Le teorie politiche ragionano sui grandi scenari, discorsi affascinanti ma che spesso restano solo parole. C'è poi un pensiero politico che si occupa di quello che ciascun cittadino può fare dal luogo in cui è, agendo innanzitutto sul proprio modo di stare nel mondo. C'è necessità di cittadini e politici che siano consapevoli del valore della politica e agiscano mossi dall'intenzione di dedicare il giusto tempo alla cura della comunità. Così intesa la sapienza politica costituisce una necessità ineludibile. Si può dire che proprio dell'umano è l'esigenza della politica, di una politica capace di visione, di progetto, di forza di attuazione.
Qual è il progetto politico di FdI? Implica e prefigura una riduzione degli spazi della dialettica politica o è invece, come pretende, la restituzione della democrazia agli italiani, dopo una stagione di governi tecnici e di maggioranze contraddittorie? Per cogliere la natura di FdI è necessario comprenderne la genesi concreta e soprattutto le dinamiche della società contemporanea, dell'economia neoliberale, e le trasformazioni post-democratiche della nostra democrazia. Bisogna chiarire se la destra è una minaccia per il mondo liberaldemocratico in crisi o una promessa di rivitalizzazione, sia pure in chiave conservatrice, o un assecondamento di derive già in atto; bisogna collocare FdI rispetto alla destra europea, ma anche rispetto al fascismo (al neo-fascismo e al post-fascismo), al populismo, al sovranismo e al conservatorismo, analizzandone la politica istituzionale, quella economica, quella culturale e la proiezione internazionale.
Piergiorgio Odifreddi, come molti italiani nati nel dopoguerra, è cresciuto nel mito degli Stati Uniti e dei soldati americani "liberatori": sono stati loro, d'altra parte, ad aver salvato suo padre e suo nonno, entrambi deportati dai nazifascisti. Eppure, a partire dalla guerra del Vietnam, il suo rapporto con gli Stati Uniti inizia a cambiare. Ci studia per due anni, e ci insegna per venti. Viaggia in tutto il mondo, ed esplora in lungo e in largo il continente americano. Con sempre minor sorpresa, e sempre maggior fastidio, si rende conto dei modi violenti in cui gli Stati Uniti l'hanno sempre fatta da padroni: sfruttamento economico, embargo commerciale, occupazione militare... In questo libro riflette sull'arroganza dell'Occidente, anche attraverso i grandi pensatori del passato, e ci invita a non farci alleviare la coscienza dall'illusione che, forse, gli altri possono persino essere peggio di noi.
Storia e critica dell'opinione pubblica ("Mutamento di struttura della sfera pubblica", nel titolo originario), uscita nel 1962, è stata la prima importante opera di Jürgen Habermas, divenuta ormai un classico, che permette di comprendere la genesi e le trasformazioni della sfera pubblica politica dall'epoca borghese sino alla crisi del suo carattere emancipatorio nel corso del Novecento. Seppur il concetto di sfera pubblica - inteso in senso normativo, critico e applicativo - sia rimasto il filo rosso che accompagna l'intera sua opera, Habermas ritorna oggi a interrogarsi sul radicale mutamento strutturale prodotto da Internet e dai social network, così come sulle tendenze della comunicazione pubblica nel contesto del nuovo ecosistema mediale, ibrido, decentrato e reticolare.
La guerra in Ucraina e la rimilitarizzazione dei rapporti tra le potenze hanno rimesso al centro dell'attenzione il tema della sicurezza. Ma già dall'inizio del XXI secolo preoccupazioni analoghe erano state sollevate dagli attacchi dell'11 settembre 2001 e dalla conseguente guerra globale al terrore, poi dalla tempesta economica del 2007-2009, subito dopo dall'offensiva terroristica dell'Isis e infine dalla pandemia di Covid-19. Questo crescente senso di insicurezza basterebbe già a rivelare le tensioni che attraversano l'attuale contesto internazionale. Ma la sua intensità non si comprende se si dimentica che, nei quindici anni precedenti, l'Occidente si era convinto di essere avviato verso un futuro opposto, incarnato nel grande progetto del Nuovo Ordine Liberale. Oggetto del libro è il rapporto tra questa promessa liberale di sicurezza e la "frustrazione securitaria" subentrata una volta che la promessa si è rivelata irrealizzabile.
La progressiva specializzazione delle nostre conoscenze rende inevitabile il ricorso a forme rappresentative e non dirette di democrazia. È solo in una democrazia rappresentativa che, attraverso libere elezioni, si possono delegare rappresentanti più competenti dei cittadini a trovare i mezzi opportuni per realizzare l’interesse generale.
Malgrado inevitabili differenze, ci sono profonde analogie con i meccanismi che regolano la crescita della conoscenza scientifica. Quanto più cresce la conoscenza scientifica, tanto più si specializza e tanto più nascono linguaggi tecnici sempre meno accessibili al grande pubblico. La delega conoscitiva tipica delle comunità scientifiche si riflette nella necessità di affidare il compito di realizzare i nostri fini a rappresentanti più competenti di noi. Preservando la nostra autonomia di scelta, tale delega politica può al contempo impedire la formazione di tecnocrazie, in cui pochi tecnici decidano per tutti.
Prefazione all'edizione italiana di Piero Vereni
Due tra i più importanti antropologi affrontano un tema centrale: da dove viene il potere? Perché anche nelle società più semplici alcuni uomini prendono il sopravvento e agiscono come se il potere spettasse loro per qualche ragione sovrannaturale?
