Gli organismi viventi interagiscono continuamente con l’esterno, elaborando informazioni per trasformarle in decisioni e comportamenti come attaccare una preda, afferrare un oggetto in movimento, camminare, ma anche comporre un’opera musicale, creare uno slogan pubblicitario o scrivere una storia.
Temi egualmente complessi, a fronte dei quali il nostro cervello non può adottare né soluzioni troppo semplici perché non risolverebbero i problemi, né troppo sofisticate perché rallenterebbero e renderebbero troppo costosi i processi neuronali.
La soluzione passa invece attraverso chiare deviazioni dalla strada maestra della logica, in grado di organizzare con originalità, eleganza e creatività la complessità del mondo e dei processi naturali che lo regolano.
La semplessità è un modo di vivere con il proprio mondo. È eleganza piuttosto che sobrietà, intelligenza piuttosto che fredda logica, diplomazia piuttosto che autorità. (Alain Berthoz)
Alain Berthoz, dal 1993 professore di filosofia della percezione e dell’azione al Collège de France e membro dell’Accademia delle Scienze parigina, sin dal 1989 dirige il Laboratoire de physiologie de la perception et de l’action (CNRS-Collège de France).
Autore di numerosi articoli su riviste internazionali e quotidiani su temi legati al senso del movimento e più in particolare sulle diverse componenti della sua percezione, esercita una intensa attività come conferenziere presso università e centri di ricerca di più di 20 paesi.
In Italia sono stati pubblicati Il senso del movimento (McGraw Hill, 1998) e La scienza della decisione (Codice edizioni, 2004).
Haiti e la Repubblica Dominicana, pur condividendo la stessa area geografica (l’isola di Hispaniola) hanno conosciuto destini diversissimi. Al contrario società molto distanti tra loro (come Argentina, Stati Uniti, Siberia e Australia) ma accomunate dalla loro natura di “frontiera” mostrano curiose analogie. Ancora, la tratta degli schiavi in Africa o il passaggio delle armate napoleoniche in Europa sono stati fattori discriminanti per il maggiore o minore sviluppo sociopolitico delle regioni che ne sono state (o non sono state) attraversate.
Con la collaborazione di storici, statistici ed economisti, Jared Diamond e James Robinson hanno condotto una serie di “esperimenti naturali” di storia umana realmente accaduti, per capire cosa ha portato il mondo a essere quello che è oggi. Ne emerge un libro innovativo, in grado di offrire agli storici nuovi spunti di riflessione e metodi d’indagine, e al lettore comune un affascinante affresco mondiale che unisce passato e presente dell’uomo.
"Faremo un grande regalo alla specie umana se capiremo cosa ha plasmato il mondo in cui viviamo, perché potremo scoprire cosa ci riserverà il futuro."
Jared Diamond
Jared Diamond, biologo, docente alla University of California e membro dell'Accademia delle scienze americana, è il maggior esperto al mondo sulla flora e la fauna della Nuova Guinea. In Italia sono stati pubblicati Il terzo scimpanzé da Bollati Boringhieri nel 1994, e Armi, acciaio e malattie (premio Pulitzer per la saggistica nel 1998) e Collasso (2005) da Giulio Einaudi Editore.
James A. Robinson, economista, prima di ottenere cattedra di scienze politiche all’Harvard University ha insegnato a Berkeley, in California.
Ha pubblicato numerosi articoli specialistici.
La nostra società è dominata dai linguaggi specialistici: oggi infatti è difficile padroneggiare le conoscenze e la terminologia necessarie a orientarsi in ambiti complessi e allo stesso tempo fondamentali come l’energia nucleare o il testamento biologico. Eppure, in quanto membri di una società civile e democratica, abbiamo il diritto (e soprattutto il dovere) di conoscere e prendere posizione su questi argomenti. Vineis, attraverso numerosi esempi che spaziano in vari ambiti della scienza, riflette sul delicato momento in cui la conoscenza deve essere trasmessa alla società civile: la traduzione del linguaggio specialistico in uno più comprensibile, evitando da un lato banalizzazioni, distorsioni e perdite d’informazione, e alleggerendo dall’altro le pressioni politiche ed economiche che sempre più spesso gravano sulla comunicazione scientifica. Ed è qui, secondo l’autore, che il meccanismo s’inceppa: qualcosa, in questo processo di traduzione, si perde; a scapito, come nel tristemente celebre caso di Eluana Englaro, di una discussione aperta, trasparente e democratica.
