Cambiamento climatico, instabilità finanziaria, migrazioni, disuguaglianze, accelerazione digitale e lentezza politica. Le grandi trasformazioni in corso irrompono nel dibattito di ogni giorno con le loro imprevedibilità e il loro fascino. Ma perché è tanto importante discutere di futuro e di innovazione? cosa possiamo fare dinanzi a sfide mai affrontate prima da homo sapiens? "Come saremo" non offre previsioni ma un metodo per guardare avanti consapevolmente, con la sola certezza che possiamo coltivare: il futuro sta tutto nelle potenzialità delle nostre azioni. La sintesi inedita delle voci di De Biase e Pievani indaga le tendenze dell'evoluzione tecnologica e le sue narrazioni mediatiche, e converge su una domanda: abbiamo la possibilità di influire sulla sua direzione? chiude il volume una serie di testimonianze (economisti, esperti di comunicazione, ingegneri-hacker, architetti e filosofi del linguaggio) su cosa significa oggi creare e diffondere una cultura dell'innovazione.
Mercati finanziari automatizzati; relazioni umane mediate dai like su facebook; un flusso d'informazioni incessante e invadente; protesi digitali che arricchiscono l'esperienza. Le macchine sembrano conquistare funzioni sempre più autonome dall'intervento dell'uomo, e le piattaforme online sulle quali ci informiamo e coordiniamo impongono i loro algoritmi, mentre raccolgono e analizzano enormi quantità di dati imparando dagli utenti. È una dinamica evolutiva digitale che richiede un drastico adattamento culturale. Con "Homo pluralis" Luca de Biase propone un approccio all'infosfera che supera la contrapposizione tra ottimismo tecnofilo e allarmismo neoluddista, e riconosce la necessità per l'uomo di diventare cittadino consapevole di questo nuovo ambiente digitale, imponendo la propria creatività, intelligenza 1 e senso etico, e conquistando cosi una dimensione più autentica.
Twitter e Facebook hanno un lato oscuro: spesso alimentano i peggiori istinti moralizzatori delle persone, dando vita a una versione moderna e violentissima della gogna pubblica. Il bersaglio può essere chiunque, il perfetto sconosciuto come il personaggio famoso: Justine Sacco, che per un tweet di cattivo gusto ha perso il lavoro; Jonah Lehrer, star della divulgazione scientifica che si è visto rovinare la carriera per una citazione (inventata) di Bob Dylan; Lindsey Stone, che per una foto su Facebook si è dovuta quasi nascondere in casa per un anno; sono solo alcune delle vittime della violenza cieca e anonima dei giustizieri della rete. Dopo i paranoici cospirazionisti di "Loro" e gli insospettabili "Psicopatici al potere", Ronson ci accompagna ancora una volta nelle pieghe nascoste della nostra "sana" e "normale" società.
Mercati finanziari automatizzati; relazioni umane mediate dai like su facebook; un flusso d'informazioni incessante e invadente; protesi digitali che arricchiscono l'esperienza. Le macchine sembrano conquistare funzioni sempre più autonome dall'intervento dell'uomo, e le piattaforme online sulle quali ci informiamo e coordiniamo impongono i loro algoritmi, mentre raccolgono e analizzano enormi quantità di dati imparando dagli utenti. È una dinamica evolutiva digitale che richiede un drastico adattamento culturale. Con "Homo pluralis" Luca de Biase propone un approccio all'infosfera che supera la contrapposizione tra ottimismo tecnofilo e allarmismo neoluddista, e riconosce la necessità per l'uomo di diventare cittadino consapevole di questo nuovo ambiente digitale, imponendo la propria creatività, intelligenza 1 e senso etico, e conquistando cosi una dimensione più autentica.
Web e social network hanno alimentato negli ultimi anni la crescita di nuovi modi di comunicare e informarsi. Quale ruolo sta giocando la televisione in questo panorama? In che misura la tv e i suoi protagonisti dialogano con queste dinamiche? I talk show, territorio di confine tra intrattenimento e informazione, sono da questo punto di vista un ottimo osservatorio. Lella Mazzoli li ha visti da spettatrice, è stata nelle loro redazioni, ne ha intervistato i conduttori. A loro ha chiesto come percepiscono i cambiamenti nel mondo delle notizie, quali passi muovono in rete e se è vero, come sembra, che alcuni trenta-quarantenni sono ritornati davanti alla tv con il telecomando in una mano e lo smartphone nell'altra.
Sulla presenza della tecnologia nelle nostre vite è stato già scritto molto. Questa formula però non descrive appieno la portata di questo fenomeno: la civilizzazione umano-tecnologica in corso ha raggiunto un livello tale da diventare anche un processo strategico che agisce su scala mondiale, e che sta ridisegnando la mappa delle reciproche influenze tra le nazioni e i continenti. Assistiamo insomma alla nascita di un nuovo equilibrio geopolitico, in cui il ruolo di uno stato all'interno della competizione globale sarà definito più dal livello di innovazione tecnologica che non dalla potenza militare o economica. Stiamo entrando nell'età ibrida, dove il rapporto uomo-macchina non sarà più una semplice co-abitazione ma una vera e propria co-evoluzione.
