Le otto Omelie su Qoelet di Gregorio di Nissa costituiscono la prima testimonianza del grande interesse dei Padri per il libro di Qoelet. Gregorio vi legge la confessione del re Salomone e il bilancio della sua vita. Sviluppando il tema della vanità del mondo, sottolineato dal frequente ritornello 'Vanità delle vanità, tutto è vanità', Gregorio desidera, non tanto invitare al disprezzo del mondo, quanto piuttosto esortare a scoprire nel mondo un cammino che conduce a Dio. Sviluppa così due grandi riflessioni: la prima sulla natura dell'universo, detto macrocosmo, e sulla natura dell'uomo, detto microcosmo, per condurre il suo ascoltatore ad acquisire una giusta consapevolezza del suo essere, del suo ruolo nel mondo e dei suoi limiti; la seconda riflessione è sul concetto di tempo, in senso fisico, etico ed escatologico, nella quale rielabora le più felici conclusioni della filosofia greca.
Il Battesimo (De baptismo) di Tertulliano, composto nei primi anni del III secolo, è la prima opera latina scritta per illustrare e motivare la fede cristiana che fonda questo sacramento, mostrando come la sua istituzione divina sia il termine di una progressiva rivelazione del disegno del Padre.
In particolare, l’Autore si sofferma sulla specificità del battesimo rispetto ai riti iniziatici dei misteri pagani: il sacramento dell’acqua, che rimanda al mistero pasquale di Cristo, è semplice nella sua ritualità ma efficace, poiché realmente purifica l’uomo dai peccati donandogli la vita divina della grazia. In stretta connessione con il battesimo vi sono i riti dell’unzione crismale e dell’imposizione delle mani che completano nell’uomo la grazia battesimale.
Infine sono affrontate alcune questioni teologiche, come il battesimo amministrato dagli eretici, la necessità di celebrare il sacramento, il ministro del battesimo, il battesimo dei bambini.
Introduzione di Attilio Carpin
Testo critico a cura di J. G. Ph. Borleffs
Traduzione, note e appendice di Attilio Carpin
La penitenza (De paenitentia) di Tertulliano, composto nei primi anni del III secolo, è la prima opera latina scritta su questo sacramento.
Partendo dall’esperienza comune del pentimento, Tertulliano mostra la vera natura della penitenza cristiana sulla base della rivelazione dell’Antico e del Nuovo Testamento, attuatasi poi nella prassi liturgica della Chiesa (la disciplina penitenziale).
La penitenza è la conversione dei peccati dettata dal timor/amor di Dio e fondata sulla certezza della misericordia divina. Essa precede il battesimo dato a remissione dei peccati, ma costituisce propriamente un “rito sacramentale” per il perdono dei peccati dopo il battesimo. La penitenza interiore si esplicita negli atti penitenziali esterni del peccatore che, tramite la Chiesa e il suo ministero di grazia, confessa a Dio i propri peccati, chiede il perdono divino e la riconciliazione con la Chiesa.
Introduzione di Attilio Carpin
Testo critico a cura di J. G. Ph. Borleffs
Traduzione, note e appendice di Attilio Carpin
La Mistica teologia è un sintetico trattato di metafisica con finalità mistica: conoscere Dio non come si manifesta e rivela nel creato e nella Scrittura, ma come è in se stesso, l'increato, l'infinito che trascende tutte le determinazioni, dissimile da tutte le altre realtà. Per questo l'intelletto umano deve negare dapprima tutte le affermazioni su Dio che ne sottolineano la somiglianza con il creato, ma poi anche tutte le negazioni perché tutte le realtà sono partecipazioni divine e pertanto esistono in Dio in modo eminente. Abbandonata ogni affermazione e negazione determinata, in tale nescienza l'intelletto umano conosce sovraintellettivamente l'Inconoscibile, ossia si è disposto a essere elevato dalla grazia dell'esperienza mistica della comunione con Dio. La traduzione con testo greco a fronte è accompagnata da quella delle principali lettere di Dionigi che chiariscono alcuni punti del trattato, da un'introduzione alla struttura dell'opera e alla figura del suo misterioso autore e da un commento filosofico che presenta la chiave interpretativa del trattato, ne spiega insieme alle note al testo i passaggi complessi e lo contestualizza all'interno della storia del pensiero antecedente e successivo a Dionigi sia occidentale (neoplatonismo pagano e filosofia patristica, bizantina e medievale, rinascimentale e oltre) sia orientale (ermetismo e filosofie indiana, giudaica e islamica).
