Zavalloni Gianfranco
Dirigente scolastico, vive a Cesena. Per 16 anni maestro di scuola materna, è animatore dell’associazione Ecoistituto di Cesena.
Contenuti:
Nelle scuole, nei centri sociali, nelle carceri, negli ospedali, nelle comunità, nei quartieri si coltivano orti tutti i giorni.
In tutti i paesi del mondo, a tutte le altitudini e nelle condizioni più estreme, ci sono orti. L'orto è la misura minima con cui l'umanità si confronta per poter rispondere al bisogno fondamentale e quotidiano di cibo.
La rete Orti di pace è un'esperienza e nel contempo una proposta.
L'idea di fondo è quella di collegarci, di stringere relazioni, di scambiarci esperienze e competenze, coinvolgendoci sia come semplici realtà spontanee, sia come istituzioni.
È una sfida che rivolgiamo a tutti coloro che credono e praticano il lavoro della terra come gesto di pace.
"Riempire di stupore la fantasia dei ragazzi con lo spuntare di una foglia e il lento apparire di un colore sul pomodoro"
(Tonino Guerra)
Biografia di Augusto Colombo, grande missionario del Pime. Sarà ricordato come uno dei principali operatori sociali tra i parìa e come fondatore di numerose parrocchie e diocesi.
Nel 1965, verso la conclusione del Vaticano II, la dichiarazione "Nostra aetate" sancì che era giunto il tempo, per la chiesa, di "esaminare con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non cristiane".
Nostra aetate al n. 4 afferma che il legame spirituale della chiesa con l'ebraismo è misterioso e profondo.
"La chiesa di Cristo infatti riconosce che gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei Patriarchi, in Mosè e nei Profeti".
Il presente studio esamina i modi in cui questa parte del documento conciliare è stata recepita all'interno della chiesa italiana e fino a che punto la sua recezione ha prodotto un pensiero teologico aggiornato, secondo i dettami del concilio.
Oltre alle principali iniziative in ambito ecclesiale, l'autore prende in considerazione quanto prodotto dall'editoria cattolica sul tema del dialogo cristiano-ebraico nei quarant'anni dal 1966 al 2005. L'autore sostiene che l'incontro con il popolo d'Israele deve proseguire con maggiore coraggio e apertura, così che l'autocoscienza ecclesiale sia capace di "rivedere le nostre categorie teologiche, liturgiche, morali, ecclesiologiche, ecumeniche".
Prefazione di Paolo De Benedetti
Postfazione di Piero Stefani
Tra i Vangeli sinottici, "Matteo" appare come il più polemico verso il popolo ebraico.
Fin dove è possibile, e lecito, attribuire certe espressioni a Gesù? E se fossero invece il riflesso delle problematiche vissute dalla comunità matteana?
L'Autore, al fine di smontare gli ostacoli al dialogo con l'ebraismo - e con ogni espressione religiosa, dal buddhismo al candomblé - ci offre un prezioso strumento di interpretazione socio-spirituale di Matteo. Lo fa con rigore, "masticando" per noi le conoscenze attuali dell'esegesi e della storia, ma con un linguaggio discorsivo e "affettivo".
Un libro di narrativa autobiografica da cui emergono gli stili di vita e la cultura del popolo Tuareg. Mano Dayak, Tuareg originario dell'Air, e strappato dal suo accampamento nel deserto e costretto a imparare sui libri imposti dall'amministrazione coloniale del Niger una cultura che non gli appartiene. Emigra in Francia e negli Stati Uniti, dove perfeziona gli studi e intesse relazioni con gente comune ed esponenti politici che lo sosterranno nella difesa del popolo tuareg. Negli anni '70 e '80 porta all'attenzione dei popoli occidentali il dramma dei Tuareg, fondando associazioni, attraverso i media, creando un'agenzia di viaggi e sostenendo la Parigi-Dakar, cui partecipano gli amanti del deserto che egli appassiona alla sua causa. Torna in Niger nel 1990 e con amici fonda il partito UDPS. Dopo anni di negoziati, decide di avvicinarsi alla guerriglia e porta la Resistenza Armata alla firma degli accordi di Ouagadougou nel 1995. Purtroppo muore nello stesso anno in un incidente aereo.
L’Occidente cristiano ha ancora un dovere missionario nei confronti del resto del mondo? Ha ancora senso, al giorno d’oggi, mantenere un movimento che ha le sue radici e i suoi capisaldi nel lontano Ottocento?
"Ho incontrato un ragazzo torinese che stava partendo per la Mongolia. Non gli ho chiesto che cosa ci andava a fare, ma me lo sono chiesto io. Il punto è sempre questo. Cosa ci va a fare un ragazzo di 25 anni, con una grande fede, con molto spirito evangelico, in Mongolia? Una persona come me non se lo domanda perché pensa che il giovane non ci debba andare – è libero di farlo – ma il problema che pone la sua scelta è antropologico. Tra l’altro mi ha raccontato che è là con un collega del Camerun, e con altri tre confratelli di altri continenti. Un esempio sublime di cosmopolitismo, e non a Ulan-Bator, la capitale, ma in un posto sperduto dell’interno. Sembra un modello di sopravvivenza interetnica.
