Senza una vera uguaglianza la democrazia si riduce a forma di regime, e non può diventare società, comunità di singoli che condividono un terreno comune. Pierre Rosanvallon prosegue con questo libro la sua analisi della crisi del sistema democratico e ne individua la ragione profonda proprio nell'arretramento del concetto di uguaglianza e nello svilimento del suo significato. La società prodotta dal trionfo del neoliberismo - un'ideologia pervasiva che è riuscita a trasformare la propria parziale interpretazione della realtà in un insieme di verità non più discutibili - è il mondo della disuguaglianza, che non è solo ingiusto, ma anche minaccioso, violento e aperto all'irruzione di un populismo basato sull'esclusione. La sinistra ha progressivamente accettato questa visione. Può arrivare a governare, ma di fatto non rappresenta più "l'immagine positiva di un mondo desiderabile", qualcosa per cui valga la pena combattere e sulla quale progettare un futuro migliore. A un'analisi della situazione attuale, Rosanvallon risponde con la necessità di rifondare una vera e propria filosofia dell'uguaglianza che sia basata sulla partecipazione e sulla reciprocità. Una "società di eguali" che non può più fare ricorso alla spesa pubblica ma nemmeno consegnarsi al mito della meritocrazia, che pensi contemporaneamente i concetti di comunità e differenza e ponga il principio di un'"uguaglianza-relazione", capace di produrre un vero legame sociale. Prefazione di Corrado Ocone.
Redatti a Parigi alla fine dell'Ottocento da agenti della polizia segreta russa, i Protocolli dei savi Anziani di Sion avevano lo scopo di provare l'esistenza di una cospirazione ebraica per il dominio del pianeta. In realtà, rappresentano un falso di fattura platealmente dozzinale. Plagio di un precedente libello contro Napoleone III ma imbevuti di ataviche superstizioni, i Protocolli furono dapprima utilizzati dalla propaganda zarista, per dilagare poi in tutto l'Occidente ed essere adottati dal nazionalsocialismo, nonostante le prove della frode fossero emerse poco dopo la pubblicazione. "Licenza per un genocidio" è la storia di come questo documento rinnovò una paranoia nei secoli, si diffuse nel mondo e aprì la strada allo sterminio degli ebrei d'Europa. Indagine storica e studio di psicopatologia collettiva, è la prima grande analisi sull'incredibile vicenda dei Protocolli e un libro per comprendere lo sviluppo e il funzionamento dell'antisemitismo moderno. Norman Cohn traccia l'evoluzione del mito del complotto ebraico dalle sue origini cristiane fino all'età moderna, per addentrarsi poi nell'oscuro ambiente dell'estrema destra ottocentesca, popolato di spie e occultisti, all'interno del quale la demonologia tradizionale si trasformò in strumento di azione politica. Ma è nel descrivere il trionfo globale dei Protocolli, a dispetto di ogni logica ed evidenza, che il libro di Cohn esplora il lato più oscuro della sua materia...
Per conoscere Emmanuel Lévinas e imparare ad amarlo, niente è più utile di queste interviste radiofoniche con Philippe Nemo, attraverso cui il pensiero di uno dei maggiori filosofi francesi dell'era contemporanea, uno dei pochi ad aver cercato la formulazione di una morale strutturata per il tempo presente, ci viene rivelato nella massima chiarezza. Lévinas, senza cedere al compromesso del mezzo radiofonico, si è impegnato qui a semplificare la forma espressiva dei suoi argomenti per raggiungere un pubblico più vasto che non quello della stretta cerchia di addetti ai lavori. Il corpo teorico di «Etica e infinito» è in certo modo rivoluzionario, ci rivela un autore che, nonostante una reputazione di ermetico, è ansioso di farsi capire. I temi toccati da Lévinas sono i più disparati: la Bibbia, Heidegger, il compito della filosofia, i doveri dei filosofi. Le «digressioni controllate», le provocazioni, i paradossi che ci costringe a considerare rappresentano uno dei più stimolanti luoghi del pensiero che il Novecento abbia saputo produrre.
Traduzione di Federico Lopiparo
«Se l’evoluzione è vera, c’è ancora spazio per Dio?». Questa è la domanda, complessa, da cui muove il testo di Francis Collins, genetista di fama internazionale e scienziato tra i maggiori degli ultimi decenni. Accennando al proprio personale percorso di vita, che lo ha condotto dall’agnosticismo alla scoperta di Dio, Collins afferma che tra scienza e fede – pur così diverse tra loro – può esistere una profonda armonia, ed esprime con il termine “BioLogos” (da Bios, ‘vita’, e Logos, ‘Parola’) la convergenza tra la comprensione offerta dalla scienza contemporanea del mondo della vita e l’idea di un Logos, di una Parola creatrice che la fondi.
