La raffigurazione del divino è tra le espressioni più problematiche e affascinanti del cristianesimo, l'arte sacra è stata protagonista di una storia articolata sia nel rapporto dialettico con la Parola sia nella sua piena affermazione dopo qualche secolo di silenziosa assenza.
Il volume ripercorre il retroterra teologico dell'itinerario che si snoda dal primo aniconismo al fuoco incrociato dell'iconoclasismo, fino alla definitiva legittimazione della raffigurazione religiosa, con particolare attenzione alle declinazioni estetiche e teologiche assunte nel cristianesimo d'Oriente e d'Occidemte.
Attraverso una riflessione speculativa coniugata al racconto delle opere d'arte, l'intento è indagare il senso, il compito e il ruolo dell'immagine sacra nel cristianesimo per restituire la complessa ricchezza del pensiero su questo tema e sollecitare un dialogo proficuo tra Parola e immagine, nel continuo confronto tra Occidente e Oriente.
Un personaggio femminile entra dal lato destro di un affresco che rappresenta la nascita di san Giovanni Battista, dipinto dal Ghirlandaio nella chiesa fiorentina di Santa Maria Novella. La grazia eterea del suo passo ne fa quasi una dea o una ninfa pagana, un fantasma femminile che attraversa la scena religiosa in modo leggero e quasi aereo. Questa figura nomade e sensuale che sfida ogni gravità e oppone il suo dinamismo all'immobilità delle altre figure proviene da un altro spazio simbolico e da un altro tempo (il passato del paganesimo) rispetto a quello della solennità borghese (il presente degli usi fiorentini) o evangelica (il passato delle storie sante). Per Aby Warburg l'ancella del Ghirlandaio che porta dalla campagna frutta fresca e vino per la madre di Giovanni Battista è la quintessenza della Ninfa fiorentina, il personaggio in movimento che nelle immagini rinascimentali - da Botticelli a Pinturicchio, da Mantegna a Leonardo, da Perugino a Raffaello - sembra emergere dal retroscena e modificare l'economia della rappresentazione, suggerendo una riflessione sulla "porosità" delle immagini e sul loro "sapere eccentrico".
"Dal portale regale di Chartres a Michelangelo, dall'icona di Rublev alle scuole russe italianizzanti del XVIII secolo, si constata una perdita progressiva del senso sacro", osserva Evdokimov. "Il sacro si sposta verso il "bello" estetico, l'essenza religiosa scompare dinanzi all'elemento narrativo, aneddotico, al piacevole, al ritratto somigliante, al complicato". Non accade così nel mondo dell'icona, dove il sole non tramonta e la luce è senza attenuazioni. La maggiore espressione figurativa del mondo ortodosso esprime il meriggio abbagliante dell'incarnazione, senza ombre né oscurità, e le sfumature vengono espresse solo dal contrasto dei colori, al di fuori di ogni artificio di illuminazione e di prospettiva. Se ogni dipinto è posto in un triangolo chiuso, composto dall'artista, dalla sua opera e dallo spettatore, l'icona spezza quel triangolo e afferma la sua indipendenza sia da chi la realizza che da chi la contempla. Essa non suscita l'emozione, ma l'avvento di un quarto elemento, l'avvento del trascendente di cui attesta la presenza. L'artista scompare dietro la tradizione che parla e l'opera d'arte diviene lo scaturire di una presenza dinanzi alla quale non si può restare solo spettatori.
Un libro che offre un aiuto prezioso per orientarsi tra le icone orientali tra teologia, storia e spiritualità.