Il tempo che stiamo vivendo si fa spesso opaco, a tratti buio. Accade quando si perde l'attenzione per le cose davvero importanti. La pratica della cura è fondamentale per la vita: avere cura di sé, degli altri, delle istituzioni, della natura. Senza cura non può esistere una vita buona per l'essere umano. Ma in una cultura neoliberista la cura non trova la dovuta considerazione. Quando le essenziali attività di cura - quelle che procurano ciò che nutre la vita, quelle che riparano le situazioni difficili, quelle che edificano mondi - non trovano il giusto riconoscimento, la politica si inaridisce, perde la capacità di promuovere una vita pienamente umana. È tempo che la politica si ripensi daccapo per diventare una politica della cura.
Scriveva Leopardi nelle Operette morali: "Un uomo fatto all'antica" è un uomo "dabbene e da potersene fi dare". Oggi questa immagine virtuosa è andata smarrendosi. Attribuire tale qualità morale a qualcuno può signifi care accusarlo di essere un conservatore, se non un reazionario. Nel migliore dei casi, si è tacciati di non stare "al passo con i tempi", di non saperne vedere i vantaggi. Questo libro mostra invece che l'essere all'antica implica alcune delle nostre qualità migliori. Fra queste, la sensibilità per le memorie personali e altrui, per la conoscenza storica, per virtù e valori che paiono dimenticati. E poi, si è tali per modi di fare, parlare, desiderare, non volti nostalgicamente al passato ma orientati a sentimenti in controtendenza, ostili verso ogni forma di volgarità. Piuttosto propensi alla pratica della lealtà, della generosità, dell'amicizia. L'essere all'antica, su cui il libro sfata i pregiudizi più frequenti, arricchisce e non sminuisce il nostro modo di esistere. Per non vivere di solo presente e non esserne troppo contagiati.
Edgar Morin, nato nel 1921, ha scelto di riunire qui tutti i ricordi riaffiorati alla sua memoria che, a 99 anni, è rimasta intatta e gli permette di dispiegare davanti a noi l'epopea viva e caleidoscopica di un uomo che ha attraversato i grandi eventi del XX secolo e che continua a occuparsi con brio e acume di quanto accade nel nuovo millennio. Nel libro la grande storia è punteggiata degli episodi di una vita traboccante di viaggi, incontri con persone affascinanti, in cui l'amicizia e l'amore rivestono un ruolo centrale. Edgar Morin è il "filosofo della complessità". Ma è noto e apprezzato in tutto il mondo, dall'Africa all'Asia all'America Latina, anche per la sua capacità di enunciare pensieri complessi con una semplicità e una piacevolezza uniche. "Questi ricordi non sono emersi in ordine cronologico, come avviene di solito nelle Memorie. Mi sono venuti incontro a seconda dell'ispirazione e delle circostanze. Interpellandosi reciprocamente, alcuni ne hanno fatto scaturire altri dall'oblio".
La domanda perché?, la preferita dai bambini di ogni età, è lo strumento più spontaneo per capire il mondo: l'essere umano cerca in continuazione di separare il corso degli eventi in cause e conseguenze, e di capire se le cause sono a loro volta conseguenze di qualcos'altro. Il che è un'operazione meno semplice di quanto potrebbe sembrare. Poniamo che, in un grafico, l'andamento nei secoli della concentrazione di CO2 nell'atmosfera e quello della temperatura terrestre mostrino una notevole correlazione. Questo prova che la CO2 è la causa del riscaldamento globale? In realtà, lo stesso grafico può mostrare anche che l'aumentare della temperatura causa l'aumento della concentrazione di CO2 - e la cosa è chimicamente plausibile, la solubilità dei gas in acqua salata diminuisce con la temperatura. Quindi, quale delle due è la causa e quale la conseguenza? In questo caso, la risposta è estremamente difficile. Dunque, siamo davvero in grado di decidere quale sia la causa e quale l'effetto? La risposta è: non sempre. Ma molto spesso, sì. E cercando di distinguere le due cose, qualcuno sostiene che potremmo arrivare a capire cos'è la coscienza. Se siete curiosi di sapere come, proveremo a capirlo insieme.
Lo scrittore Albert Camus non è morto nell'incidente del 4 gennaio 1960. Un suo grande amico, il genetista Jacques Monod, va a trovarlo in ospedale. Stanno scrivendo un libro insieme. Leggono le bozze, ricordano le avventure durante la Resistenza a Parigi. Nel segno del disincanto, prende forma una visione del mondo. La scienza ha svelato la finitudine di tutte le cose: dell'Universo, della Terra, delle specie, di ognuno di noi. Come trovare un senso all'esistenza accettando la nostra finitezza? Camus e Monod passano in rassegna le possibilità laiche di sfidare la morte. L'investigazione diventa un giallo filosofico. Forse la finitudine non implica nichilismo, ma al contrario solidarietà, rivolta, una vita piena. In un gioco raffinato di fatti e finzioni, "Finitudine" è la storia della vera amicizia tra due Premi Nobel, un dialogo avvincente, un libro dentro un libro.
Non riuscendo a dare un senso alla pandemia, impariamo da essa per il futuro. Un minuscolo virus in una città molto lontana della Cina ha scatenato lo sconvolgimento del mondo. L'elettroshock sarà suffi ciente per rendere fi nalmente tutti gli umani consapevoli di una comunità di destino? Per rallentare la corsa frenetica allo sviluppo tecnico ed economico? Siamo entrati nell'era delle grandi incertezze. Il futuro imprevedibile è in gestazione oggi. Assicuriamoci che tenda a una rigenerazione della politica, alla protezione del pianeta e a un'umanizzazione della società: è tempo di cambiare strada.