La filosofia politica ha cercato nelle infrastrutture (il modo di produzione, tipicamente) le ragioni della stratificazione del sociale, proiettando sul piano religioso la messa in scena “simbolica” di quel potere “reale”. Gli dei sarebbero cioè la trasfigurazione del potere dei re. In questo libro rivoluzionario Graeber e Sahlins rovesciano la catena causale e fanno dei re gli imitatori di un potere sovraumano che stabilisce una gerarchia cosmologica universale: i re cercano di riprodurre con i loro mezzi il potere ultra-mondano posseduto dagli dei.
Biografia degli autori
David Graeber
David Graeber è professore di Antropologia presso la London School of Economics. Scrive regolarmente per Guardian, Strike!, New Left Review. Tra i numerosi libri pubblicati in italiano ricordiamo Bullshit Jobs (2018)
Marshall Sahlins
Marshall Sahlins è professore emerito di Antropologia all’Università di Chicago. Nelle nostre edizioni ha pubblicato Isole di storia (2016).
L’orrore del “califfato” di Daesh nel Levante tra 2014 e 2017 e il terrorismo su scala planetaria sono stati una paradossale conseguenza delle “primavere arabe” del 2011, che pure erano state celebrate in quanto “rivoluzione 2.0”.
Come ha fatto a instaurarsi il caos e sarà possibile uscirne in seguito all’eliminazione militare dello “Stato islamico”?
Questo libro ricolloca gli eventi nel loro contesto, a partire dalla guerra del “Kippur” del 1973, a cui seguirono l’esplosione dei prezzi del petrolio e la proliferazione del jihad. Viene poi proposto il racconto completo delle sei principali sollevazioni arabe, dalla Tunisia alla Siria. Si descrivono infine le linee di frattura nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, chiarendo quali scelte attendano i capi di Stato, così come i popoli di quelle regioni, ma anche i cittadini d’Europa.
Uscire dal caos è il frutto di quattro decenni di ricerche sul mondo arabo e musulmano e di esperienza sul campo da parte di Kepel e si basa anche su documentazione inedita.
Le nuove tecnologie hanno rivoluzionato, è noto, il modo di far politica, disegnando un quadro sicuramente innovativo e, per molti versi, allarmante. Tra falsi profili, propaganda selvaggia, disinformazione e problemi di sicurezza, la nuova politica digitale riveste oggi un ruolo centrale in ogni Stato. In questo libro sono affrontati i temi dell’uso spregiudicato dei big data, del "governo tramite gli algoritmi", della politica smart attraverso l’utilizzo di app e di grandi piattaforme consultive, della profilazione politica di tutti i cittadini (mostrato al mondo dal clamoroso caso di Cambridge Analytica), del "giocare sporco" online diffondendo fake news e attacchi gratuiti agli avversari e della sicurezza informatica dei dati e delle attività dei politici.
Un tempo la politica estera, per le persone di sinistra, era relativamente semplice. Le persone di sinistra erano per l'abbattimento del capitalismo e per la sua sostituzione con un'economia pianificata centralmente. Erano a favore degli operai contro gli interessi finanziari e a favore dei popoli colonizzati contro i poteri imperiali. Ma oggi il capitalismo neoliberale sta trionfando e il movimento operaio è in declino. I movimenti di liberazione nazionale hanno prodotto nuove oppressioni. Una politica anti-imperialista applicata meccanicamente può trasformare le persone di sinistra in apologeti di gruppi moralmente aberranti. Secondo Michael Walzer, la sinistra non può più assumere posizioni automatiche, ma deve procedere da principi morali chiaramente articolati. Le persone di sinistra dovrebbero pensare alla scena internazionale - all'intervento umanitario e al governo mondiale, alla disuguaglianza globale e all'estremismo religioso - alla luce di un insieme coerente di valori politici di fondo.
L'ipotesi di Latour è che non si possono comprendere le posizioni politiche degli ultimi cinquant'anni se non si attribuisce un posto centrale alla questione del clima e della sua negazione, di cui Donald Trump non è che il simbolo più conosciuto. È questo che spiega l'esplosione delle ineguaglianze, l'ampiezza della deregulation, la crescita del populismo. Siamo entrati nell'epoca di un profondo disorientamento, che vede la terra sottrarsi a noi umani come terreno di vita, reagendo alle nostre azioni con sconvolgimenti climatici globali. Per contrastare tale politica, occorre tracciare una nuova rotta e dunque disegnare una mappa delle posizioni imposte da questo nuovo paesaggio, avendo come obiettivo un mondo diversamente abitabile per sé e per i propri figli.
La "Seconda Repubblica", più che una realtà, è stata finora un'ideologia. Trasversale a tutte le forze politiche, che l'hanno impugnata ciascuna per scopi diversi, è avanzata come una macchina che ha preso velocità nel corso dei decenni: tre le sue componenti - Parlamento, Partiti e Governo trasfigurate polemicamente in parlamentarismo, partitocrazia e governabilità. La riforma costituzionale del Governo Renzi sembra in procinto di portare a destinazione questa macchina, dopo un trentennio che ha visto Parlamento e Governo sfidarsi per l'attuazione delle riforme istituzionali. Ma il discorso sulla crisi della Repubblica ha radici lontane, che risalgono agli anni immediatamente successivi all'entrata in vigore della Costituzione del 1948. La fisionomia della vera Seconda Repubblica è il risultato del sedimentarsi progressivo di questi dibattiti, prima esterni e poi interni alle istituzioni. Se un tempo era la forza dei partiti a ostacolare le loro velleità riformatrici, oggi è proprio la loro debolezza che consente la nascita di una nuova Repubblica, non più dei partiti ma del partito.