Sminare il terrorismo, decostruirne la storia, è il percorso seguito da questo libro che affronta le questioni sollevate dal terrore planetario. Lo sguardo si concentra sulla scena dell'attentato, quel tentativo di forzare il ritmo della storia che sfida la sovranità, non per mostrare l'abisso, ma per soppiantarla. Perciò terrore e rivoluzione, spesso confusi, vanno separati. Piuttosto il terrorismo è lo spettro della sovranità moderna, sempre tentata di invocarlo. Di qui l'esigenza di ridescrivere la figura del terrorista che non è un nichilista, ma mira a un progetto politico o teologico-politico. Mentre affiora l'itinerario verso il terrore dei «cavalieri postmoderni dell'apocalisse», vengono considerati gli effetti di una violenza che colpisce la vittima nella sua nuda vulnerabilità. Questo terrorismo non può essere imputato alla religione. Sullo sfondo di un confronto fra sinistra e jihad si erge il terrore del capitalismo globale, emerge quell'insonnia poliziesca che sostenta la nuova fobocrazia.
Negli ultimi 2500 anni i filosofi hanno di volta in volta incarnato il ruolo del Saggio, del Curioso, dell'Asceta, del Polemico, del Mandarino e del Cortigiano. A cosa somiglierebbe dunque la storia della filosofia se fosse raccontata non come una storia di idee, bensí descrivendo tutte queste trasformazioni della figura del filosofo? Sarebbe certo qualcosa di molto diverso da quello che siamo abituati a pensare. In questo saggio arguto e stimolante, Justin Smith ridefinisce cos'è, e cosa non è, la filosofia, muovendosi liberamente tra Oriente e Occidente, dall'Europa di Aristotele, Leibniz e Nietzsche all'Arabia di al-Sidyaq, l'India di Siromani o l'America della tribú Mohawk.
Justin Smith individua sei personaggi tipo che hanno svolto il ruolo del filosofo in società molto diverse di tutto il mondo nel corso dei millenni: il Curioso, il Saggio, il Polemico, l'Asceta, il Mandarino, il Cortigiano. Il risultato è allo stesso tempo un'introduzione non convenzionale alla storia della filosofia e un'esplorazione originale di ciò che la filosofia è stata, e forse potrebbe diventare nuovamente. Attraverso casi di studi storici, inserti autobiografici e divagazioni paranarrative, l'autore individua e analizza aspetti del lavoro filosofico dimenticati o trascurati, per dimostrare quanto la filosofia sia un'attività universale, molto piú ampia e inclusiva, di quanto in genere oggi si pensi.
«Il filosofo di Justin Smith è un saggio sapiente, incisivo, scritto benissimo e spesso spassoso; una disamina indomita ed entusiasmante delle ambizioni dei filosofi di capire la vita, condotta da cosí tanti punti di vista che nemmeno Nietzsche avrebbe osato. Smith è sempre piacevole e intelligente, che prenda in esame sia il Leibniz studioso di teologia cinese, sia Laurence Sterne, T. S. Eliot o J. M. Coetzee. Se vi piace la filosofia, questo libro vi farà felici».
Clancy Martin
Come vivere felici? Non c'è problema più sentito fra i Greci e non c'è filosofo che non abbia offerto la sua soluzione. Ma nessuno può raggiungere Plotino quanto a originalità e radicalità. Impegnandosi in un confronto serrato con la filosofia dei secoli precedenti (Epicuro, gli stoici), il trattato "Sulla felicità" offre una sintesi delle migliori soluzioni proposte dalle scuole greche e si avvia lungo una strada che molti altri avrebbero in seguito percorso, rivelando la linea di continuità che unisce la filosofia greca e il pensiero dei secoli successivi. Da Platone a Dante, da Aristotele a Spinoza e oltre, la filosofia ha l'ambizione di comprendere il senso ultimo delle cose, realizzando così la natura profonda di quell'animale razionale che è l'uomo. Perché è solo se sapremo appagare il nostro desiderio di conoscenza che potremo capire chi veramente siamo. Ed è solo capendo chi siamo, riscoprendo la nostra origine divina e il nostro legame con il tutto, che potremo finalmente trovare la strada che conduce alla felicità, una meta che solo l'ignoranza fa sembrare lontana.
Umanesimo come scuola di retorica, culto dei latini e dei greci, nascita della filologia? Cacciari ci fa capire come le cose sono più complesse e meno schematiche, e come la stessa filologia umanistica vada in realtà inserita in un progetto culturale più ampio nel quale l'attenzione al passato è complementare alla riflessione sul futuro, mondano e ultramondano. Dunque una filologia che è intimamente filosofia e teologia. E i nodi filosofici affrontati dagli umanisti (che in quest'ottica non iniziano con Petrarca o con i padovani, ma con lo stesso Dante) sono difficilmente ascrivibili a sistemi armonici o pacificanti, secondo una visione tradizionale del Rinascimento. C'è un nucleo tragico del pensiero umanistico, fortemente "anti-dialettico", in cui le polarità opposte non si armonizzano né vengono sintetizzate... Tra gli autori antologizzati: Petrarca, Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini, Lorenzo Valla, Leon Battista Alberti, Marsilio Ficino, Cristoforo Landino, Pico della Mirandola, Poliziano, Savonarola, Leonardo da Vinci, Machiavelli.
