Le parole di San Francesco d’Assisi che danno il titolo a questo volume, suggeriscono una riflessione biblica, ebraica e cristiana, sul tema del creato divenuto molto popolare con l’attuale pontificato. Un'attenzione a "madre terra", alla "nostra casa comune" che si estende, secondo papa Francesco, alla società odierna in senso lato. Contributi di Jean Louis Ska, Daniel Marguerat e Romano Penna.
Sono trascorsi trent'anni da quando Agnese Cini Tassinario mise in pratica la sua idea di creare Biblia, associazione laica di cultura biblica. Grazie all'apporto di studiosi di indiscusso prestigio e all'impegno dei soci, è stata vinta la sfida di presentare la Bibbia come un patrimonio culturale aperto a tutti. Questa caratteristica rende Biblia esperienza inedita sia in Italia sia all'estero. La specifica ricerca dell'associazione e il suo impegno per il mondo della scuola sono ben sintetizzati da questo libro. Il testo raccoglie contributi editi e inediti di elevato valore culturale e documenta con efficacia la cultura dello scambio e l'apertura al dialogo tipici di Biblia.
Chiamare implica che qualcuno parli e qualcun altro ascolti e risponda: uno schema che si declina nella Bibbia in molteplici modi. La "chiamata" è parola di Dio, di Gesù, dei profeti; può essere "invocazione" o può indicare una "vocazione"; implica l'irrompere di un mutamento (con la risposta "Eccomi!" di Samuele) e l'adeguamento a una condotta di vita, ma anche l'"obiezione" (di Mosè, di Isaia...). Pagine celebri della Bibbia - rilette qui in chiave esegetica, spirituale, storico-filosofica - diventano il luogo in cui sorprendere significati talvolta inattesi di una Parola che, oltre la lettera, investe la nostra vita. Come il tema del discernimento e del lavoro alla base delle comunità monastiche: modelli di vocazione, che ancora ci interpellano.
La cultura del "fine settimana" affonda le proprie radici nelle Scritture, dai valori delle quali è andata però progressivamente allontanandosi. Di più, oggi lo stesso weekend, secolarizzazione del tempo biblico, rischia di essere a propria volta secolarizzato, disciolto nel tempo frammentato e continuo che caratterizza il presente. Sorge allora l'esigenza di far luce, con i saggi qui raccolti, su questa eredità dimenticata, di origine giudaico-cristiana, da cui deriva la scansione settimanale di un tempo coronato dal sabato. Proprio in quanto settimo, il sabato - o la domenica pensata come sabato cristiano -, pur essendo diverso da tutti gli altri giorni, ha bisogno dei precedenti sei per essere tale. Sono la cessazione, la quiete e il riposo a delimitare e completare l'opera che li ha preceduti. La separazione che introducono, oltre a dare pienezza al compiersi della creazione, porta a misurarsi con il senso del limite, tra umano e divino. Ecco perché parlare del sabato, a partire dalla Bibbia ebraica e cristiana, significa riflettere sul tempo, di Dio e degli uomini, interiore e collettivo.
Il libro di Qohelet - noto anche come Ecclesiaste - è uno dei testi più originali e controversi della Bibbia ebraica. Prendendo le mosse dal celebre motto Vanitas vanitatum, et omnia vanitas, il testo - con respiro poetico e religioso - si interroga sul senso della vita, sul valore della conoscenza, sul destino dell'uomo e sul suo rapporto con un divino spesso sfuggente e silenzioso. La riflessione di Qohelet, a tratti aspra e provocatoria, supera di slancio ogni possibile riduzione spiritualistica, ascetica o sapienziale che voglia censurare quanto sembri in contraddizione con il disegno della rivelazione. Qohelet è la testimonianza di una fede fermissima, capace però di esporsi a tutte le sfide del dubbio.
Se, da una parte, l'Italia è la patria indiscussa del melodramma, dall'altra non si può dire caratterizzata da una vitalità biblica paragonabile a quella dei paesi nord-europei (i paesi della Riforma), proprio per la sua peculiare storia della Chiesa contraddistinta, dopo il concilio di Trento, dalla centralità dei sacramenti rispetto alla Parola. Bibbia e melodramma tuttavia si incontrano, in un processo di secolarizzazione e contaminazione, attraverso la storia sacra piuttosto che direttamente nelle Scritture, dando frutto per esempio nella tradizione ottocentesca dell'oratorio, composizione drammatica che ruota attorno a un soggetto sacro. Sul filo rosso di questi incroci si snodano i quattro contributi qui raccolti: l'eredità di figure e temi biblici (l'oppresso Israele, l'esilio, la terra promessa) risplende nella rappresentazione artistica italiana e in due opere - le sole di ispirazione biblica - sempre in repertorio, il "Mosè" di Rossini e il "Nabucco" di Verdi.