"Un futuro perfetto" è il ritratto di una nuova visione del mondo, in totale rottura con le categorie tradizionali del pensiero liberale o conservatore. Steven Johnson propone un modello di sviluppo basato sulle peer network, le reti di pari capaci di trasformare ogni settore economico e politico in una realtà decentralizzata e partecipata, dai governi locali al movimenti di protesta, dal giornalismo ai nuovi modelli di assistenza sanitaria. Johnson esplora questa idea di progresso narrando una serie di vicende affascinanti, tra cui la progettazione del sistema ferroviario francese, la battaglia contro la malnutrizione in Vietnam o i curiosi "eventi dello sciroppo d'acero" e del servizio 311 a New York. In un momento storico delicato, in cui il sistema politico appare irrimediabilmente intasato di vecchie idee, "Un futuro perfetto" dimostra che il progresso non solo è ancora possibile, ma può assumere nuove forme.
Il sapere, fino a pochi anni fa trasmesso su un supporto rigido e dai confini ben definiti come la carta stampata, per la prima volta nell'epoca di internet è alla nostra portata in modo pressoché illimitato. Nella stanza in cui siamo riuniti (internet) dove le fonti non sono certe e nessuno è mai d'accordo su nulla, circola molta più conoscenza di sempre, gestita con capacità superiori a quelle delle nostre singole menti e istituzioni. eppure internet non ci rende più stupidi; al contrario, questa conoscenza sempre a disposizione ci consente di prendere decisioni migliori di quelle di un qualunque esperto. Basta sapere come muoversi al suo interno. David Weinberger firma con "La stanza intelligente" un libro destinato a lasciare il segno, che ridefinisce il concetto classico di conoscenza e il suo ruolo all'interno di un mondo sempre online.
La cultura delle società occidentali si è via via trasformata, nell'ultimo mezzo secolo, da materiale a immateriale. Oggi viviamo e lavoriamo letteralmente circondati da informazioni: parole scritte e pronunciate, media di ogni tipo, database più o meno sterminati, e infine internet, che sembra racchiudere il concetto di informazione infinita e sempre reperibile. Il filosofo Luciano Floridi sostiene che si è trattato non solo di un cambio di paradigma ma di una quarta rivoluzione, analoga a quelle alimentate dal pensiero di Copernico, Darwin e Freud. La rivoluzione dell'informazione oggi in corso sta già offrendo una nuova, profonda comprensione dell'uomo, concepito come essere sempre connesso e costituito da informazioni, e dell'ambiente stesso in cui ci muoviamo, un ecosistema vitale e sociale che supera la divisione tra reale (offline) e virtuale (online).
La rivoluzione di Twitter: se ne è parlato per le manifestazioni in Iran nel 2009, per la Cina subito dopo, più recentemente per l'Egitto: prima ancora che lo scontento dei cittadini, il grande protagonista delle proteste sembra essere stato il web. La convinzione che le tecnologie digitali alimentino solo cambiamenti positivi e siano lo strumento perfetto per la creazione della democrazia corrisponde alla realtà? Evgeny Morozov, in antitesi al cyber-ottimismo di pensatori come Clay Shirky, spiega molto chiaramente come anche governi tutt'altro che democratici usino le piattaforme digitali piegandole ai loro fini. In Russia e in Cina gli spazi di intrattenimento online sono studiati apposta per spostare l'attenzione dei giovani dall'impegno e dalla partecipazione civile. Internet non è inequivocabilmente buona, insomma, Twitter e Facebook non hanno avuto alcun ruolo cruciale, e la rivoluzione sarebbe accaduta con o senza di loro. Pensare alla rete come a un propagatore naturale di democrazia è fuorviarne e pericoloso: per garantire forme efficaci di cambiamento sociale è necessario rimanere calati solidamente nella realtà.
Chi è Norbert Wiener? Pochissimi lo sanno, eppure quest'uomo ha cambiato le nostre vite. Senza di lui e la sua rivoluzione, condotta nei primi anni del secondo dopoguerra, non esisterebbero la teoria dell'informazione, il concetto di computazione e l'idea di rete come li conosciamo oggi. In breve, è il padre della cibernetica. Due giornalisti, collaboratori del "New York Times", del "Los Angeles Times" e del "Science Digest", raccontano la vita straordinaria di un uomo straordinario, carica di luci e ombre, di voli e cadute, che non smise mai di mettere in guardia la società dalle possibili conseguenze derivanti dalle tecnologie ispirate alle sue ricerche.