La tradizione classica non consiste nella fedeltà a un testo fondativo, nella consegna di un patrimonio dato per immutabile: è invece traduzione, trasmissione, traslazione, trascrizione, travisamento. La sopravvivenza delle forme, dei testi, delle idee e dei miti antichi, è affidata al tenace desiderio di una misura "classica" e alla plasticità di un codice culturale che si perpetua attraverso meccanismi di manipolazione, di riuso. E l'originale è, da sempre, assente: una statua romana di Antinoo usata come testimonial per la pubblicità di un profumo "classico"; un'Ultima Cena di Socrate-Cristo in un mosaico tardo-antico; la figura di Eracle come allegoria della salvezza cristiana; Meleagro figura del corpo di Cristo.
Un'interpretazione dei capolavori del teatro greco, da parte di un grande intellettuale del Novecento, armato delle conoscenze che la sociologia, la psicologia, l'antropologia, la storia delle religioni forniscono. Gli accostamenti si succedono densi e vertiginosi: Prometeo, Beckett, le Baccanti, Levi Strauss, Sofocle, il teatro dell'assurdo in una serie di arbitrarietà apparenti, il cui valore d'uso si dimostra immediato. Dietro il grande canovaccio di regia c'è tutto l'autore, con i libri che ha letto e le idee che gli sono servite da stimolo.
Testimone e complice delle vicende umane da oltre centocinquant'anni, la fotografia ha un rapporto privilegiato con l'indagine poliziesca e scientifica. Lo storico - per il quale una fonte che unisca magicamente passato e presente (restituendoci l'impronta di un istante irripetibile) dovrebbe rappresentare un occasione più unica che rara - nutre da sempre verso l'immagine tecnica una diffidenza solo in parte motivata. Fonte per la storia e (inseparabilmente) agente di storia, la fotografia attende ancora una riflessione metodologica e soprattutto ricerche sul campo che ne verifichino la leggibilità e ne promuovano l'inserimento tra gli strumenti di lavoro dello storico.
"Uscirà la filosofia dal vicolo cieco a cui è stata ridotta dalla perdita della sua illusione fondamentale?" È con una domanda che Jeanne Hersch conclude questo suo grande libro. Una domanda che non pretende di trovare risposte assolute o definitive poiché solo nella sua totale apertura, nel suo carattere di sfida incessante, risiede la natura più autentica della ricerca filosofica. È questa costitutiva mancanza, questo dialogo infinito che coinvolge l'esistenza nella sua totale interezza, questo puro esercizio di libertà che la filosofia sembra aver scordato: da Platone in poi, l'intera storia della filosofia si snoda come la storia di un'illusione fondamentale, quella di riuscire a possedere la propria verità.
In questo libro l'autore analizza quella particolare tipologia di ritratti (e di autoritratti) che sembra derivare direttamente dalle icone bizantine e, prima ancora, dai ritratti di el-Faiyùm: immagini dipinte di volti o di busti ritratti frontalmente che, quasi sempre, fissano lo spettatore e nei quali gli occhi sono protagonisti assoluti. La selezione ha inizio con la ritrattistica tardoromana orientale, non tanto perché fu questa l'epoca in cui venne scoperta l'individualità, ma piuttosto perché i primi ritratti pittorici giunti fino a noi rimontano alle vestigia del mondo romano, all'epoca in cui le religioni misteriche orientali iniziarono a conquistare adepti.
Medico, psichiatra, psicoanalista, Jacques Lacan (1901-1981) è stato una delle personalità più significative nella cultura del Novecento e nella storia della psicoanalisi del dopo-Freud. Il suo riferimento costante e rigoroso ai fondamenti della clinica psicoanalitica s'interseca con l'utilizzo critico delle teorizzazioni più avanzate proprie della linguistica, della filosofia, della logica, dell'antropologia, della letteratura e della psichiatria. Scritto da due psicoanalisti di generazioni diverse ma formatisi entrambi alla scuola di Lacan, questo libro offre al lettore un'esposizione chiara e rigorosa dell'insegnamento lacaniano.
L'ultima opera di uno dei più grandi storici del Novecento. L'analisi impietosa della decadenza della civiltà occidentale scritta nel suo momento più buio, nel 1943. Un grande classico che torna dopo la prima edizione italiana del 1948.
Una parte sempre più consistente della memoria documentaria del presente si sta sedimentando in formato digitale nei sistemi informatici delle imprese private e delle istituzioni pubbliche, nei server connessi alla Rete globale, nei nostri computer. Contemporaneamente, archivi e biblioteche ereditati dal passato vengono sottoposti a processi di riconversione digitale e in misura crescente diventano accessibili attraverso Internet. Questo libro si propone di tracciare alcune linee di una possibile critica delle fonti digitali, capace di fornire allo storico strumenti di analisi e d'interpretazione che siano in grado di confrontarsi con le complesse stratificazioni tecnologiche, culturali sociali di cui tali fonti sono intessute.
Attilio Regolo che rotola nella sua botte chiodata, Scipione che piange su Cartagine, gli imperatori che combattono con i gladiatori nell'arena. Sono queste le immagini che vengono alla mente quando si pensa a Roma antica. Questo libro affronta alcuni dei più classici luoghi comuni sulla storia dell'antichità, per smascherare errori diffusi quanto grossolani e per mostrare quanto il nostro immaginario comune su questi argomenti sia stato plasmato e influenzato dai racconti del cinema su Roma e sui suoi eroi. Un omaggio ad alcuni degli inamovibili miti della nostra infanzia scolastica e della nostra vita di spettatori cinematografici, ma anche un tentativo di far luce su alcuni di questi "punti dolenti" della nostra visione storica.
Un'indagine sulle passioni dell'essere umano: la passione dell'invidia e della gelosia, la passione del desiderio e del Male, la passione dell'amore e dell'odio. Ma è a quest'ultima, alla passione dell'odio, che questo studio si dedica in modo particolare. Jacques Lacan l'aveva definita, insieme a quella dell'amore e dell'ignoranza. una "passione dell'essere". L'odio, infatti, diversamente da ogni altra passione ha di mira l'essere dell'Altro. Non colpisce l'immagine, non vuole ciò che l'altro ha, non attacca un aspetto particolare della sua esistenza. L'odio è un'invidia speciale: è, come afferma Lacan, "invidia della vita".
Una lezione, per Raimondi, deve essere sempre pensata e costruita come "un testo orale", ovvero come una conversazione con un pubblico di ascoltatori attivi, a cui si rivolge l'invito a leggere "tessendo relazioni tra elementi diversi", a mettere "un po' d'ordine in una complessità che all'inizio può sembrare un disordine". Intendendo la lettura e la letteratura come una moltiplicazione di incontri, questo testo intesse il dialogo con il lettore e con la storia letteraria, indagando in particolare il processo di scambio fra alcuni testi classici della nostra tradizione e la loro metamorfosi dialettica attraverso le grandi tappe della cultura italiana ed europea.