La missione è compito di ciascun cristiano. Ma non perché costituisca un dovere, bensì in quanto è naturale riespressione della bellezza sperimentata nell'aderire al Vangelo. "Abbiamo ricevuto un bene che non vogliamo né possiamo conservare solo nel nostro intimo" scrive Victor Manuel Fernàndez, il "braccio destro" di papa Francesco in campo teologico. L'annuncio missionario nasce dalla frequentazione con Gesù e si esplicita nella ricerca del regno di Dio. Si è realmente discepoli del Maestro che incontrava tutti e a tutti offriva speranza quando si vive l'impellenza di "uscire" davvero dal proprio guscio per testimoniare a ciascuno la "gioia del Vangelo".
La scoperta di Gesù Cristo è sempre un'incredibile avventura umana. Lo testimoniano le storie di vita e di fede che Tiziano Tosolini ha raccolto in queste pagine. Si tratta di uomini e donne come tanti, dipendenti di banche o ragazzi scapestrati, commercianti o diplomatici, provenienti da alcune delle grandi tradizioni religiose dell'Oriente: buddhismo, islam, shintoismo. I modi e le occasioni con i quali queste persone hanno incontrato la voce di Cristo sono i più diversi: la lettura casuale di una vecchia Bibbia, la malattia di una persona cara, la gioia contagiosa di un credente, l'invito gentile di un missionario. Il battesimo diventa così il traguardo di una ricerca interiore profonda e autentica. Al contempo, è il punto di partenza per un'esistenza rinnovata, come afferma Elisabetta, una donna di Taiwan: «Quando ho ascoltato la voce di Dio, le ho creduto e l'ho accolta: nella mia vita tutto è cambiato». «Credere richiede sempre un'adesione personale, ma è anche riconoscere che il Signore non si stanca mai di cercarci e che, nonostante le nostre resistenze, alla fine ci scova sempre». L'ammissione di Naohiko Watanabe, neo-cattolico del Giappone, ci fa toccare con mano lo stupore che il cristianesimo suscita ancora nella nostra epoca. E restituisce, a noi cristiani occidentali spesso stanchi e disillusi, la bellezza inedita e sconvolgente del Vangelo incontrato per la prima volta. Prefazione di Luis Antonio Gokim Tagle.
L’Amazzonia non è un mondo altro, lontano ed esotico. È lo specchio del nostro. Ed è una questione di vita o di morte. Nostra, loro, di tutti.
Oro, petrolio, rame, legname, coltivazioni intensive. Le sfavillanti ricchezze dell’Amazzonia oggi sembrano assumere i colori tetri della sua rovina. Lo sfruttamento dei beni naturali in quell’area del pianeta causa una spoliazione drammatica delle sue risorse che interessa – letteralmente – tutto il mondo: ogni cinque bicchieri d’acqua che beviamo, uno viene dall’Amazzonia. Ma questa non è solo una questione ecologica: i drammi sociali generati da tale abuso selvaggio stanno sconvolgendo popolazioni indifese, lasciate in balia della legge del più forte. Lucia Capuzzi e Stefania Falasca, giornaliste che non si rassegnano al sentito dire, hanno seguito il corso del Rio delle Amazzoni. E qui raccontano la terra amazzonica e i popoli che vi abitano tramite un prisma di situazioni-limite, ad esempio lo sfruttamento selvaggio delle miniere di rame nella Cordillera ecuadoriana e i traffici di legname che grondano sangue sulla Triple frontera tra Colombia, Brasile e Perù. Danno voce a chi resiste alla forza dell’agrobusiness in Brasile e prestano ascolto agli indios che rifiutano di abiurare al proprio stile di vita. Il racconto delle ferite dell’Amazzonia odierna, che troviamo in queste pagine, è illuminato dalle storie delle tante persone che ogni giorno lottano perché la bellezza di quella terra e la dignità di quelle genti restino vive e continuino a parlarci.
