui accoglienza è questione di vita o di morte.
La libertà dell'individuo, l'affermazione di sé e dei propri diritti e desideri, punto focale della modernità, è diventata oggi il culto ossessivo dell'identità personale. Un vero e proprio 'monoteismo del sé' che, consumando compulsivamente il mondo e gli altri come puri strumenti della propria realizzazione, finisce per consumare la sua stessa umanità. Il primo santo del calendario post-moderno non è più, come annunciava Marx, Prometeo, che sfidava gli dei in favore degli uomini. È Narciso, che vive dell'amore dell'altro ma non lo riconosce e non restituisce nulla. È un destino segnato per l'umano? Questo dogmatico 'tutto intorno a me' che ormai mostra in molti modi il suo carattere distruttivo - dal ripiegamento narcisistico dell'amore al fanatismo religioso, dallo svuotamento della comunicazione alla soggezione della tecnica, dalla commercializzazione del dono alla burocrazia del diritto - non conosce alternativa? Pierangelo Sequeri dice di no, noi non siamo questo, l'umano non funziona affatto come lo racconta il pensiero unico. E una via d'uscita c'è. Occorre avere il coraggio di disarmare questa pulsione ossessiva che conduce al nulla, andando al meccanismo che la innesca: si tratta, nelle parole di Sequeri, di «rovesciare il tavolo del soggetto moderno». Invece di accanirsi sulla domanda 'chi sono io', alla quale l'individuo non è in grado di dare risposta, guadagnandone solo frustrazione e maggiore aggressività, bisogna imparare a chiedersi 'per chi sono io', un interrogativo capace di aprire il varco verso un'avventura personale e di relazione che ha il sapore della libertà. Rovesciando l'ordine delle sue domande di senso, l'umano trova eccome la sua destinazione, e cambiare rotta non è poi così difficile: «Non si tratta di cancellare la dignità del soggetto libero e consapevole, sacrificandola all'alterità o alla collettività. Si tratta di uscire - mentalmente, anzitutto - dall'incantamento di Narciso, impasticcato e afasico, rompendogli lo specchio e mandandolo a lavorare. Scoprirà di essere migliore, sarà felice. (E anche noi)».
C'è sicuramente qualcosa di miracoloso, a pensarci bene, nel ritmo del tempo di Gesù e della sua rivelazione. Una rivelazione che si fa quasi tutta per strada: a passo d'uomo. Per prendere la misura dell'uomo, e assimilarne tutti i dettagli, il Figlio incarnato visse anni e anni fra le donne e gli uomini del fazzoletto di terra che aveva scelto. Perché la sintonia e l'assimilazione dell'umano vogliono tempo. Il tempo lavora l'anima e fa la differenza. Allo stesso modo, la Chiesa ha le sue stagioni migliori quando accetta di andare a passo d'uomo. Non più veloce, non più piano. Cercando di avere tenuta di strada, sguardo acuto sul solco e mano ferma all'aratro. Se vuole capire la terra deve abitarla, riconoscerne i profumi, saperne la vita. Nel trovare, o ritrovare, questa sapienza partecipe e senza affanno ci guidano i testi di PierAngelo Sequeri qui raccolti. Testi spesso molto brevi, che accompagnano occasioni del tempo dell'uomo e del cristiano, mettendole in risonanza con i tempi di Dio. Perché se il discepolo, il testimone viandante, va a passo d'uomo, seguendo il suo Signore, cammin facendo imparerà l'uomo. Saprà decifrare segni per altri impercettibili. Segni in cui si formano legature di Dio che sfidano il tempo. Autentici miracoli o piccole tracce. E a volte, le due cose coincidono.