I primi osservatori che secoli fa sollevarono lo sguardo e cominciarono a scrutare il cielo potevano appena immaginare cosa si nascondesse dietro quel poco che si vedeva a occhio nudo. Da allora l’uomo ha raggiunto risultati straordinari, ha esplorato le più remote profondità del cosmo, e ha tracciato un quadro molto soddisfacente della struttura complessiva dell’universo e dei meccanismi che ne hanno governato l’origine e l’evoluzione. Eppure, per alcuni versi, non siamo in una situazione tanto diversa rispetto a quei primi osservatori. Dopo tutta la strada percorsa, dopo tutte le scoperte e i progressi, gli astronomi conoscono con certezza la natura fisica di una porzione limitata di universo, appena il 5% del totale: una goccia in un’oscurità di cui possiamo solo intuire la maestosità e la vertigine. Cosa sono l’energia e la materia oscura, le componenti predominanti del cosmo di cui abbiamo per ora solo una conoscenza indiretta? Potrebbero mettere in discussione le ipotesi fisiche alla base della descrizione e dell’interpretazione dell’universo? I segreti da strappare al buio del cielo notturno sono ancora tanti.
Tutti gli esseri umani cercano tracce di regolarità nell’ambiente che li ospita: se queste non ci fossero la sopravvivenza sarebbe impossibile. Le persone usano gli organi di senso e il cervello, e colgono colori, suoni, sapori e ruvidezze in quegli oggetti esterni che vengono disposti in uno spazio tridimensionale e dei quali si percepiscono mutazioni nel tempo. Emergono così le regolarità del senso comune e delle leggi di natura. Eppure, nonostante entrambe funzionino, sta crescendo l’abisso che separa il senso comune dalla scienza: già nel Seicento Galilei, Boyle, Locke e Newton avevano sostenuto che certe qualità degli oggetti (come i colori) non sono reali, bensì creazioni del cervello. La scienza contemporanea si è spinta oltre, fino a criticare le nozioni quotidiane di oggetto, spazio e tempo; e le neuroscienze ci aprono nuovi orizzonti, dove al centro è collocato il cervello come creatore di ciò che il senso comune continua a chiamare realtà. C’è qualcosa, là fuori, ma la sua struttura è costruita dai nostri neuroni. Nuovi problemi, insomma, per storici e filosofi.
Quando si accarezza il corpo dell’amante o si contempla il sole che tramonta sul mare è veramente difficile credere che gli oggetti corporei siano illusioni sensoriali. (Enrico Bellone)
L’autore gioca abilmente con uno dei concetti più enigmatici della storia del pensiero scientifico: il nulla. A partire dalle prime teorie dei filosofi greci, culminate nell’aristotelico horror vacui, il lettore viene accompagnato attraverso gli esperimenti condotti nel Seicento da Torricelli, Galilei e Pascal, per arrivare alla rivoluzionaria teoria della relatività di Einstein e al fascino delle ultime frontiere della ricerca scientifica, dove i confini tra fisica e filosofia si fanno sempre più sfumati. Oggi l’infinitamente grande (la cosmologia, la teoria del Big Bang) e l’infinitamente piccolo (la meccanica quantistica e lo studio delle particelle subatomiche) ci parlano del nulla come di uno spazio pieno di segreti ancora da esplorare.
La domanda da cui prende le mosse il libro è: esiste il vuoto? Che cos’è? Come può anche solo essere pensato?
