Richard Feynman - genio scientifico reso celebre dalla felice perspicuità delle sue lezioni e dei suoi scritti, oltre che dalle esplorazioni quantistiche che gli valsero il premio Nobel - non temeva di sconfinare in territori estranei alla sua materia, mosso com'era da un'insaziabile curiosità fanciullesca e armato di un'intelligenza analitica giocosa e spietata. A oltre trent'anni dalla morte, Michelle Feynman ha setacciato opere edite, carte personali, conferenze, lezioni e interviste, per trarne un memorabile florilegio di idee e riflessioni illuminate dai lampi di un'immaginazione che ammetteva come unico limite la compatibilità con le leggi note della fisica.
I numeri sono un'invenzione della mente o una scoperta con cui la mente accerta l'esistenza di qualcosa che è nel mondo? Domanda a cui da secoli i matematici hanno cercato di rispondere e che si può anche formulare così: che specie di realtà va attribuita ai numeri? Con la sua magistrale perspicuità, Zellini affronta questi temi, che non riguardano solo i matematici ma ogni essere pensante. Collegata alla prima, si incontrerà un'altra domanda capitale: come può avvenire che qualcosa, pur crescendo in dimensione (e nulla cresce come i numeri), rimanga uguale? Domanda affine a quella sull'identità delle cose soggette a metamorfosi. Ed equiparabile a quelle che si pongono i fisici sulla costituzione della materia.
La specie umana è stata sul punto di estinguersi? Può la genetica spiegare l'amore ossessivo di certe persone per i gatti? Perché nascono individui privi di impronte digitali e bambini con la coda? Che cosa possono dirci i geni sulla morte prematura del faraone Tutankhamon o sulla vicenda di Tsutomu Yamaguchi, il giapponese sopravvissuto a due esplosioni nucleari? Quale combinazione genetica creò le dita straordinariamente flessibili di Paganini? Con la consueta brillantezza e il peculiare gusto per l'aneddoto scientifico, Kean esplora queste e altre questioni, e ci mostra come da qualche parte, nel groviglio di filamenti della doppia elica, si trovino le risposte a molti misteri sugli esseri umani. La decifrazione del codice genetico non è stata facile, ma grazie a essa gli scienziati sono ora in grado di leggere le storie stupefacenti e vecchie di migliaia (o a volte milioni) di anni scritte nel nostro DNA. Come un antico oracolo che non ha ancora smesso di parlare, il DNA sa raccontarci le grandi saghe delle origini e dell'evoluzione della nostra specie, la più dominante che il nostro pianeta abbia conosciuto, e insieme le semplici storie individuali, dimostrando l'impatto decisivo che l'eredità genetica ha sul destino di ciascuno di noi. Ma non si pensi che il sequenziamento del genoma umano rappresenti un punto d'arrivo.
1943. Fronte russo occidentale, regione di Smolensk: Lev A. Zaseckij, giovane tenente dell'Armata Rossa, viene ferito da un proiettile tedesco che gli penetra in profondità nel cervello cancellando la percezione di una parte del corpo e pregiudicando sia la comprensione del linguaggio che la memoria. Sottoposto a un intenso processo di riabilitazione, Zaseckij recupera frammenti delle funzioni cerebrali perdute e torna, dolorosamente, a vivere: riaffiorano nomi di persone e oggetti, impara di nuovo a contare, riconosce la via di casa... Giorno dopo giorno, dapprima con fatica poi con crescente sicurezza, annota i progressi in un diario a partire dal quale il grande neuropsicologo russo Aleksandr Lurija, che lo ebbe in cura per molti anni e con lui stabilì una relazione strettissima e partecipe, ricostruisce il profilo clinico e la personalità di un uomo sensibile e indomabile, realizzando, come ha scritto Oliver Sacks, "quella fusione di pittura e anatomia sognata da Hume". Libro "romantico" - cioè incarnazione di una scienza nemica di ogni riduzione della realtà a schemi astratti -, "Un mondo perduto e ritrovato" è anche un libro unico, frutto della felice combinazione (sono ancora parole di Sacks) di "una descrizione rigorosa, analitica" e di "una comprensione e immedesimazione profondamente personale con gli oggetti", di lucidità scientifica e tensione drammatica. Postfazione di Luciano Mecacci.