Proposto per la prima volta in traduzione italiana, questo testo di Michel de Certeau venne pubblicato in Francia nell’autunno 1969. È dunque uno dei suoi primi libri, che alla lettura odierna non risulta datato, ma si carica di una valenza speciale, divenendo una sorta di introduzione ai temi che il grande autore francese andò poi sviluppando nel corso degli anni, in particolar modo l’esperienza cristiana e la dinamica dei percorsi individuali nello spessore del corpo sociale. Una forte attualità mantiene anche il punto di partenza che muove il testo: la crisi delle certezze religiose, il sempre meno stringente vincolo delle istituzioni della Chiesa, la scoperta sconcertante che all’esperienza del credente è intrinseco anche un non-sapere. E Dio si mostra come uno ‘straniero’, un altro che irrompe destabilizzando la logorata ‘domesticità’ cui il canone religioso l’aveva confinato, che sfugge alla tessitura troppo fitta, automatizzata e risolta della religione praticata dagli uomini. Ma è proprio in questo processo di ‘perdita’ e trasalimento, puntualizza de Certeau, che può darsi l’accadimento autentico di essere sorpresi da Dio, nell’inaspettato incontro con la sua presenza. «Una verità interiore appare solo con l’irruzione di un altro», ci dice, «perché si desti e si riveli, occorre sempre l’indiscrezione dello straniero o l’urto di una sorpresa. Bisogna essere sorpresi per diventare veri». Come i discepoli di Emmaus, rapiti dalla rivelazione che lo ‘straniero’ alla cui ignoranza dei fatti guardavano con sufficienza è proprio il Signore, e da quello svelamento cambiati anche nel loro rapporto con gli altri, così tutti i cristiani incontrano in modo nuovo l’alterità degli uomini e da essa e con essa vengono trascinati verso l’esperienza dell’alterità di Dio. Gli apostoli sulle strade contemporanee a Gesù, ma anche un educatore o un padre di fronte a un giovane, un missionario partito per ‘un altro paese’, una società alle prese con i suoi fermenti di cambiamento: sono tutte occasioni per incontri con una pluralità di universi, con un intreccio di legami sociali dai quali si può uscire cambiati e resi più veri. È l’ideale, caro a de Certeau, della ‘vita comune’, quella vita in cui l’esperienza dell’incontro con gli altri stimola l’accettazione dei limiti della propria particolarità e nutre il desiderio dell’incontro con l’alterità e la sorpresa di Dio. Accettando di lasciarsi cambiare, ognuno può imparare a diventare più libero, ma anche più solidale con gli altri, con i quali costruirà, nel messaggio lucido ma fiducioso che sta sempre sotto le analisi sociali di Michel de Certeau, «l’unione nella differenza».
«Portavano gli ammalati sulle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro» (Atti 5,15). L’ombra di Pietro è l’immagine del gesto di Dio che ispira questa raccolta di meditazioni. È un Dio ‘di strada’ quello che viene raccontato qui: pronto a cogliere l’attimo di un incontro, al quale basta un gesto o una parola per cambiare l’intera geografia dell’anima, capace di gettare il seme tra i sassi e di attendere che arrivi a maturazione quando è il suo tempo. Il Signore allunga di poco la sua ombra e ossa aride riprendono vita. Proprio questo ‘imprevisto di Dio’ è ciò di cui oggi il Cristianesimo ha sommamente bisogno per ridare forza e nitore alla sua testimonianza. La fede può fare molto infatti, oltre ogni previsione, per rinvigorire i legami che rendono speranza alla fatica di essere uomini: legami buoni in favore dei quali Dio è pieno di grazia, come la storia di Gesù ha mostrato per sempre. Ma la vita è in molti modi appesantita anche da legami non buoni che avviliscono l’uomo, privandolo del gusto di essere al mondo. Questi cattivi legami devono essere sciolti. Soltanto una potenza che viene dall’alto lo può fare, liberando l’anima e il corpo da ciò che li opprime. Dio infatti non abbandona mai la sua creatura e non asseconda la nostra rassegnazione: continua a tessere, soprattutto là dove non ce lo aspettiamo, legami buoni e altre beatitudini.
PierAngelo Sequeri, nato a Milano nel 1944, è docente di Teologia fondamentale alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. è anche direttore del Laboratorio di Musicologia Applicata di Milano. Nell’ambito della sua ricerca e delle sue pubblicazioni in opere e riviste specializzate è prevalente l’interesse per le questioni di confine tra filosofia e teologia, psicologia e teologia, estetica e teologia. Fra gli scritti più recenti: Il timore di Dio, Vita e Pensiero, Milano 1993; Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamentale, Brescia 1996; L’estro di Dio. Saggi di estetica, Milano 2000; Senza volgersi indietro. Meditazioni per tempi forti, Vita e Pensiero, Milano 2000; L’umano alla prova, Vita e Pensiero, Milano 2002; L’idea della fede. Trattato di teologia fondamentale, Milano 2002; Musica e mistica, Roma 2005.
Legami, identità, limite. Non è aria, a quanto sembra, per queste categorie. Nell’antropologia come nella pedagogia, il trend sembra più indirizzato verso il culto dell’autoreferenzialità, l’elogio della diversità, l’incentivo dell’apertura illimitata e della crescita continua. Eppure, qualcosa sta cambiando. La soggettività moderna, che era partita così sicura, diventa consapevole dei suoi rischi e delle sue incertezze. Nella metropoli cosmopolita si allargano i «deserti dell’anima»: luoghi psichici caratterizzati, a dispetto dell’apparente eccitazione dello scenario post-moderno, dalla freddezza emotiva e dall’amoralità ignara del limite. Non si tratta di opporre a questa deriva un moralismo di complemento, o qualche supplemento d’anima. Né si deve immaginare di doversi allineare alla stucchevole denuncia del nichilismo che avvolge l’Occidente. La comprensione qui è in vista di una più consapevole empatia con le opportunità culturali di un umanesimo non retorico, nello spazio offerto dalla condizione sociale presente. Rimane il fatto che il soggetto autonomo ha imboccato anche la deriva – non necessaria – di un’identità perfettamente autoreferenziale. L’ani-ma, e con essa l’umana coscienza, diviene mente e costrutto mentale; il corpo macchina e organismo biologico. È questa semplificazione – del soggetto, come dell’umano tout-court – che ora ci complica la vita. È precisamente il filo che questo saggio insegue e dipana. L’itinerario della sua ricognizione approda, non per caso, a quella esigenza di cura appassionata per l’umano-che-è-comune, in pensieri e opere (senza omissioni). La misteriosa qualità dell’umano-che-è-comune è la risorsa più decisiva di cui l’individuo dispone. È il fondamento più solido per l’elaborazione della dignità e del senso della propria singolarità esistenziale. Di quell’umano-che-è-comune, ciascuno è ospite non padrone. Esso è il più sicuro referente del bene comune: in grado di giustificare i tratti – non negoziabili e non dispotici – di un patto sociale eticamente vincolante. Alla prova del suo stesso limite.