Da lì Close comincia a ripercorrere 2000 anni di storia di pensiero scientifico. L’approfondimento del concetto di nulla ha corso in parallelo con i progressi scientifici. Dall’horror vacui teorizzato dai greci (la Natura avrebbe “paura” del vuoto, e tenderebbe a riempirlo, sempre; poco più che una superstizione, dunque), si passa attraverso il grande sviluppo della fisica sperimentale del Seicento e del Settecento (Galilei, Newton, Torricelli) per arrivare al grande balzo in avanti dell’inizio del Novecento. All’inizio del XX secolo, infatti, la nascita della fisica subatomica, della meccanica quantistica e i grandi sviluppi della fisica teorica di Einstein hanno dato ulteriore vigore agli studi sul concetto di nulla.
Lo studio del concetto di nulla ha insomma dato all’uomo la possibilità di studiare il Big Bang e i confini dell’universo (oltre i quali ci sarebbe… nulla) e, diametralmente opposto, la struttura subatomica della materia: dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo.
Kevin Kelly appartiene a quella ristretta cerchia di pensatori in grado di cogliere le grandi traiettorie che attraversano la storia, e di svelarne la trama. In "Quello che vuole la tecnologia" Kelly ci racconta come la tecnologia nel suo complesso non sia solo un guazzabuglio di fili e metallo, ma un organismo vivente e in continua evoluzione, con esigenze proprie e tendenze inconsce. Guardando alla nostra realtà attraverso gli occhi di questo sistema ora globale per scoprire "ciò che vuole", Kelly ne traccia la storia, seguendo poi le traiettorie delle principali tecnologie del prossimo futuro per capire dove sia diretto. Perché solo l'ascolto di quello che la tecnologia vuole può preparare noi e i nostri figli alle tecnologie che inevitabilmente verranno, e solo allineando noi stessi con gli imperativi a lungo termine di questo sistema quasi-vivente saremo in grado di godere al meglio dei suoi doni. Una visione fiduciosa e trasparente, che travalica la distinzione tra umano e artificiale, tra scienza e umanesimo. Tra quello che la tecnologia vuole e quello che il genere umano ha sempre sperato per sé.
Chi era davvero Charles Darwin? Uno studioso che scriveva libri, amante della tranquillità domestica, oppure un viaggiatore irrequieto? Un uomo cauto e timido o l'infaticabile ricercatore che scoprì in sé l'intuizione che avrebbe ridefinito la storia della specie umana? Uno schivo e solitario allevatore di colombi o un padre e un nonno affettuoso? Un collezionista di scarafaggi o un abile giocatore di biliardo? Sulla teoria dell'evoluzione e sul suo creatore sono state scritte montagne di libri e articoli, dai più divulgativi ai più specialistici. David Quammen ha invece affrontato il "personaggio" Darwin da un'altra prospettiva, partendo dal dato biografico del naturalista inglese per intrecciarlo in una rete sempre più fitta con il percorso intellettuale e scientifico che lo portò a pubblicare - dopo anni di letture, approfondimenti, ricerche e tentennamenti - il testo che avrebbe posto le basi della biologia contemporanea: "L'origine delle specie". Il risultato è il ritratto a trecentosessanta gradi di un uomo che dalla tranquilla campagna inglese stava preparando una rivoluzione culturale che ancora oggi non ha esaurito il proprio vigore.
