Tre storici allo sbando e uno sbirro in disarmo: tornano gli stralunati protagonisti di "Io sono il Tenebroso" e "Chi è morto alzi la mano". Mentre è in appostamento su una panchina Louis Kehlweiler, detto il Tedesco, trova per terra un frammento di osso umano. Una traccia perduta dentro la città. All'apparenza ormai definitivamente. Eppure Kehlweiler la segue, con i suoi due aiutanti, Marc e Mathias. La segue con ostinazione e ossessione fino ad arrivare in un piccolo villaggio della Bretagna. Qui trova un collezionista di macchine per scrivere, fanatico di qualsiasi meccanismo ben oliato, un sindaco pavido e untuoso che non vuole problemi, un losco individuo ferocemente razzista, pronto a tutto pur di diventare sindaco lui. Con la pazienza e la fredda ferocia dell'indagatore, Kehlweiler toglie la maschera a tutti e ricostruisce la storia, le sue follie, le sue mostruosità. Inseguendo le tracce. Come chi scrive. Pubblicato per la prima volta in Francia nel 1996, il romanzo si distingue per il linguaggio terso, lo stile ironico e incisivo, la capacità di prendere per mano il lettore fino alla rivelazione finale, e l'accuratezza nei dettagli più sorprendenti, che deriva all'autrice dalla passione medievalista e dalla professione di zooarcheologa. Da qui il gusto per la detection, per le impronte, le tracce, le piccole cose senza importanza che permettono di dedurre, per una qualche "associazione di idee", la soluzione di un caso.
"Esercizi di stile" è un esilarante testo di retorica applicata, un'architettura combinatoria, un avvincente gioco enigmistico. Tutto vero, però è anche un manifesto letterario (antisurrealista), è un tracciato di frammenti autobiografici, è la trascrizione di una serie di sogni realmente effettuati da Queneau. E perfino un testo politico, nonché un'autoparodia. Questo è quanto emerge dalle riflessioni che Stefano Bartezzaghi ha dedicato a questo libro-capolavoro. E la sua postfazione al volume diventa complementare alla classica introduzione di Umberto Eco, del quale si conserva anche la traduzione. In appendice, presentati per la prima volta in italiano, alcuni esercizi lasciati cadere nell'edizione definitiva, un indice preparatorio e l'introduzione, anch'essa inedita in Italia, scritta da Queneau per un'edizione del 1963.
Chi ha rubato il piccolo secrétaire di mogano contenente un biglietto vincente della lotteria? Chi ha rubato "La lampada ebrea", il diamante blu, gioiello della Corona di Francia? Arséne Lupin, sempre lui, l'eterno innamorato della Dama Bionda, insolente e ingegnoso come non mai, riesce a eludere ogni astuzia dell'inglese con astuzie ancora piú stupefacenti. Questo romanzo presenta, attraverso due casi enigmatici, un vero e proprio confronto tra il migliore detective e il migliore ladro della storia: la deduzione contro la fantasia, la logica contro l'immaginazione e il lavoro ben fatto contro il talento innato. Questa volta Lupin dovrà utilizzare tutti i suoi trucchi (cambio di identità, ingegno e disinvoltura) per burlare un detective il cui talento è di molto superiore a quello del commissario Ganimard.
Resoconto, romanzo autobiografico, cronaca della caduta del nazismo. Soprattutto delirio della memoria, odio furente che nulla salva, né vinti né vincitori. Il vecchio scrittore sembra afferrare la storia per decomporla, violarla, deformarla, travolgerla nel fuoco della sua mimica verbale. In questo scenario di tenebra appaiono Pétain e i suoi goffi ministri, militari tedeschi spauriti ma ancora arroganti, caricature di vescovi e ambasciatori, nobili personaggi mescolati alla folla di straccioni, affamati, assassini di professione, prostitute. Tutti marchiati da un comune destino di catastrofe. Nemmeno la fine della guerra è "il termine della notte": per Céline il tunnel prosegue con l'umiliante prigionia in Danimarca, il processo per collaborazionismo, l'autoconfino a Meudon, nella periferia di Parigi, medico povero fra poveri pazienti. Céline passa "da un castello all'altro" ma il suo monologo paranoico non cambia di registro.
Nadja è una donna realmente esistita, realmente conosciuta da Breton e, come il personaggio del libro, finita in una clinica psichiatrica. Nadja è l'autorappresentazione femminile di Breton. Nadja è l'incarnazione del surrealismo. Nadja è tutto questo e molto altro ancora: è l'inizio della parola speranza in russo, è un sogno di amore e di libertà. "Nadja" costituisce una svolta importante nell'evoluzione del discorso di Breton sul caso e sulla scrittura, segnando la crisi della "écriture automatique", come attività di ricerca privilegiata e inaugurando un tipo di esplorazione che sarà proseguita nelle opere successive.
Da quattro mesi i marciapiedi di Parigi riservano una sorpresa apparentemente innocua: grandi cerchi blu tracciati con il gesso, e al centro una serie di oggetti stravaganti: un trombone, una pinzetta, un vasetto di yogurt, una candela... I giornalisti indagano per sfamare l'interesse dei lettori e gli psicologi si dividono tra chi grida al maniaco, e chi ipotizza la burla. Adamsberg, però, non trova nulla di divertente nell'escalation dei cerchi: la sua fine psicologia di conoscitore del male gli lascia intuire che dietro l'apparente stramberia si nasconde qualcosa di morboso. E ben presto i fatti gli danno ragione: un'altra alba e un altro cerchio su un marciapiede, ma stavolta, al centro esatto, un corpo di donna. Parte così una corsa contro il tempo per fermare un assassino del quale si ignora letteralmente tutto.
