Come per Omero e Saffo, in Dylan la musica si fa poesia. O viceversa. È questa in sintesi la motivazione con cui l’Accademia di Svezia annuncia il 13 ottobre 2016 il conferimento del Premio Nobel per la Letteratura al cantautore più amato del mondo. Il resto è storia nota: Dylan non va a ritirare il premio a causa di impegni presi in precedenza, la sua lettera di ringraziamento viene letta dall’ambasciatrice degli Stati Uniti in Svezia, Patti Smith esegue A Hard Rain’s A-Gonna Fall e si commuove. Intanto l’eterno dibattito si riaccende: una canzone può essere letteratura? In queste pagine, che contengono la lettera di ringraziamento e il discorso tenuto all’Accademia di Svezia durante una cerimonia privata, non si trovano le risposte di Dylan a questa domanda, ma c’è il suo rapporto con quello che ha letto e quello che ha ascoltato, con le storie che ha amato, con i linguaggi che lo hanno nutrito. Perché se è vero che “mai una volta ho avuto il tempo di chiedermi se le mie canzoni sono letteratura”, è anche vero che le pagine dei libri ti danno “un modo di guardare la vita, una comprensione della natura umana e un metro con il quale misurare le cose”. È così che, nel suo modo di guardare la vita, ci sono Omero e Buddy Holly, Moby Dick e Niente di nuovo sul fronte occidentale. E soprattutto ci sono incontri e ricordi, perché “le canzoni sono vive nella terra dei vivi” e Dylan, come Omero, invoca la Musa chiedendole semplicemente di cantare, attraverso la sua bocca, una storia. Nel suo discorso per il Nobel Dylan non parla solo del rapporto tra letteratura e musica, ma del rapporto tra letteratura e vita.
In una sonnolenta cittadina del profondo Sud degli Stati Uniti l'avvocato Atticus Finch è incaricato della difesa d'ufficio di un afroamericano accusato di aver stuprato una ragazza bianca. Riuscirà a dimostrarne l'innocenza, ma l'uomo sarà ugualmente condannato a morte. Questo, in poche righe, l'episodio centrale di un romanzo che da quando è stato pubblicato, oltre cinquant'anni fa, non ha più smesso di appassionare non soltanto i lettori degli Stati Uniti, ma quelli di tutti i paesi del mondo dove è stato tradotto. Non si esagera dicendo che non c'è americano che non l'abbia letto da bambino o da adolescente e che non l'abbia consigliato a figli e nipoti. Eppure non è un libro per ragazzi, ma un affresco colorito e divertente della vita nel Sud ai tempi delle grandi piantagioni di cotone, dei braccianti neri che le coltivavano, delle cuoche di colore che allevavano i figli dei discendenti delle grandi famiglie dell'Ottocento, della white trash, i "bianchi poveri" abbrutiti e alcolizzati; e anche, purtroppo, delle sentenze sommarie di giurie razziste e degli ultimi linciaggi americani della storia. Quale il segreto della forza di questo libro? La sua voce narrante, che è quella della piccola Scout, la figlia di Atticus, una Huckleberry Finn in salopette (dire "in gonnella" sarebbe inesatto, perché Scout è una maschiaccia impertinente e odia vestirsi da donna) che, ora sola ora in compagnia del fratello maggiore e del loro amico più caro (ispirato all'autrice dal suo amico d'infanzia Truman Capote), ci racconta la storia di Maycomb, Alabama, della propria famiglia, delle pettegole signore della buona società che vorrebbero farla diventare una di loro, di bianchi e neri per lei tutti uguali, e della vana battaglia paterna per salvare la vita di un innocente.
Maycomb, Alabama. La ventiseienne Jean Louise Finch "Scout" torna a casa da New York per visitare l'anziano padre, Atticus. Ambientato sullo sfondo delle tensioni per i diritti civili e il trambusto politico che negli anni cinquanta stanno trasformando il Sud degli Stati Uniti, il ritorno di Jean Louise prende un sapore agrodolce quando viene a sapere verità inquietanti sulla sua famiglia, sulla cittadina e sulle persone che le sono più care. Tornano a galla ricordi dell'infanzia, e i suoi valori e convincimenti sono messi seriamente in discussione. Con il ritorno di molti personaggi emblematici de "Il buio oltre la siepe", "Va', metti una sentinella" cattura perfettamente le sofferenze di una giovane donna e di un mondo costretti ad abbandonare le illusioni del passato, una transizione che può solo essere guidata dalla coscienza di ciascuno. Scritto a metà degli anni cinquanta, "Va', metti una sentinella" permette una comprensione più completa e più ricca di Harper Lee.
In un normale weekend di Pasqua, Frank Bascombe - un uomo ancora giovane che ha rinunciato al mestiere di scrittore per diventare giornalista sportivo incontra la sua ex moglie sulla tomba del loro primogenito, Ralph, come in occasione del suo compleanno usano fare da quando è morto. Bascombe, prima della tragedia e del conseguente divorzio, si era sistemato, aveva preso moglie e si era trasferito in una grande casa nella piccola città di Haddam, in New Jersey. Desiderava una vita piacevole, tranquilla nelle sue ripetitive abitudini, in un mondo provinciale al sicuro da scosse e preoccupazioni, come tanti altri americani middle class. Gli eventi però lo obbligano ad affrontare nuove e impreviste, talora drammatiche, situazioni.