Anche al lettore non specialista è così resa possibile la comprensione di uno scritto che costituisce un esempio paradigmatico e di perenne attualità di mistica speculativa, suggestivo per tutti e particolarmente per il cristiano che, in quanto chiamato alla santità, trova un itinerario di approfondimento razionale della propria fede spinto sino ai limiti invalicabili dell'intelligenza umana in quanto finalizzato ad aprire la sua anima al dono della grazia santificante.
Il libro biblico dei Giudici narra la storia di Israele successiva all’ingresso nella Terra promessa. È una storia santa: i dati della narrazione storica sono congiunti all’interpretazione religiosa. Questa sostituisce volentieri il ruolo delle cause seconde di ordine umano con l’azione immediata di Dio. Il nostro predicatore, Origene, insiste sul fatto che si tratta di una successione storica non solo provvidenzialmente guidata, ma soprattutto orientata a svelare la presenza di Gesù Cristo. Così nella Omelia II,1 afferma: «Abbiamo stabilito di riferire a nostro Signore Gesù Cristo ciò che si leggeva di Gesù, figlio di Nave». E Gedeone, che è l’eroe principale delle ultime due Omelie, è presentato come immagine che anticipa alcuni aspetti della vita di Gesù Cristo: così Gedeone, che spreme il vello in un catino, riempiendolo d’acqua, anticipa Cristo che lava i piedi dei suoi discepoli (VIII,5); e Gedeone, che intima agli uomini timorosi e pavidi di andarsene e che ordina agli altri di scendere nell’acqua del fiume per metterli alla prova, è ombra di Cristo che dice: «Chi non prende la sua croce e non viene dietro di me non è degno di me» (IX,1).
Tra gli altri temi trattati in queste Omelie spicca la Chiesa e l’amorosa sollecitudine di Dio per gli uomini.
Testo della versione latina di Rufino
Introduzione, Note e Indici di Pierre Messié, Louis Neyrand, Marcel Borret
Traduzione italiana e aggiornamento di Riccardo Pane
Prima edizione italiana con testo critico latino e traduzione a fronte.
Conoscere il nome di una cosa o di una persona creava, secondo gli antichi, un rapporto di vicinanza, o addirittura di possesso. Per questo motivo alcuni passi della Bibbia proibiscono all'uomo di pronunziare il nome di Dio. Inizialmente, nella tradizione filosofica greca, il problema del rapporto tra il nome e la cosa viene investigato da Platone, nel Cratilo. Successivamente, a partire da Plotino, si arriva ad affermare che, pur pronunciandone il nome, Dio resta inconoscibile, essendo uno e al di sopra di tutto. Queste idee vengono filtrate da Dionigi nella presente opera . Il suo metodo apre prospettive importanti sul problema dei nomi che l'uomo può attribuire a Dio: se è vero che l'uomo dà il nome alle cose solo dopo averle conosciute, e che Dio nessuno l'ha mai visto, come fa l'uomo a nominarlo? Grazie alla sua speculazione, la teologia di Dionigi tende ad assumere lo stesso punto di vista di Dio e può dunque dirsi anagogica o sub specie aeternitatis.La presente edizione offre il testo greco e la traduzione italiana a fronte. Il testo greco è completato da un apparato critico - in cui si tiene conto dell'antica versione armena - e da un corredo di introduzioni, note esplicative e rimandi che permettono di affrontare uno dei testi cardine della spiritualità occidentale e orientale che viene citato ripetutamente, ad esempio nelle più recenti encicliche, anche da Benedetto XVI.
Sulla passione, morte e risurrezione del Signore è un ciclo di omelie, raccolte dalla tradizione in un unico grande testo continuo, che ci fanno scoprire lo spessore spirituale e teologico di Eliseo l'Armeno. Sono meditazioni intense, toccanti, che alternano tratti di profonda riflessione teologica a pennellate di raro lirismo, ripercorrendo le vicende di Gesù, il Cristo, dall'agonia nel Getsemani alle prime predicazioni missionarie degli apostoli. Costituiscono un vero e proprio capolavoro, fino ad oggi sconosciuto al grande pubblico. E, come ogni capolavoro, esse riescono ad affascinare sia il lettore più esigente, interessato alla teologia patristica, sia il lettore meno esperto, che cerca solo una meditazione sui misteri della Pasqua. Questa è la prima edizione che affianca, al testo antico, la traduzione italiana a fronte ed è corredata da un ricco apparato di commenti e note. Introduzione, testo critico, traduzione e note di Riccardo Pane. Prima edizione italiana con testo critico armeno e traduzione a fronte
Il Liber de Duobus Principiis è l’unico testo giunto in modo integrale dell’eresia catara.
Questa è stata per molto tempo considerata l´espressione di una dissidenza priva di una base teologica organizzata. La scoperta del Liber de Duobus Principiis ha permesso di riconsiderare la questa affermazione, offrendo l´occasione di conoscere più a fondo i contenuti teologici e filosofici del catarismo.