Rousseau sosteneva che una donna sensibile conosce l'amore meglio di tutti i filosofi con i loro trattati rivolti all'analisi dei sentimenti. Con questo libro Gilles Tiberghien si propone di restituire all'esperienza amorosa una pluralità di significati nei quali tutti possano riconoscersi. Scritto nella forma di uno scambio epistolare, "Una storia senza fine" dà conto di tali differenze, assegnando ai quattro protagonisti, due uomini e due donne, l'espressione di un modo fondamentale di vivere il sentimento. Sviluppato nell'arco di quattro stagioni legate alle diverse tappe dell'amore, l'attesa, l'incontro, la fusione erotica, la gelosia, il distacco, la ripresa, la promessa d'eternità, questo saggio "romanzesco" trova ispirazione non solo nel pensiero dei grandi filosofi, ma anche in quei perfetti esploratori della vita amorosa che sono i romanzieri e i poeti.
Come riflettere sulle stragi compiute a Parigi il 13 novembre 2015? Chi sono gli agenti di questo crimine di massa? E come possiamo qualificare la loro azione? È necessario allargare lo sguardo. Alain Badiou cerca qui di delineare il quadro generale su cui si staglia questo tipo di attentati. In Occidente ha trionfato il liberismo e la classe media, sempre piú impoverita, vive divisa tra l'orgoglio del proprio modello di società e la paura costante dell'arrivo dei diseredati. Il resto del mondo paga un prezzo altissimo per le politiche neocoloniali delle multinazionali, che prosperano nel caos da loro stesse creato. I terroristi emergono in tale contesto: per Badiou la loro pulsione distruttrice è essenzialmente fascista e vuol reprimere il desiderio d'Occidente, anche in loro stessi. L'islamismo che ostentano, a suo avviso, è un fattore estrinseco e non costitutivo del loro agire. Ciò di cui noi soffriamo in particolar modo è l'assenza su scala mondiale di una politica disgiunta dal capitalismo egemonico. Senza una nuova proposta strategica il mondo resterà in uno stato di disorientamento. È un compito gravoso, ma indispensabile per tutti, fare in modo che la storia dell'umanità cambi direzione e, faticosamente, cerchi di allontanarsi dalla fosca catastrofe in cui sta sprofondando.
Dalla poesia epica e lirica della Grecia arcaica a Platone, da Kant a Hegel, dal materialismo dialettico a Adorno, le varie forme che la dialettica del bello ha assunto nel corso del pensiero occidentale sembrano disegnare una costellazione che continua a sollecitare chi la contempla, anche in prospettiva non strettamente filosofica. Pensiamo ai gesti provocatori di molta arte contemporanea, o al nostro controverso rapporto con l'idea di "natura"; ma anche a mentalità e ideologie che sembrano oggi pervadere ogni aspetto del mondo globalizzato, costruendo le identità simboliche collettive e insinuandosi negli individui in modo da plasmarne in profondità le menti e i corpi. Senza rinunciare a riflettere sulla bellezza, la filosofia deve ponderare con cautela le definizioni rassicuranti che di essa produce la razionalità strumentale. Pensare l'esperienza del bello in modo dialettico richiede di soffermarsi sulle pieghe e sulle incertezze della tradizione, per riconoscervi l'inquieta coappartenenza di bellezza e libertà.
Aristotele è stato il maggiore testimone di quell'appassionato desiderio di conoscenza che egli, nelle prime righe della Metafisica, riconosce come una tensione comune a tutti gli uomini, come un segno precipuo della loro umanità. Di fronte al suo immenso sforzo di soddisfare questo desiderio, per sé e per la tradizione cui apparteniamo, è difficile non provare quell'emozione che accompagna sempre l'incontro con le grandi esperienze dell'intelligenza umana, e, nel nostro caso, con l'imponenza di un'impresa del pensiero che si stenta a concepire come dovuta al lavoro di un solo uomo. Questo libro si propone di introdurre il lettore nel laboratorio intellettuale in cui questa impresa è stata realizzata. Il suo scopo è di condurre a una comprensione critica dell'edificio di pensiero costruito da Aristotele, nella sua complessità, nel suo senso d'insieme, e anche nelle questioni che esso lascia aperte. «Incontrare Aristotele» significa dunque disporsi a un ascolto non pregiudicato e non «scolastico» della sua lezione: una lezione che è ancora in grado di parlarci e di suscitare consenso o dissenso, di non lasciarci indifferenti di fronte a quello che è stato uno dei maggiori sforzi filosofici di comprensione del mondo che la nostra tradizione ci abbia trasmesso.