Unico detentore del linguaggio e del pensiero astratto, l'uomo crede di poter estendere questa unicità anche al suo assetto biomeccanico e alle sue facoltà sensoriali. In realtà, come dimostrano Mark Denny e Alan McFadzean in modo non di rado sconcertante, una così tenace prospettiva antropocentrica ha fondamenta fragili e illusorie. Il nostro scheletro non è adatto alla locomozione quanto quello di molti quadrupedi. E ognuno dei nostri sensi, per quanto efficiente, mostra nel confronto con altre specie carenze sia strutturali che funzionali: l'occhio ha un'acutezza quattro volte inferiore a quella di un falco pellegrino; e lo stesso vale per olfatto, udito e gusto, dove veniamo surclassati, nell'ordine, da talpe, gufi e panda minori. Persino le nostre più elaborate protesi tecnologiche, come quelle concepite per il volo, sembrano solo pallide imitazioni di congegni ingegneristici e cognitivi preesistenti: basti pensare all'ossatura robusta e leggera degli pteranodonti; al "veleggiamento dinamico" degli albatri, che permette di coprire lunghissime distanze con un minimo dispendio di energia; o all'orientamento nei colombi, "piattaforme volanti di rilevazione a distanza" dotate di strumentazione per la navigazione celeste, ricevitori acustici a banda larga, sensori di campo magnetico. Percorrendo questa impressionante varietà di soluzioni adattative, Denny e McFadzean risalgono all'incidenza delle leggi fisiche e matematiche e dei vincoli chimici sul processo evolutivo.
Intorno alla metà degli anni Trenta del Novecento, il piccolo Henry Gustave Molaison comincia a soffrire di ripetute crisi convulsive, sviluppando un'epilessia farmaco-resistente. Quando il neurochirurgo William B. Scoville decide di sottoporlo, ormai ventisettenne, a un'operazione al cervello, il prezzo da pagare per la remissione delle crisi sarà, per Henry, il manifestarsi di una severa amnesia anterograda: l'incapacità, cioè, di ricordare le sequenze della sua vita successive all'operazione - al punto da salutare ogni giorno persone note come se le incontrasse per la prima volta, cominciando dai medici. Da quel momento, Henry diventerà semplicemente H. M., l'acronimo più pervasivo e perturbante di tutta la letteratura neuroscientifica degli ultimi decenni. Esito di una frequentazione professionale e umana di quasi mezzo secolo, quello di Suzanne Corkin non è "un" libro, ma "il" libro su un caso cui si devono scoperte decisive sulla natura della memoria e sugli specifici processi attraverso i quali viene costruita ("Il cervello di Henry" scrive la Corkin "ha risposto a più domande sulla memoria di quanto abbiano fatto gli studi scientifici dei cento anni precedenti"). Un libro che ci offre, oltre a uno dei più intensi 'ritratti clinici', una affascinante riflessione sulla tessitura fragile e tenace, coerente e composita, che sta alla base dell'identità di ognuno di noi.
A soli ventiquattro anni, nel 1905, lo studente di matematica L.E.J. Brouwer tiene a Delft, di fronte a un pubblico stupito e sconcertato, una serie di conferenze che saranno pubblicate pochi mesi dopo col titolo "Vita, arte e mistica". Opera di un temperamento ascetico e radicale, il libro è un atto di ribellione contro l'intelletto - considerato fonte di ogni male e "simbolo della caduta dell'uomo" - e la scienza, e insieme un'esortazione a diffidare della mostruosa macchina sociale, i cui meccanismi sono appunto regolati dall'intelletto: l'unica salvezza per l'uomo viene individuata nell'affrancarsi dalla logica di un mondo alienato per ritrovare in un'interiorità di matrice divina la sua più autentica natura. Divenuto un celebre matematico, Brouwer sarà protagonista di quella crisi dei fondamenti della matematica che scosse la scienza del primo Novecento: "Vita, arte e mistica" - che a lungo destò imbarazzo e diffidenza nell'ambiente accademico svela le motivazioni segrete che lo indussero a rivoluzionare la sua disciplina elaborando alcune tra le più importanti teorie matematiche mai concepite.
Se vediamo uno stormo di uccelli "per un secondo o forse meno" - come nel famoso apologo di Borges nell'"Artefice" -, non siamo in grado di stabilire il numero esatto di volatili: possiamo però stimarne approssimativamente l'ampiezza, giudicare se lo stormo è più grande o più piccolo rispetto a un altro. Muovendo da questo elegante esempio letterario, Giorgio Valortigara e Nicla Panciera ci introducono alla scoperta che la successione dei numeri interi, la cosa più intuitivamente discreta, è rappresentata nel cervello da quantità continue, affette da caratteristico "rumore". Queste due modalità, discreta e continua, sono riconducibili a una "qualità sensoriale primaria" che risponde al numero come agli altri stimoli visivi o acustici. In altre parole, ci sono nel cervello neuroni selettivamente sensibili alla numerosità degli oggetti a prescindere dalla loro grandezza, forma o posizione, e responsabili di un "senso del numero" analogo a quello dello spazio e del tempo. Dispiegando varie prove sperimentali che vanno dall'analisi del comportamento fino a quella dell'attività dei singoli neuroni, gli autori da un lato mostrano l'esistenza di innate capacità matematiche in un ventaglio sorprendentemente ampio di specie, e dall'altro, sul versante specificamente umano, ricostruiscono il passaggio storico-culturale che ha portato Homo sapiens all'elaborazione dei numeri astratti in parallelo a quella delle lettere dell'alfabeto.