FRANCIS COLLINS (Staunton, 14 aprile 1950)
Genetista statunitense. È celebre per essere stato direttore dello Human Genome Research Institute, che ha elaborato l’ambizioso Progetto Genoma Umano. Nel 2009 è stato nominato da Papa Benedetto XVI membro della Pontificia Accademia delle Scienze. Dallo stesso anno è direttore dei National Institutes of Health negli Usa. In italiano è tradotto Il linguaggio di Dio, in cui Collins ha proposto il concetto di BioLogos.
Acqua gelata sulle speranze riaccese negli iraniani dall’accordo sul nucleare del 2015: questo si rivela subito l’arrivo di Trump alla Casa Bianca. E la sua nuova politica verso l’Iran sembra voler riaprire quella stagione di ostili contrapposizioni che si pensava archiviata: «Trump sembrava Ahmadinejad e Rohani sembrava Obama», è il commento che dilaga su Twitter dopo i discorsi dei due presidenti in carica all’Assemblea generale dell’Onu del settembre 2017. Da quella data, e dai riti luttuosi dell’Ashura di pochi giorni dopo, parte il libro di Luciana Borsatti per raccontare il nuovo clima, raccogliendo tra gli iraniani voci e punti di vista diversi. Ma L’Iran al tempo di Trump racconta anche la vita e gli umori di una società in costante trasformazione – dalle donne come potente motore di cambiamento alla percezione interna del ruolo di Teheran nella guerra in Siria – cercando di allargare il campo rispetto alle strettoie in cui è imprigionata la rappresentazione di un Paese che poco si presta alle semplificazioni.
Crisi economica e crisi della democrazia: processi dei quali non si intravede la fine, ulteriormente complicati dalla diffusione di internet e dei social, che rende sempre più urgente un ripensamento dei fondamenti della partecipazione democratica. Eppure già nel 1939, in un discorso tenuto per i suoi ottant’anni, Dewey aveva tratto spunto dagli strascichi del ’29 e dal successo dei totalitarismi nella vecchia Europa per avanzare una nuova idea: la democrazia “creativa”, che non si limita alla semplice partecipazione del cittadino, ma che si radica negli atteggiamenti e nelle esperienze quotidiane dell’individuo; una democrazia fatta di fiducia nell’uomo, nella sua capacità di confronto aritario con gli altri, dove la differenza – e la sua libera espressione – diventa occasione di arricchimento per tutti. Una proposta, quella del filosofo americano, che si rivela ancora attuale.
JOHN DEWEY (Burlington, 1859 – New York, 1952)
Pedagogista e filosofo statunitense, si è formato tra l’Università del Vermont e la Johns Hopkins di Baltimora. Ha quindi insegnato nelle università del Middle West, a Chicago e, dal 1904 al 1929, alla Columbia University di New York. Il suo pensiero in ambito sociale e politico ha avuto grande fortuna tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, al punto da renderlo il leader dei liberal americani. Le sue scoperte in ambito pedagogico e gli studi sul rapporto tra democrazia e processi educativi hanno esercitato un forte influsso in tutto il mondo.
Il miracolo economico ha cambiato il destino di migliaia di italiani: famiglie con storie di sofferenza e marginalità hanno avuto per la prima volta accesso al benessere. Un passaggio epocale che viene ricostruito in un dialogo costante tra Storia, memoria e immaginario collettivo. L’autore intreccia la vicenda di una famiglia meridionale a quella di un’intera nazione stravolta e affascinata dalla “secolarizzazione dei consumi”. L’ascesa sociale del capofamiglia è l’emblema di un Paese in cui la retorica della povertà ha ceduto il passo al pragmatismo della ricchezza. Nel sogno americano all’italiana si coglie con nettezza una distanza tra le prospettive dei partiti e i desideri dei cittadini: i primi si scontrano sulle riforme strutturali e sulle manovre congiunturali, i secondi sono attratti dal benessere come conquista materiale e riconoscimento civile. Un’aspirazione che diventa visibilmente concreta analizzando le fonti audiovisive di quegli anni. Immagini, parole, canzoni e personaggi definiscono il magmatico divenire del boom economico: l’urbanesimo della speculazione edilizia e delle periferie dormitorio; i profili delle auto che mutano il paesaggio urbano; le ciminiere che lambiscono il cielo; la famiglia che modifica usi e costumi; i giovani e le donne che vogliono essere protagonisti della modernità; i braccianti che sciamano verso le città; gli operai che agognano il possesso della casa, dell’utilitaria, della televisione e degli elettrodomestici, senza dover rinunciare alla villeggiatura estiva. Il miracolo raccontato dai media è la storia di un’unificazione materiale, di una “comunità immaginata” in cui ognuno può identificarsi in una nazione moderna in cui sono saltate tutte le vecchie gerarchie di potere dell’Italia rurale. L’unica riforma strutturale possibile è accettare la nuova realtà.