Un uomo e una donna si danno appuntamento su una panchina dei Jardins du Luxembourg a Parigi. È un giorno piovoso di fine estate, e poco dopo i due si ritrovano in un albergo vicino e trascorrono il pomeriggio intero a fare l'amore. Quali fantasie abitano la mente e il corpo di due esseri che vogliono dimenticare il loro passato e che sanno d'essere senza avvenire? Véronique Olmi racconta ogni dettaglio, ogni emozione ed eccitazione con una prosa intensa e lancinante. Vengono in mente certe pagine di Marguerite Duras, ma l'autrice, esperta drammaturga, aggiunge qui i segreti del proprio mestiere. Il risultato è un racconto erotico in cui l'intreccio prevedibile si carica di suspense e i gesti del desiderio assumono una gravita piena di pudore.
Michel De Palma, grande appassionato d'opera, ha alle spalle venticinque anni di onorata carriera nella polizia e di grandi successi: li prende tutti, lui, che siano trafficanti di droga o serial killer. Finché non vengono uccise, una di seguito all'altra, tre donne, delle quali due massacrate a colpi d'ascia e smembrate secondo un oscuro rituale, come se l'assassino avesse voluto celebrare un sacrificio umano. Nessuno crede che fra i tre omicidi ci sia un legame. Tranne De Palma. "Il Barone", come lo chiamano, si ritrova così immerso in un mondo ignoto, in cui ad appassionati d'arte preistorica e paleontologi si mescolano cacciatori e sciamani, quando non cannibali. Un mondo arcano e spietato, che ha lasciato la propria impronta nelle grotte celate tra le rocce del litorale mediterraneo; lo stesso Michel faticherà a sfuggire al fascino di quei graffiti di bisonti, cavalli, mani, e a non cadere nella trappola mortale dell'"uomo ucciso": la più antica rappresentazione di un assassinio nella storia dell'umanità, graffita sulle pareti di una grotta preistorica.
Lettore entusiasta di Walter Scott, il giovane Hugo decide di superare il maestro: "Dopo il romanzo pittoresco ma prosaico di Scott, resta da creare un altro romanzo, secondo noi più bello e più completo. È il romanzo, allo stesso tempo dramma ed epopea, pittoresco ma poetico, reale ma ideale, vero ma grandioso, che incornicerà Walter Scott in Omero". Il romanzo storico esce nel 1831; al di là del dramma della bella Esmeralda, contesa tra il deforme campanaro Quasimodo, l'arcidiacono Frollo e il poeta Gringoire, vuole far rivivere nella fantasia dei lettori i miti sepolti nei monumenti di Parigi, e in primo luogo nella presenza viva della sua cattedrale. Ma questo acceso melodramma d'ambiente medievale è anche una lunga confessione involontaria.
Il fantasma di una monaca del Settecento che sgozzava le sue vittime non fa paura al commissario Adamsberg, ma tutto il resto sì. Da un momento all'altro sprofonda in un mondo che sembra tornato al Medioevo, dove si straziano i cervi dei boschi normanni, si profanano cadaveri di vergini per estrarne misteriose sostanze, e le pozioni magiche assicurano la vita eterna, a costo di orrendi delitti. Mentre un rivale che arriva dal più lontano passato, e che parla in versi, gli vuole rubare tutto. Un puzzle inestricabile, fatto apposta per far smarrire la ragione a chiunque. Ma non a uno "spalatore di nuvole", come Adamsberg. Anche se, ancora più delle altre volte, arrivare alla verità vorrà dire riuscire a strapparsi un pezzo di cuore...
Parigi, ottobre 1942. Durante l'Occupazione un uomo e una donna si incontrano. Lui è un ebreo di origini toscane, lei è una fiamminga arrivata a Parigi inseguendo l'impossibile sogno di diventare ballerina. I due si sposano e hanno due figli, uno è Patrick Modiano. Per vent'anni vivono in un appartamento al numero 15 di quai de Conti, ma quelle che conducono sono vite parallele che a volte si intrecciano per brevi istanti ma che non si incontrano mai del tutto. Intorno a loro gravita uno strano mondo, bizzarri personaggi che appaiono e scompaiono e che per brevi periodi abitano le stanze dell'appartamento: sono uomini d'affari le cui occupazioni sono sempre indefinite e misteriose, sono cinici profittatori ed esteti da strapazzo, mediocri attori e attricette pronte a tutto, registi già affermati e amanti di personaggi famosi, protettori e aristocratici in declino dalla dubbia sessualità. Sono uomini e donne che prima cercano di sfuggire alla guerra e alle deportazioni e che poi si arrangiano come possono nella difficile esistenza del dopoguerra. A essere narrato in queste pagine è un universo di volti, a tratti solo un nome o un soprannome, che Modiano cerca di far riemergere dalla profondità della memoria per ricostruire una personale carta d'identità, o meglio per tracciare un impossibile e indefinito pedigree. Ma è anche un quadro di una strana epoca in odore di disastro in cui gli uomini sembrano abitare la città come se fosse una stazione.