«I reportage di Lucia Capuzzi e Stefania Falasca con coraggio ci fanno entrare dentro ai progetti di colonizzazione dell’Amazzonia animati dallo spirito di dominio e di rapina: venire a sfruttare, per poi andarsene con le valigie piene» card. Cláudio Hummes
17 ottobre 1998. Jacques Dupuis, gesuita, uno dei teologi più famosi al mondo, professore all’Università Gregoriana di Roma, viene sollevato dall’insegnamento: l’ex Sant’Uffizio lo accusa di «gravi errori, ambiguità dottrinali e opinioni pericolose». Scoppia il «caso-Dupuis», che vede la Congregazione per la dottrina della fede guidata dal cardinal Ratzinger mettere sotto accusa il teologo sostenitore di una visione positiva della pluralità delle fedi. Jacques Dupuis vive sulla propria pelle, fino alle estreme conseguenze (lo stress del processo vaticano gli ha causato scompensi fisici che ne hanno causato la morte), l’anonima durezza dell’inquisizione ecclesiastica: delazioni, indagini segrete, accuse poi ritrattate, terra bruciata intorno, continui sospetti.
Per 36 anni missionario e insegnante in India, consulente della Santa Sede per il dialogo interreligioso, per più di dieci anni docente alla Gregoriana, poco prima di morire padre Dupuis aveva concesso un’ampia intervista al giornalista americano Gerard O’Connell, rimasta finora inedita. In queste pagine egli ricostruisce la sua vicenda biografica ed intellettuale, facendo nomi e cognomi di quanti hanno voluto piegarne – senza successo – la profezia: l’avversione del Vaticano per la sua teologia del pluralismo religioso; le ragioni in base alle quali ne ha confutato le accuse grazie all’appoggio di vari colleghi; il confronto con Ratzinger e i suoi collaboratori (i cardinali Bertone, Amato e altri), tutti incapaci, secondo il teologo belga, di cogliere la verità della sua proposta, che univa l’indefessa fede nell’unicità salvifica di Gesù Cristo all’apertura verso le altre religioni comprese come vie di salvezza.
Si tratta quindi di un libro molto importante che, attingendo a documenti vaticani segreti, racconta le modalità dei processi dottrinali sotto Giovanni Paolo II e il cardinale Joseph Ratzinger, per 25 anni custode dell’ortodossia cattolica e in seguito eletto papa. Leggere queste pagine significa fare i conti con una vicenda non sanata nella chiesa, i cui vertici hanno messo sotto accusa un uomo che amava affermare: «Posso dire in tutta sincerità che Gesù Cristo è stato l’unica passione della mia vita».
«L’ultimo testamento di Jacques Dupuis» Il Regno
«L’opera di Dupuis ha toccato un nervo scoperto» La Lettura – Corriere della Sera
«Bianco e nero, e basta: non funziona così. E soprattutto non funziona così alcun dialogo. L'analisi delle differenze è nemica della spettacolarizzazione emotiva e della mobilitazione. Quando si vive in regioni come la nostra, allora tutto diventa più frammentario, perché noi facciamo altre esperienze». Dal 2003 Paul Hinder è vescovo nella Penisola araba, la terra sacra per ogni musulmano perché qui Maometto fondò la religione ispirata dal Corano. In queste pagine, per la prima volta un vescovo cattolico racconta cosa significa vivere da cristiani nei Paesi governati dagli sceicchi dei petrodollari, dove la fede islamica avvolge ogni aspetto della vita e non esiste libertà religiosa, ma solo di culto. La testimonianza del vescovo Hinder è preziosa perché racconta in presa diretta le difficoltà, le speranze e le conquiste di quel dialogo tra cristiani e musulmani che resta una delle chiavi per la pace nel mondo. Alieno da ogni faciloneria nel confronto interreligioso, realista nell'affrontare gli snodi di una convivenza socio-religiosa che interpella anche l'Occidente, Hinder offre un esempio di quell'ottimismo della speranza proprio di chi vive la fede cristiana come ragione di vita. E per questo non ha né paura dell'altro né vergogna della propria tradizione.