MARCELLO RAVVEDUTO
Insegna Public and Digital History all’Università di Salerno. È componente del Comitato direttivo dell’Associazione italiana di Public History. Ha scritto diverse monografie tra le quali Libero Grassi. Storia di un’eresia borghese (2012), da cui è tratta la docufiction andata in onda su Rai Uno Io sono Libero (2016); per Castelvecchi ha curato l’antologia Novantadue. L’anno che cambiò l’Italia (2012). È editorialista del gruppo «L’Espresso» e di Fanpage.it.
A cura di Cristina Guarnieri
Le parole di Mujica, come sempre, toccano al cuore il lettore e gli parlano dei temi più roventi dei nostri tempi: dalle barche dei migranti che naufragano nel Mediterraneo ai problemi legati al cambiamento climatico, dal terrorismo islamico alla diffusa perdita di fiducia nel discorso politico e all’avanzare dei movimenti xenofobi di destra. Con la sua ineguagliabile semplicità, “el Pepe” si rivolge a tutti – in particolare ai giovani – e ci invita ad avere coraggio, a cercare un nuovo senso della vita, a osare l’impensabile, a lottare per la felicità umana.
JOSÉ PEPE MUJICA (Montevideo, 1935)
José “Pepe” Mujica è stato Presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015 ed è diventato famoso in tutto il mondo per l’originalità del suo stile politico e della sua vita: da guerrigliero Tupamaro a capo di Stato, ha inaugurato una politica rivoluzionaria in favore dei diritti civili. Il suo libro La felicità al potere, ripubblicato nel 2016 da Castelvecchi, ha riscosso un grande successo di pubblico e di critica.
Oggi si sta sempre più prendendo coscienza dei molteplici lati oscuri della globalizzazione. Per la diffusione che questo processo ha conosciuto negli ultimi decenni, i Paesi industrializzati hanno infranto norme etiche basilari, puntando esclusivamente sul soddisfacimento dei propri interessi: a farne le spese sono stati i Paesi in via di sviluppo, e soprattutto i poveri che li abitano. Ma è possibile conciliare il perseguimento dei propri interessi con l'etica? E fino a che punto possono spingersi le logiche del mercato? Secondo Stiglitz è possibile, sollecitando interventi e politiche di riforma delle istituzioni. L'etica, alla fine del suo percorso, resta una bussola imprecisa, ma è l'unica a offrire un orientamento, seppur minimo, in un mondo in cui l'unico faro troppo spesso indica la direzione sbagliata.
A partire dalla lettura della «Divina Commedia», l'attore Giorgio Colangeli - fra i pochi in Italia ad aver imparato l'intera opera dantesca a memoria - e lo scrittore Lucilio Santoni mettono in discussione alcuni luoghi consolidati della nostra cultura. Una critica al nostro tempo, un invito a lasciarci condurre da un pensiero poetico che possa illuminare altre prospettive da cui guardare il mondo. «Il folle volo» segue una vocazione spontanea a camminare seguendo la traiettoria della ragion poetica, cercando di salvare le parole dalla loro esistenza transitoria, per condurle verso ciò che dura nel tempo. Affrontando i temi sensibili del nostro presente (la nascita, la morte, l'etica, la felicità), questo libro ci aiuta ad abitare poeticamente lo spazio e il mondo in cui viviamo.
Ricoeur istituisce un denso parallelismo tra racconto, architettura e urbanistica, e trova nell'analisi della città contemporanea un ampio campo di riflessione fondato sulla dimensione narrativa dell'architettura e su quella temporale dello spazio architettonico. L'atto dello scrivere e quello del costruire tendono a ordinare ciò che nella vita si presenta come confuso, dandogli intelligibilità e significato. Entrambi devono anche rispondere a una necessità di protezione che comporta un'ineludibile responsabilità nei confronti della fragilità dell'umano. Come scrive Heidegger, infatti, l'uomo non abita perché costruisce, ma costruisce perché abita. Così, se il costruire rimanda all'abitare, l'abitare interpreta e discute il costruire, lo confronta con le proprie aspettative, a volte lo accusa. E la qualità del nostro essere nel mondo dipende in larga parte dalla comprensione e dal procedere di questa dinamica.
Quali sono gli effetti di ogni nostra interazione con Facebook, Google o Amazon? Cosa ci rubano gli algoritmi? Quali porzioni di noi stessi stiamo cedendo? Esiste un modo per difendersi? Manuale di disobbedienza digitale racconta la genesi culturale delle techno-corporation, le multinazionali che grazie alla tecnologia dominano la nostra vita quotidiana. Burning Man, un festival di arti nel deserto del Nevada, ha conferito alle aziende della Silicon Valley l’infrastruttura ideale su cui edificare un’inarrestabile crescita. Il libro ne narra la storia, analizzando lo snaturamento che gli algoritmi hanno provocato su alcune dimensioni centrali della nostra esistenza: dall’amicizia alla memoria, dalla nascita alla morte. E propone anche una via d’uscita dalla gabbia digitale in cui siamo rinchiusi: un “ennalogo” di azioni pensate per attuare una sorta di disobbedienza e provare a fuggire dal rischio predittivo delle nostre azioni, funzione ultima di ogni algoritmo.