In particolare, il Liber de Duobus Principiis con la sua visione dualistica della realtà fa riflettere sull´angoscioso problema del Male all´interno di un settore della società italiana che intorno alla seconda metà del XIII secolo aveva smarrito l´orizzonte della speranza cristiana.
La presente edizione è la prima a livello mondiale che riporta il testo critico siriaco e la traduzione a fronte in una lingua moderna.
Caterina, giovane donna senza cultura, anzi analfabeta, ha avuto il coraggio di parlare con forza a papi e re. Si è trovata a vivere in un momento cruciale della storia della Chiesa, essendo nata durante l’esilio avignonese – causato da un papa impaurito dalle trame del potere – e morta durante il grande scisma, che vide l’unità della Chiesa cattolica sgretolarsi per motivi politici.
In quel tempo di crisi, che coinvolse la cristianità e la società civile, periodo anche di grandi epidemie, Caterina accettò di entrare nella vita ecclesiale e politica denunciandone le ipocrisie e i giochi di potere, senza paura e senza guardare in faccia a nessuno, re e pontefici compresi. Agì non sul terreno speculativo e politico, dove non era ferrata, ma sul piano esperienziale e affettivo, presentandosi come "madre". Le sue iniziative nascevano dalla visione originale che lei aveva della persona umana. I suoi appassionati interventi erano fondati su alcune verità fondamentali che lei sapeva comunicare con uno stile positivo, affascinante, ricco di metafore.
Come altre donne vissute in epoche di crisi, Caterina si è trovata a svolgere una funzione di guida e di sostegno, tanto da divenire per ogni donna modello di un autentico femminismo: quello che non cerca rivendicazioni ma vuole, con la forza della femminilità, contribuire a rendere più bella la società civile e la Chiesa.
Da sempre il male è un problema che tormenta la mente e la coscienza dell’uomo; un enigma che accompagna in modo inquietante la nostra vita. Che cos’è il male? Perché esiste il male? Ha una causa?
Il male come si rapporta al bene? Se esiste Dio, che è il Bene assoluto, come può esserci il male? Quale rapporto c’è tra il male e la divina provvidenza? Il male può avere un fine positivo?
Il presente studio intende illustrare il pensiero filosofico-teologico di Tommaso d’Aquino, nella persuasione di trovare nelle sue sapienti risposte una qualche luce al mistero del male.
Nella cultura contemporanea è largamente diffusa l’opinione secondo la quale sarebbe impossibile stabilire una qualsiasi relazione tra verità e mistero.
L’impossibilità deriverebbe per un verso dalla convinzione che esistono molte ipotesi di verità, generate da culture e persone diverse, tutte valide e non giudicabili con categorie esterne all’ambito di appartenenza, e per l’altro dalla asserita inconoscibilità del mistero. Sarebbe quindi necessario ammettere la pluralità e non unicità del fatto religioso e la sua separazione dal problema della verità.
Il rapporto tra verità e mistero e le questioni inerenti alla compresenza di differenti religioni sono temi attuali, ma non nuovi: la cultura tardo-antica li aveva già affrontati. La cultura classica, infatti, si era posta la domanda sulla verità. Il cristianesimo ha affermato la presenza della verità determinando l’esigenza di mutamenti nelle prospettive dei culti esistenti e nella formulazione di teorie sulla religione.
Il dibattito culturale dei primi secoli della nostra era può dunque offrirci preziosi spunti di riflessione per una migliore comprensione del nostro presente.
La dottrina dei dodici apostoli è una breve e chiara esposizione della fede cristiana; un piccolo catechismo e insieme una raccolta di norme liturgiche e disciplinari. È un testo antichissimo – redatto forse in Siria verso il 50-60 d. C. – che mostra di non conoscere i Vangeli nella loro versione attuale, in quanto successivi.
Ci dà informazioni preziosissime sulle prime comunità cristiane. Tratta della formazione dei catecumeni e dei missionari; della scelta dei vescovi e dei diaconi; dei rapporti interni alle giovani e piccole Chiese; dell’importanza del lavoro svolto con serietà e impegno; della responsabilità data e richiesta all’assemblea dei fedeli.
Di massima importanza sono i brani relativi al battesimo, all’eucarestia – che aveva ancora una forma molto diversa dall’attuale – e all’agape fraterna, che all’epoca precedeva l’eucarestia.
Non conosciamo il suo autore. Il testo integrale è stato scoperto solo alla fine del 1800, all’interno di un manoscritto ritrovato a Gerusalemme. Ma l’Opera era già nota a causa delle citazioni che ne avevano fatto i Padri della Chiesa; segno che essa era, già nei primi secoli, molto diffusa per la sua autorevolezza.