La dichiarazione d'amore di un professore per l'università, luogo di bellezza e di cultura, di libertà e di servizio, di fatica che cambia il mondo.
«Il primo vero finanziamento di cui l'istruzione ha bisogno è una grande iniezione d'amore verso il mondo che ci circonda»
Questo non è un libro di denuncia dei mali dell'università. Non è un'accusa contro lo Stato che non investe nella ricerca. E nemmeno deplorazione delle distanze tra strutture e tecnologie dei nostri atenei d'eccellenza e quelle dei maggiori atenei stranieri. È invece un libro che canta la bellezza dell'insegnare e del vivere in università, racconta il piacere delle sfide culturali, la meraviglia dell'incontro con le generazioni più giovani, la scoperta di realtà e sentimenti sempre nuovi, la ricchezza nascosta dei percorsi collettivi. È un libro che dimostra che il nostro sguardo serve non solo a vedere le cose ma anche a farle nascere e che la cultura scientifica può farsi cultura civile e propagarsi come incendio nella prateria.
"Sono duecentoquarantatre milioni gli americani che si concentrano nel tre per cento dei territori urbani del paese. A Tokyo e nel circondario, l'area metropolitana più produttiva del mondo, vivono trentasei milioni di persone. Dodici milioni risiedono nel cuore di Mumbai, e Shanghai è quasi altrettanto vasta. Su un pianeta dai grandi spazi (l'umanità intera potrebbe stare dentro il Texas - ciascun individuo con la sua villetta a schiera), noi scegliamo le città. Benché sia diventato molto economico viaggiare tra luoghi molto distanti tra loro, o lavorare in rete tra gli Ozarks e l'Azerbaijan, un numero sempre crescente di persone si raggruppa sempre più strettamente in grandi aree metropolitane. Ogni mese, cinque milioni in più di persone vanno a vivere nelle città dei paesi in via di sviluppo, e nel 2011 più della metà della popolazione mondiale è risultata essere urbana." Edward Glaeser, professore di Economia a Harvard, ci conduce in un viaggio lungo i secoli e attraverso i continenti, per rivelarci i volti nascosti della "più grande invenzione dell'uomo", la città che, nonostante ogni critica e ogni abuso, rimane il motore del progresso e dell'uomo.
Pubblicati rispettivamente nel 1755 e nel 1762, il "Discorso sull'origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini" e il "Contratto sociale" costituiscono le due principali opere in cui Rousseau riflette sui motivi che conducono gli uomini a costituirsi in società. In particolare nel "Discorso" Rousseau discute delle forme di disuguaglianza che tra gli uomini si producono a causa del tradimento perpetrato ai danni di quella "legge naturale" che dovrebbe invece guidare l'agire umano, mentre nel "Contratto" è analizzato il patto sociale che porta alla nascita politica di uno Stato in grado di garantire a ciascuno il godimento dei legittimi diritti. Le due opere si presentano sotto il segno della complementarietà perché, una volta intrapresa la strada dell'istituzione sociale, e conseguentemente perduta quella libertà che Rousseau lega allo stato di natura, questa stessa libertà va riguadagnata all'interno dello Stato mediante le leggi. I testi, qui presentati in una nuova traduzione, sono accompagnati da un'introduzione alle opere, da note al testo e alla traduzione, da un'ampia bibliografia, da una cronologia della vita e delle opere del filosofo e da un apparato di parole chiave.
La stupidità vince. Bisogna farsene una ragione. Gli imbecilli ci sono sempre stati, si sa. Eppure, nell'attuale società dei media e dei consumi sono diventati una folla cianciante che dichiara bellamente la propria deficienza intellettiva e sentimentale, esibendola come un valore. Il cretino è cool, più volente che nolente: ce lo dicono la tv, la stampa, i brand, la rete; ce lo ribadiscono i colleghi d'ufficio, i vicini di casa, i compagni di merende, gli amici al bar. Ecco un'indagine semiseria sulla stupidità contemporanea, alla ricerca delle radici filosofiche, letterarie e antropologiche di quest'inquietante fenomeno del nostro tempo. Vagabondando fra le pagine dei più vari pensatori e scrittori (Flaubert, Musil, Adorno, Deleuze, Barthes, Sciascia, Eco...), l'autore conduce una riflessione sul senso della stupidità, sullo spazio che ha nella vita di ognuno, sulle ambiguità di cui si nutre, proponendone una piccola fenomenologia sociale. Antidoti? Qualcuno sicuramente sì. Prima regola: non sentirsi troppo intelligenti.