La domanda viene spontanea: che ci vanno a fare persone così quando all’interno della Mongolia la religione dominante è lo sciamanesimo, la cultura della terra? Così pure mi domando: perché gli indios yanomami devono imparare ad andare a messa? O i mongoli a confessarsi?
È una domanda – e non marginale – che mi pongo dal punto di vista antropologico, senza sminuire la buona fede di quelli che partono per la missione".
Da simili domande è nato questo libro. Temi a tutto campo sulla missione, i cambiamenti in atto, la crisi dei riferimenti tradizionali, i tentativi di rinnovamento, gli ostacoli che lo impediscono. Una discussione appassionante che, come il libro, ha l’unico scopo di aiutare a riflettere. E di proporre qualche piccola risposta.
Contributi di: Raniero La Valle, Maurizio Chierici, Maria Teresa Ratti, Paolo Boschini, Mario Menin, Nicola Colasuonno.
Nel documentario allegato, Professione Missionario, padre Marino Rigon esprime il senso dei suoi 55 anni in Bangladesh. Ha edificato una sorta di città-giardino per l’istruzione e la salute della popolazione di Shelabunia, è il grande traduttore di Tagore in italiano, ama e valorizza la cultura della gente tra cui vive, celebra in una chiesa decorata con simboli di religioni diverse. E ultimamente ha tradotto Pinocchio in bengali, una favola particolarmente accessibile alla sua gente. È dopo la visione di questo film che si è scatenato il dibattito di cui rende conto questo libro.
Professione Missionario
ideato e diretto da Mario Ghiretti, fotografato da Pier Paolo Pessini, montato da Nicola Tasso, prodotto da Emi. In DVD - durata 33’
Munari Giovanni - Ghiretti Mario
• Giovanni Munari, comboniano, è dal 2008 direttore dell’Emi. Per trent’anni è stato missionario in Brasile, a Salvador, Rio de Janeiro e São Paulo, cercando nuove forme di dialogo e incontro con il mondo afrobrasiliano e le realtà di emarginazione delle metropoli latinoamericane. Ha operato a lungo anche nel settore della comunicazione, dirigendo un giornale e una rivista.
• Mario Ghiretti, formatosi presso il Teatro Universitario di Parma, di cui divenne direttore nel 1969, dagli anni Ottanta utilizza la tecnica multivisiva come strumento narrativo. Sceneggiatore, produttore e documentarista, partecipa nel 1986 alla Biennale di Venezia e nel 1988 al Photokina di Colonia.
A cura del Comitato italiano decennio 2001-2010 per una cultura di nonviolenza e di pace per i bambini del mondo.
Target:
Per tutti.
Contenuti:
Un fumetto per scoprire, giocando insieme ai protagonisti delle storie, che c'è sempre un'alternativa alla violenza.
Postfazione di Daniele Novara. Disegni di Mirco Maselli.
Questo libro racconta i misfatti di una multinazionale e la risposta della rete di resistenza popolare che vi si oppone. La multinazionale si chiama Vale, il suo piatto forte è il ferro. Che viene estratto in Brasile ma è quello che entra nel cemento armato delle nostre case, nella ghisa dei nostri motori, nell'acciaio delle nostre pentole. Vale, infatti, lo esporta in tutto il mondo.
Questo libro racconta i misfatti di una multinazionale e la risposta della rete di resistenza popolare che vi si oppone.
Ad attirare l'attenzione sulla gravità dei danni sociali e ambientali provocati da Vale è stata la comunità comboniana del Brasil Nordeste. Missionari che ogni giorno odono le grida di chi si ammala per l'inquinamento, di chi finisce sotto i treni dell'azienda, di chi lavora da schiavo nelle carbonaie, di chi ha perso il lavoro perché non serve più. E non hanno potuto tacere, come testimoni del regno di Dio che è amore, giustizia, pace.
La denuncia ha dato vita alla campagna "Sui binari della giustizia", oggi estesa a livello mondiale con la partecipazione delle vittime di Vale di altri paesi: Mozambico, Perù, Canada, Indonesia... Anche in Italia si è costituito un gruppo di sostegno.
Le multinazionali fondano il loro potere sul denaro. I piccoli lo fondano sulla partecipazione e sulla forza di volontà. Nessun potere, neanche il più temibile, può rimanere in piedi se tutti insieme diciamo no.
Missione non è solo partenza e annuncio di salvezza a popoli lontani. La sua evoluzione e le sue declinazioni camminano assieme alla società e alla storia fino a porgere la domanda essenziale: la missione ha ancora un senso?
Il viaggio" in una prospettiva interculturale: incontrare attraverso le varie religioni, mitologie, culture e letterature, la pluralità delle esperienze umane e della relatà. "
Il secondo numero di Ad Gentes del 2010 sul tema della inculturazione.