Il volume descrive come i massimi filosofi dell'Occidente abbiano affrontato il problema di rendere più vivibile il mondo, elaborando teorie sulla condizione dei singoli individui e sull'organizzazione della vita sociale e fornendo indicazioni su come metterle in pratica. Con rare eccezioni, sono partiti da un acuto disagio per lo stato delle cose, analizzandone i punti deboli e indicando possibili rimedi. Muovendo dall'idea che la filosofi a sia un'attività di problem-solving, e precisamente uno strumento volto a migliorare la vita attraverso la riflessione e l'argomentazione, l'autore presenta la storia della morale dall'antica Grecia a oggi, individuando i mali contro i quali i filosofi hanno indicato di combattere e gli obiettivi che hanno proposto come desiderabili. La filosofia pratica si definisce tale sia perché si occupa dell'azione (praxis) sia perché mira a un cambiamento dell'esistenza concreta; poiché dunque in essa convivono una dimensione teorica (come si può cambiare qualcosa se non lo si conosce?) e una dimensione "militante", il volume si rivolge non solo a chi vuole sapere ma anche a chi vuole occuparsi di sé e degli altri.
Per millenni filosofi, teologi e scienziati non sono riusciti a trovare risposte verificabili alle domande che definiscono il significato stesso dell'esistenza umana: che cosa siamo e che cosa ci ha resi quello che siamo. Nel suo esame della storia evolutiva, Wilson si spinge qui più indietro di quanto abbia mai fatto, consegnandoci un testo che mette in luce le origini profonde delle società animali e di quella umana. L'unico modo per comprendere il comportamento umano è cercare di conoscere le storie evolutive, lunghe e complesse, delle specie non umane. Tra queste almeno diciassette specie (roditori e gamberi tra gli altri) hanno sviluppato società avanzate e basate su livelli di altruismo e cooperazione simili a quelli che osserviamo tra gli esseri umani. Sulla scia di Darwin, che suggerì di studiare le origini dell'umanità tenendo conto del comportamento delle scimmie antropomorfe, Wilson sintetizza le più aggiornate ricerche svolte nel campo delle scienze dell'evoluzione, realizzando un'opera concisa ma rivoluzionaria sulla genesi della società umana. Prefazione all'edizione italiana di Telmo Pievani.
E' il lavoro più recente di Derrida, dedicato a uno dei grandi temi della filosofia morale: l'amicizia. Tutto gira attorno all'interpretazione e allo smontaggio di una frase che Montaigne riprende da Aristotele: "Oh miei amici, non c'è nessun amico". Questa che appare una manifesta contraddizione si rivela invece come il motore paradossale delle nostre idee principali riguardo al conflitto, alla politica, al dialogo. Derrida ricava così da una frase un'intera tradizione di pensiero, da Aristotele, attraverso Nietzsche, fino a Blanchot e ne indica lo sfondo implicito e l'alone di interdetto che la accompagna e la lascia aperta per noi.
La filosofia pone domande, ma porre domande non è la cosa più importante, bisogna porre quelle giuste al momento giusto per avere risposte significative e corrette. La filosofia è un'impresa costruttiva in cui l'analisi delle domande aperte è il terreno preparatorio per il design di risposte soddisfacenti. La filosofia è necessaria per ripensare ciò che si può definire progetto umano. E la filosofia evolve come evolve l'umanità. Oggi l'indagine filosofica non può prescindere dalle tecnologie digitali che influenzano e formattano la nostra comprensione del mondo e la nostra relazione con esso. È in corso una rivoluzione, ma il discorso filosofico potrebbe non prendervi parte a meno di riavviare il sistema, proprio come si fa con un computer. Nell'era "onlife" la filosofia è necessaria per dare senso ai cambiamenti radicali prodotti dalla rivoluzione dell'infosfera, ma occorre che sia davvero buona filosofia per affrontare le grandi difficoltà che abbiamo davanti.
Che cosa hanno in comune La notte di Elie Wiesel, le fotografi e dell’Album Auschwitz, Notte e nebbia di Alain Resnais? La tragedia della Shoah, naturalmente.
Ma per quanto scandaloso possa sembrare, non solo. Ognuna di queste opere porta all’estremo i limiti del nostro vedere e ci spiega che certe immagini funzionano solo in virtù di ciò che non si vede, del loro fuoricampo e del vuoto che riescono a rendere percepibile. Il confronto con l’estremo continua a interrogare il nostro modo di relazionarci alle immagini che provano a raccontarlo e sfida il nostro sguardo a esercitarsi oltre i suoi limiti. Tocca alla teoria dell’immagine ricostruire il terreno per un ritorno alla morale e alla politica delle immagini, in grado di difendere la “causa dell’invisibile” e ripensarne la radice attraverso ciò che ci è dato vedere.
Le due conferenze inedite riunite in questo libro danno testimonianza della parola pubblica del più celebre antropologo francese e ci consentono di valutare il posto che il pensiero di Montaigne occupa nel percorso intellettuale di Lévi-Strauss, offrendo una visione nuova dell’opera dell’antropologo.
Nel 1937 Lévi-Strauss è a Parigi e dà una conferenza stupefacente: collocandosi sotto l’egida di Montaigne, proclama il carattere rivoluzionario dell’antropologia. Ma questa conferenza è importante anche per un altro motivo: attesta l’esistenza, finora sconosciuta, di un momento diffusionista nella riflessione del grande antropologo.
Nel 1992, in uno dei suoi ultimi interventi pubblici, Lévi-Strauss torna a parlare della sua ammirazione per Montaigne e ci lascia intravvedere l’aspetto che, ai suoi occhi, connette Montaigne a Rousseau.