Che il dialogo tra le diverse religioni sia una necessità storica, soprattutto per raggiungere la riconciliazione fra i popoli e scongiurare nuove guerre planetarie, è un dato assodato. Jacques Dupuis, però, si è spinto ben oltre nella sua ricerca intellettuale, arricchita da 40 anni come missionario in India: le religioni non cristiane possono diventare vie di salvezza in nome dello stesso Gesù Cristo. È stata questa nuova prospettiva a causare al teologo belga l'accusa di «eresia» da parte del Vaticano di papa Wojtyla, tramite il consigliere di quest'ultimo, il cardinale Joseph Ratzinger. In questo libro, che per la prima volta mette a disposizione alcune riflessioni del gesuita del dialogo, Dupuis presenta in modo chiaro e conciso la sua teologia cristiana delle religioni. Ovvero, la convinzione che «i membri di altre tradizioni religiose sono salvati attraverso Gesù Cristo all'interno di queste tradizioni e attraverso di esse». Una rivoluzione nel pensiero cattolico, che Dupuis ha pagato con l'ostracismo della gerarchia. Ma che resta feconda per l'azione della chiesa, chiamata a misurarsi con un orizzonte ben più vasto di sé stessa: quello del Regno di Dio, che ha confini ampi come la storia del mondo.
Il Vecchio Continente pare avvitato su sé stesso. L'unità politica è lontana, la finanza ha preso il sopravvento in una palese spinta antidemocratica, la deriva turbocapitalistica sta minando lo stato sociale. L'immigrazione viene vissuta come minaccia, le spese militari si impennano. L'Europa come l'avevano sognata i suoi fondatori non c'è. Ci sarà? Un missionario, che dall'Africa è tornato nel cuore dell'Europa, traccia un cammino di rinascita del sogno europeista: meno finanza e più beni comuni, maggior impegno eco-solidale e meno austerità.
«Aveva fabbricato tutte le finestre, le lanterne, le vetrate, i candelabri e le croci di tutte le chiese». Per questo, scrisse Tiziano Terzani, il missionario fratel Felice Tantardini era «conosciuto da tutti», in Birmania, come «fabbro di Dio». Quanto al nome Felice, egli stesso lo aveva assunto a ideale della sua vita: «Sforzarmi di essere felice, sempre e a ogni costo, intento a far felici anche gli altri». Pronto a spostarsi, a piedi, da una missione all'altra perché tutti lo volevano, in missione è rimasto settant'anni. Le sue memorie autobiografiche lo mostrano instancabile, tenace, fedele nel quotidiano, al servizio di chi aveva bisogno. Un santo, secondo la fama che tuttora lo accompagna e che spinge tanti a implorarne l'intercessione. Sempre armato di un «sorriso sereno», come di chi - disse il confratello padre Clemente Vismara, oggi beato - «è amico di Dio, amico degli uomini e nemico di nessuno».
Il martire della porta accanto. Lo si può definire così Daniele Badiali, missionario in Perù con l'Operazione Mato Grosso, una realtà giovanile dedita alla solidarietà con i poveri. Una figura splendida e drammatica, Daniele. Da giovane suonava le canzoni di Guccini e Bennato, da prete usava l'amata chitarra per animare le messe sulle Ande, dove arriva nel 1991. Nel 1997 viene assassinato in Perù, quando si offre volontario al posto di un'amica durante un rapimento. Daniele - di cui è in corso la causa di beatificazione - è un uomo moderno, la cui vicenda ha entusiasmato molte persone per la sua dedizione totale agli ultimi, non per pietismo bensì secondo una solidarietà autentica: «Vivere in mezzo ai poveri vuol dire scoprire che il vero povero sono io, che io ho bisogno di essere aiutato, salvato più di loro». Mentre annunciava il Vangelo, padre Badiali cercava in maniera incessante Dio. Un amore appassionato per Dio e i poveri: Gerolamo Fazzini, che ha incontrato amici e parenti di Daniele in Perù e in Italia, ricostruisce su questi due binari l'avventura di padre Badiali. Un credente autentico, dalla fede inquieta e mai appagata.