A lungo la filosofia ci ha raccontato una storia deprimente. C'è un Io che, con il linguaggio e il pensiero, costruisce il mondo, dunque (se prendiamo sul serio questa favola), anche gli altri io, e, per assurdo che possa sembrare, lo stesso passato. La storia è deprimente perché questa posizione, che si pretende rivoluzionaria, di fatto è profondamente conservatrice: è la reazione pura, è la negazione di ogni evento. Ci insegna che nulla di nuovo potrà mai colpirci, come una minaccia o come una promessa, perché il mondo è tutto dentro di noi. Con un linguaggio creativo e con argomenti ironici e stringenti Ferraris ci racconta una storia diversa e davvero rivoluzionaria. La realtà, e il pensiero che la conosce, provengono dal mondo, attraverso processi ed esplosioni, urti, interazioni, resistenze e alterità che non cessano di sorprenderci. Dal Big Bang alle termiti, dal web alla responsabilità morale, quello che il mondo ci dà (ossia tutto quello che c'è) emerge indipendentemente dall'io e dalle sue claustrofilie.
I greci hanno contribuito in modo sostanziale a formulare un linguaggio della mente e a svilupparne i concetti. Le nozioni greche di mente e identità umana - che da Omero e Platone giungono fino a Epitteto e Plotino - toccano questioni di interesse ricorrente e universale, riguardano il modo in cui descriviamo le nostre esperienze, reali o potenziali, e il modo in cui ci confrontiamo, o dovremmo confrontarci, con il mondo e con noi stessi. Cosa ci accade quando moriamo? Gli esseri umani sono mortali o hanno la possibilità di conseguire l'immortalità? Come sono legate la mente, l'anima e il corpo? Siamo responsabili per la nostra felicità? Perché si è giunti a pensare che la vita migliore è una vita governata dalla ragione, con i desideri e le emozioni subordinate al suo comando? Che cosa ha significato pensare all'intelletto umano nei termini di una facoltà divina? Anthony Long si chiede quando e come queste questioni siano emerse nella Grecia antica, e dimostra quanto i modelli di mente ereditati dai pensatori greci siano ancora efficaci nel cogliere e illuminare la nostra comprensione di noi stessi e delle nostre aspirazioni.
Nel cuore di una devastante crisi economica due eventi tragici venuti dall'esterno, come l'ondata immigratoria e il terrorismo islamico, hanno mutato radicalmente il profilo e il significato dello spazio che chiamiamo Europa. In presenza di un simile salto di paradigma, la riflessione filosofica è in condizione di esercitare la propria potenza inventiva piú di altri saperi. Ma solo se è capace di oltrepassare i propri confini lessicali, volgendo lo sguardo fuori di sé. È quanto, rompendo con il linguaggio delle filosofie della crisi primonovecentesca, hanno fatto alcune traiettorie di pensiero, tedesche, francesi e italiane, capaci di imporsi all'attenzione internazionale. Analizzati da questa prospettiva inedita, i grandi testi di Adorno e Derrida, di Foucault e Deleuze, ma anche quelli dei pensatori italiani piú recenti, ricevono una nuova luce. Dal loro rapporto e dalla loro tensione, ricostruita con straordinaria sensibilità teoretica da uno dei protagonisti della filosofia contemporanea, può nascere un pensiero all'altezza delle sfide cui è sottoposta oggi l'Europa. Teoria critica, filosofie della differenza, biopolitica costituiscono, nel loro confronto e nel loro attrito, scandagli decisivi per mettere a fuoco i tratti del nostro tempo e profilare i contorni di quanto ci aspetta.
Un bambino si può trasformare in un piccolo filosofo, basta osservarlo con attenzione mentre esplora il mondo. Basta ascoltarlo mentre con le sue prime parole semplici si interroga su ciò che lo circonda. Ogni sua domanda è un modo per dare un significato alle cose, e ne rivela quel lato stupefacente che da adulti purtroppo si dimentica. Un bambino non sa cosa sia la verità eppure la cerca sempre con ostinazione, facendoci riscoprire con i suoi dubbi il piacere e la felicità di quella ricerca. E ci costringe a capovolgere valori e direzioni, a osservare la realtà con uno sguardo diverso, più ingenuo, capace di illuminarla. Perché se il pensiero è l'esercizio continuo della meraviglia allora i veri filosofi sono i bambini. Vittoria Baruffaldi ci mostra, con intelligenza e leggerezza, tutta la gioia di essere madre, lasciando che ogni affanno si dissolva nello stupore degli occhi grandi e curiosi dei nostri figli.