PierAngelo Sequeri, nato a Milano nel 1944, è docente di Teologia fondamentale alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. È anche direttore del Laboratorio di Musicologia Applicata di Milano. Nell’ambito della sua ricerca e delle sue pubblicazioni in opere e riviste specializzate è prevalente l’interesse per le questioni di confine tra filosofia e teologia, psicologia e teologia, estetica e teologia. Fra gli scritti più recenti: "L’oro e la paglia", Milano 1990; (con A. Torno) "Divertimenti per Dio. Mozart e i teologi", Casale Monferrato 1992; "L’indicibile emozione del sacro: R. Otto, A. Schönberg, M. Heidegger", Milano 1993; "Il timore di Dio", Vita e Pensiero, Milano 1993; "Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamentale", Brescia 1996; "L’estro di Dio. Saggi di estetica", Milano 2000; "Senza volgersi indietro. Meditazioni per tempi forti", Vita e Pensiero, Milano 2000.
L’immagine che dà titolo al libro è tratta dal vangelo di Luca, là dove Gesù afferma: «Nessuno che abbia messo mano all’aratro e poi si volga indietro è adatto per il regno di Dio». Il monito oggi suona attuale non solo per il lamentoso cristianesimo della nostalgia (ormai in regresso), ma soprattutto per un certo irresoluto cristianesimo che sempre attende le condizioni per decidersi e finalmente dedicarsi alla causa di Gesù. Esso è tipico di un tempo di transizione come il nostro, tempo di identità flebili e incapaci di nominare cose che possano valere un’intera vita e non soltanto provvisori esperimenti del ‘bene’. In che modo la fede cristiana può richiamare a una verità che giustifica la nostra destinazione alla vita? Gli umani, infatti, desiderano una vita buona e felice. Così sono stati creati da Dio. La convinzione radicale di Gesù è che questo desiderio coincide esattamente con quello di Dio stesso. È questa la buona notizia: Dio non è come alcuni se lo immaginano. Non è il Dio del risentimento o della rappresaglia. Non è un Dio distante. La verità di Dio e del suo desiderio è quella che l’evangelo di Gesù rivela una volta per sempre: che i ciechi vedano, gli zoppi camminino, i peccatori vengano perdonati, i poveri contino. Questi protagonisti che popolano la scena evangelica rendono evidente per tutti che cosa significa poter di nuovo respirare sotto lo sguardo di Dio. Ciò che consente loro di essere riconosciuti e di trovare un senso alla vita è che su di essi si posa l’ombra unilaterale della tenerezza di Dio e della sua passione che nulla può arrestare. Le meditazioni qui proposte da Sequeri per questi tempi forti di transizione collocano al centro delle molte questioni che oggi più o meno propriamente occupano la Chiesa il tema più semplice e radicale: Dio e il suo vero volto. Su di esso si deve concentrare la cura dei discepoli. Per alzare lo sguardo verso il futuro della promessa che non delude, alla quale vale la pena di dedicare i propri giorni, senza mai volgersi indietro. Il resto verrà da sé.
PierAngelo Sequeri, nato a Milano nel 1944, è docente di Teologia fondamentale alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. È anche direttore del Laboratorio di Musicologia Applicata di Milano. Nell’ambito della sua ricerca e delle sue pubblicazioni in opere e riviste specializzate è prevalente l’interesse per le questioni di confine tra filosofia e teologia, psicologia e teologia, estetica e teologia. Fra gli scritti più recenti: L’oro e la paglia, Milano 1990; (con A. Torno) Divertimenti per Dio. Mozart e i teologi, Casale Monferrato 1992; L’indicibile emozione del sacro: R. Otto, A. Schönberg, M. Heidegger, Milano 1993; Il timore di Dio, Vita e Pensiero, Milano 1993; Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamentale, Brescia 1996; L’estro di Dio. Saggi di estetica, Milano 2000.