Può il battito d'ali di una farfalla causare un uragano dall'altra parte del mondo? La definizione del celebre "buttetfly effect", fatta dal meteorologo Edward Lorenz negli anni Settanta del Novecento, ha aperto la strada a una nuova stagione nel settore degli studi di logica e matematica. La linea frastagliata di una costa, l'evoluzione delle condizioni meteorelogiche, la forma delle nubi, i crash dei sistemi informatici, le oscillazioni dei mercati azionari: per la scienza tradizionale questi fenomeni sarebbero stati assegnati al regno dell'informe, dell'imprevedibile, dell'irregolare. In una parola, al caos. Ma attenzione, avverte Leonard Smith: "caos" non è sinonimo di "caso", come la logica potrebbe indurre a pensare. E nemmeno si può parlare di disordine: i sistemi caotici e non lineari, alla luce delle nuove scoperte, sono sistemi dinamici sempre prevedibili a breve termine, e quindi riconducibili a una logica nuova, a un nuovo approccio conoscitivo che, abbandonata definitivamente la pretesa di un dominio completo dell'uomo sulla natura, ne rispetta e interpreta la complessità.
Lo studio e l'osservazione delle galassie è da sempre il nodo centrale del crescente interesse per l'origine del cosmo, e rimane tuttora uno dei temi fondanti dell'astronomia. John Gribbin coinvolge il lettore in un viaggio che dalle osservazioni a occhio nudo degli antichi attraversa la storia dell'invenzione del cannocchiale e del telescopio per arrivare alle ultime frontiere della ricerca, spingendoci fino alla notte dei tempi, alle collisioni intergalattiche, giù giù in quel frammento di secondo che ha dato origine a tutto. D'altronde, come restare indifferenti a una disciplina scientifica che nei secoli è stata in grado di sondare e interrogare le profondità infinite del ciclo, di stabilirne l'incommensurabilità, di rivelarci quanto è vero che siamo "un puntino minuscolo alla periferia di una piccola galassia di un universo in continua espansione"? Quel viaggio ai limiti del tempo e dello spazio - ci dice Gribbin - altro non è in fondo che un viaggio dentro noi stessi, una scossa alle nostre inquietudini più profonde.
L'affresco generale del rapporto tra l'uomo e la sua millenaria storia evolutiva si arricchisce di un nuovo importante tassello. Questa volta il protagonista è uno dei più affascinanti e misteriosi tratti distintivi di Homo sapiens: perché crediamo, e siamo convinti che possa esistere un'"intelligenza superiore" che governa e indirizza le nostre vite? Perché tendiamo con facilità a credere nel sovrannaturale, nelle religioni, nella telecinesi, negli angeli, nella fortuna (o nella sfortuna) e nel destino? La risposta, per il biologo ed ex credente Lewis Wolpert, risiede nella nostra particolarissima evoluzione di specie animale, precisamente nello sviluppo dei concetti di causa ed effetto, e nel modo in cui la nostra mente è stata "geneticamente programmata". Quando hanno sviluppato la capacità di costruire strumenti e oggetti appositamente creati per ottenere uno scopo (accendere un fuoco, macinare i semi per mangiarli o cacciare gli animali), i nostri antenati hanno scoperto nel tempo di poter estendere tale tratto, unico nel regno animale, a sfide intellettuali sempre più complesse e insidiose, fino alla nascita delle religioni. La tesi di Wolpert è che una conseguenza dell'evoluzione del cervello umano è stata quella di diventare un vero e proprio "generatore di credenze", un meccanismo utile ed essenziale per la sopravvivenza della specie.
La domanda che sta alla base di tutte le ricerche, di tutti gli studi e di tutti i dibattiti (talvolta molto accesi) che nell'Ottocento hanno dato origine alla paleoantropologia, è in definitiva quella che l'uomo si pone da sempre: da dove veniamo? Qual è il nostro posto nel pianeta che abitiamo e nella sua storia? Questa disciplina, così affascinante e per sua natura eclettica, che da più di due secoli ricostruisce faticosamente, reperto dopo reperto, le tappe della nascita e dell'evoluzione dell'uomo, sta in questi ultimi anni godendo del fondamentale apporto di altri rami della scienza. Accanto al rinvenimento e all'analisi dei resti fossili, i paleoantropologi attingono sempre più dagli studi sul clima del passato e sulle credenze magiche e religiose di popoli ormai scomparsi, dai progressi della genetica e da quelli della biologia, fino alle recenti misurazioni della geocronologia.