"Ci sono frontiere, dove stiamo imparando, e brucia il nostro desiderio di sapere. Sono nelle profondità più minute del tessuto dello spazio, nelle origini del cosmo, nella natura del tempo, nel fato dei buchi neri, e nel funzionamento del nostro stesso pensiero. Qui, sul bordo di quello che sappiamo, a contatto con l'oceano di quanto non sappiamo, brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato". Tale è il presupposto di queste "brevi lezioni", che ci guidano, con ammirevole trasparenza, attraverso alcune tappe inevitabili della rivoluzione che ha scosso la fisica nel secolo XX e la scuote tuttora: a partire dalla teoria della relatività generale di Einstein e della meccanica quantistica fino alle questioni aperte sulla architettura del cosmo, sulle particelle elementari, sulla gravità quantistica, sulla natura del tempo e della mente.
Ogni lettore reagirà in modo diverso alle scene che David Quammen racconta seguendo da vicino i cacciatori di virus cui questo libro è dedicato, quindi entrerà con uno spirito diverso nelle grotte della Malesia sulle cui pareti vivono migliaia di pipistrelli, o nel folto della foresta pluviale del Congo, alla ricerca di rarissimi, e apparentemente inoffensivi, gorilla. Ma quando scoprirà che ciascuno di quegli animali, come i maiali, le zanzare o gli scimpanzé che si incontrano in altre pagine, può essere il vettore della prossima pandemia - di Nipah, Ebola, sars, o di virus dormienti e ancora solo in parte conosciuti, che un piccolo spillover può trasmettere all'uomo -, ogni lettore risponderà allo stesso modo: non riuscirà più a dormire, o almeno non prima di avere letto il racconto di Quammen fino all'ultima riga. E a quel punto, forse, deciderà di ricominciarlo daccapo, sperando di capire se a provocare il prossimo Big One - la prossima grande epidemia - sarà davvero Ebola, o un'altra entità ancora innominata.
Ideata autonomamente, nel 1869, da Dmitrij Mendeleev e Julius Lothar Meyer, la "tavola periodica degli elementi" continua a restare per lo più congelata nell'inerzia dei ricordi scolastici. Con il libro di Sam Kean dietro ogni simbolo e ogni numero atomico si spalancano sequenze inimmaginabili in tutti gli ambiti dell'esperienza e della conoscenza umana. Come quelle arcaico-antropologiche sull'antimonio, elemento che troviamo nel giallo del Palazzo di Nabucodonosor e nel mascara delle donne egizie, usato sia per sedurre che per incutere terrore. O, ancora, quelle medico-sanitarie sulla tossicità del nitrato d'argento contrapposta alle qualità terapeutiche dello zolfo, alla base del "prontosil rosso", sulfaminide e primo chemioterapico antibatterico. O, infine, quelle fisico-cosmologiche: tutti gli elementi della tavola, infatti, condividono la stessa genesi stellare (l'esplosione di una supernova) in una fase di contrazione della materia che ha scremato la Terra e gli altri pianeti, oltre quattro miliardi e mezzo di anni fa. Punteggiato di sorprendenti aneddoti (come quello, evocato nel titolo, del cucchiaino di gallio che si scioglie al contatto del tè, permettendo trucchi alla Houdini) e digressioni narrative, il libro di Kean è un'introduzione alla conoscenza di ciò che costituisce il nostro pianeta.
Nel 1947, quando è nata Temple Grandin, l'autismo era stato appena battezzato e descritto da due psichiatri, che lo leggevano da prospettive pressoché opposte: Leo Kanner sembrava considerarlo un'irreparabile tragedia, mentre Hans Asperger era convinto che potesse essere compensato da qualche aspetto positivo, ad esempio una particolare originalità del pensiero e dell'esperienza, che con il tempo avrebbe magari condotto a conquiste eccezionali. Oggi, a distanza di settant'anni, il disturbo dello spettro autistico è più diffuso che mai, e viene diagnosticato a un bambino su ottantotto. Nel frattempo, tuttavia, gli studi si sono spostati dalla mente autistica al cervello autistico, dai reami della psicologia - che in passato colpevolizzava le "madri frigorifero" per carenza d'affettività - a quelli della neurologia e della genetica. Intessendo la sua esperienza personale con l'illustrazione delle ultime ricerche sulle cause e i trattamenti del disturbo, Temple Grandin, coadiuvata da Richard Panek, ci introduce agli avanzamenti del neuroimaging a risonanza magnetica e agli effetti trasformativi indotti dal nuovo approccio terapeutico mirato ai singoli sintomi che sta sostituendo le diagnosi "a taglia unica" di un tempo. Ma soprattutto ci aiuta a percepire l'autismo come modalità esistenziale alternativa...