DESCRIZIONE: L’«amore di Dio», in virtù dell’ambivalenza del genitivo (soggettivo o oggettivo), può indicare tanto il chinarsi dell’alto verso il basso proprio dell’agape divina, quanto il dirigersi del cuore umano verso il proprio Signore.
Il comando di amare rivolto dal Signore al proprio popolo ha un riferimento, antico e pregnante, al linguaggio della politica del Vicino Oriente e soprattutto, come sempre quando si evoca un patto, il soggetto interessato è collettivo.
È altrettanto certo che un mal diretto amore di Dio può andare contro l’uomo: da sempre la valutazione del martirio, anche quando si tratta di una violenza subita, è posta su un sottile crinale in cui pochissimo spazio la separa dal primato di un amore di Dio che dovrebbe riuscire a valere più del sangue versato. Tuttavia questo martirio è tutt’altra cosa dalla declinazione dello pseudo-martirio terrorista, ma anche nell’aberrazione resta traccia di un’ambivalenza più antica: nei Maccabei si manifesta la resurrezione dei morti come l’unico premio adeguato per chi offre al Signore la vita del proprio corpo; nell’islam si prospetta l’immediato godimento paradisiaco offerto allo shahid; nel cattolicesimo la canonizzazione del martire avviene in virtù del suo stesso morire.
Nella moderna coscienza occidentale si avverte però in modo profondo la falsità di ogni preteso amore di Dio che, sotto qualunque aspetto, vada a scapito dell’uomo. Non vi può essere vero amore di Dio quando, nel nome del Signore, si va contro gli esseri umani: «non c’è altro comandamento maggiore di questo» (Mc 12,31).
SAGGI DI : Paolo De Benedetti - Benedetto Carucci Viterbi - Khaled Fouad Allam - Moshe Idel -Fabrizio Lelli - Giuseppe Lorizio - Amos Luzzatto - Stella Morra - Anne-Marie Pelletier - Paolo Ricca - Francesco Rossi de Gasperis - Jean-Louis Ska - Piero Stefani - Alberto Ventura.
DESCRIZIONE: L’amore del prossimo, per il prossimo. Comando, regola o precetto o norma, di origine divina o umana, esso ha una valenza universale, derivata dalla fede oppure da un’esigenza di uguaglianza e giustizia universalistica che nasce comunque e sempre dalla considerazione della persona umana – che mi sta vicina, che mi sta lontana – come specchio o altra forma di me stesso e quindi soggetto e oggetto di uguali diritti e doveri; una convinzione che ha una lunghissima storia, continuamente lacerata dai processi di inclusione/esclusione, ma rimasta continuamente viva, aperta, sempre pronta a richiedere la consapevolezza e l’impegno di tutti e in ogni angolo della terra.
Una convinzione che, come ricorda Paolo De Benedetti, riconosce oggi quattro tipi di prossimo: se stesso; l’altro; tutto il creato; Dio. Dunque questo prossimo porta le mie stesse sembianze, oppure è tutto il creato, dal sasso alla nuvola, con esso dobbiamo imparare o re-imparare a convivere in pace, in quel rapporto di berakà, di benedizione (o di francescana laudatio) che conduce alla custodia (non al dominio) e al rispetto dell’intero universo. E poi c’è Dio, nei cui confronti si gioca quel difficile e misterioso rapporto di “immagine e somiglianza”, da cui può derivare il comando dell’amore, ma non la capacità degli esseri umani di essere sempre all’altezza di questo amore, gli uni con gli altri.
SAGGI DI : Paolo Branca - Paolo De Benedetti - Pelio Fronzaroli - Marco Grazioli - Amos Luzzatto - Salvatore Natoli - Gianfranco Ravasi - Yann Redalié - Maria Teresa Spagnoletti - Piero Stefani.
A metà strada tra esegesi e lettura spirituale, le interpretazioni proposte sono un invito a riflettere su come sia vissuta e rappresentata l'esperienza di Dio. Le pagine della Scrittura su Mosè ed Elia sono analizzate con l'aiuto della tradizione midrashica. Ribadito il carattere fondamentale della rivelazione a Mosè, si possono notare le somiglianze e le differenze con l'esperienza di Elia: dominano ancora le modalità mosaiche del dialogo come ascolto/silenzio, la forza dei luoghi (il deserto, la montagna), il fuoco, il vacillare dell'identità profetica, ma in un'atmosfera di maggiore solitudine e pericolo. Un altro mondo appare con il Nuovo Testamento: l'amore gratuito e incondizionato, la preghiera, la comunanza e la dedizione ai fratelli.