«Il sogno missionario di arrivare a tutti» non è realizzabile se la comunione nella Chiesa non si configura come «comunione missionaria». Basterebbero queste parole di papa Francesco (cfr. Evangelii gaudium, n. 31), in chiara sintonia con i suoi predecessori, per dare ragione della ricerca elaborata da p. Domenico Arena: ripensare alla luce del concetto di comunione missionaria l’insieme della teologia della missione. Gli studi di missiologia dell’autore e la sua conoscenza approfondita del magistero conciliare e postconciliare si incontrano in questo volume con la missione vissuta sul campo in Africa, in dialogo con le Chiese e le tradizioni religiose locali e nel contesto della globalizzazione.
In tal modo questo saggio va al di là dalla dimensione puramente accademica, arrivando a concludere che la comunione missionaria «non è che il contesto in mezzo al quale si mostra la presenza di Gesù». Ogni volta che «con il nostro amore reciproco mettiamo le basi per vivere in comunione, Gesù è in mezzo a noi».
Protagonista di un'avventura umana e missionaria straordinaria, padre Gheddo ha denunciato con forza i drammi della fame, delle ingiustizie globali, delle guerre che devastano il mondo. E ci ha raccontato, con genuino stupore, i miracoli realizzati dallo Spirito Santo alle più diverse latitudini, in quelle giovani Chiese da cui il cattolicesimo occidentale ha molto da imparare. Ha scelto il Pime, nel lontano 1945, affascinato dall'ideale di annunciare il Vangelo "fino agli estremi confini della terra". Avrebbe voluto partire per l'India, ma i suoi superiori decisero diversamente. Così, per tutta la sua vita, la missione di padre Piero Gheddo si è tradotta in un giornalismo appassionato e militante. Migliaia gli articoli scritti per testate cattoliche e laiche; un centinaio i libri pubblicati (il primo è uscito nel 1956). Oltre 80 i Paesi che il missionario ha toccato nel corso dei suoi innumerevoli viaggi, spesso diventando testimone in prima linea delle più terribili pagine del Novecento: la Rivoluzione culturale in Cina, la guerra in Vietnam, l'apartheid in Sudafrica, le dittature militari in Sudamerica, il genocidio in Ruanda. Scoprendo che il Vangelo fa sempre notizia.
Mettere a confronto le missioni cristiana e islamica si rivela urgente in particolare a fronte dei drammatici avvenimenti che stanno attraversando l'Europa, l'Africa e il Medio Oriente. Mentre essi vanno assumendo in modo preoccupante l'aspetto di guerre di religione, basate su discussioni spesso teologicamente infondate, ma legate a pregiudizi culturali e storici, la presenza di molti migranti è vissuta sovente come un "problema" cui dare una soluzione in termini di ordine pubblico o di assistenza sociale. Si avverte dunque l'esigenza di un approccio più globale al fenomeno. I saggi raccolti in questo libro operano una comparazione delle missioni cristiana e islamica nella fascia sub sahariana e riflettono il lavoro sul campo e allo stesso tempo la ricerca accademica dei vari autori. Ne discende un contributo originale sulla complessa questione dell'evangelizzazione cristiana e della missione islamica in Africa, attraverso un'indagine storica e teologica critica dalla quale emergono le diverse modalità di inculturazione della fede e del relativo progetto di società soggiacente a ciascuna religione tra le popolazioni dell'Africa.