Il libro venne pubblicato nel 1898, dapprima a puntate e solo in seguito in volume. Una giovane istitutrice viene chiamata per seguire due bimbi rimasti orfani e affidati alle cure di uno zio che, per diverse ragioni, non può occuparsi di loro. Questi assume la giovane donna a una sola condizione: di non contattarlo mai, qualsiasi cosa succeda ai ragazzi. Pertanto dovrà risolvere da sé ogni tipo di problema. Sempre! L'istitutrice fa quindi la conoscenza dei due ragazzi di ritorno dal college. Sono veramente intelligenti e adorabili. Lei si appassiona al lavoro e tutto sembra procedere per il meglio... sennonché cominciano ad apparire per la casa, sempre più sinistramente, due figure: un uomo con i baffi e una donna vestita a lutto... Un classico della letteratura gotica che ha ispirato decine di film e miniserie tv, opere liriche e teatrali, persino fumetti, qui tradotto dalla vibratile penna di Luigi Lunari.
Febbraio 1862, la Guerra civile è iniziata da un anno, e il presidente degli Stati Uniti, Abraham Lincoln, è alle prese con ciò che sta assumendo tutti i contorni di una catastrofe. Nel frattempo Willie, il figlio prediletto di undici anni, si ammala gravemente e muore. Verrà sepolto a Washington, nel cimitero di Georgetown. A partire da questa scheggia di verità storica - i giornali dell'epoca raccontano che Lincoln si recò nella cripta e aprì la bara per abbracciare il figlio morto - Saunders mette in scena un inedito Aldilà romanzesco popolato di anime in stallo. Il Bardo del titolo, un riferimento al «Libro tibetano dei morti», allude al momento di passaggio in cui la coscienza è sospesa tra la morte e la prossima vita. È questo il limbo in cui si aggirano moltitudini di creature ancora troppo attaccate all'esistenza precedente, come Willie, che non riesce a separarsi dal padre, e il padre, che non riesce a separarsi dal figlio. Accompagnati da tre improbabili guide di ascendenza dantesca, assisteremo allo sconvolgimento prodotto nel mondo di queste anime perse dall'arrivo di Willie Lincoln, che è morto e non lo sa, e di suo padre, il presidente, che è come morto ma deve vivere per il bene del proprio paese. Sentiremo le voci - petulanti, nostalgiche, stizzose, accorate - degli spiriti e il controcanto della storia. Leggeremo nei pensieri di Lincoln e nella mente di suo figlio, uniti da un amore che trascende il dolore e il distacco fisico. Il romanzo si svolge in una sola notte, eppure abbraccia le epoche e arriva fino a noi, spaziando in un territorio dove tutto è possibile, dove la logica convive con l'assurdo, le vicende vere con quelle inventate, dove tragedia e farsa non sono due categorie distinte e separate ma un'unica realtà indifferenziata e contraddittoria, che proprio per questo appare spaventosa e viene negata. Come si può vivere, amare e compiere grandi imprese, sapendo che tutto finisce nel nulla?
Sullo sfondo di una California ricca e corrotta, pullulante anche di miserabili in attesa del colpo grosso, Philiph Marlowe viene sguinzagliato sulle tracce di un marito scomparso. Si imbatte in un ex carcerato, uscito di galera dopo otto anni di detenzione, e da lui viene incaricato di trovare la sua donna, anche lei scomparsa. Ne nasce una vicenda a tinte forti, condita di ricatti e violenza, lusso e una lunga catena di delitti.
Uscito nel 1920, "L'età dell'innocenza" vale alla sua autrice, Edith Wharton, il premio Pulitzer: sarà la prima donna a vederselo assegnare. Il libro è una critica spietata alla convenzionalità dell'alta società newyorchese: una vera aristocrazia immobiliare in cui le famiglie sono le stesse da generazioni, le donne un ornamento e gli uomini non fanno nulla neppure quando fingono di andare in ufficio. I ricchi personaggi dell'"Età dell'innocenza" vivono tutti nello stesso quadrilatero di strade, e d'estate si spostano tutti quanti a Newport. Sono sempre insieme, sono privilegiati e severi al contempo, e non concepiscono l'esistenza di un mondo fuori dal loro. Il mondo, ovviamente, progredisce, cambia e rischia di lasciarli indietro. Ai cancelli della vecchia New York premono l'aristocrazia imprenditoriale e bancaria - i Morgan, i Lehman, i Guggenheim -, gli operai migrati dall'Europa e soprattutto stili di vita dinamici e aggressivi. Il protagonista del romanzo, Newland Archer, è un giovane raffinato che nella prima parte vediamo emanciparsi lentamente dai valori della vecchia New York ma che poi si trova costretto a sposare una donna che non ama assolutamente.
Nel profondo Sud degli Stati Uniti, tra i ruggenti anni Venti e gli anni desolati della Grande Depressione, una strana coppia percorre le strade assolate del Mississippi e dell'Arkansas su una Ford a due porte. Lui è il rappresentante di una ditta di amido per il bucato. Lei è sua moglie. Si sono conosciuti giovanissimi, si sono sposati, si amano e hanno deciso di viaggiare insieme per non doversi separare. E così, per una ventina d'anni, passeranno da un grossista all'altro, da un albergo all'altro, da un ristorante all'altro (festeggiando ogni tanto con qualche bevuta, alla faccia del Proibizionismo), felici di una vita che non potrebbe essere migliore. L'imprevista gravidanza della moglie cambia tutto. L'arrivo di un figlio inatteso separa inevitabilmente quella coppia così unita, costringendo l'uno a un pesante lavoro solitario, l'altra a una vita stanziale in città. Ma quel figlio, peraltro graditissimo e accolto con immensa gioia da entrambi i genitori, non è un ragazzo qualunque, e nel corso degli anni si affermerà come importante scrittore americano contemporaneo: l'autore di questo libro, Richard Ford.
Frank Bascombe ha vissuto una vita non più avventurosa di quella di tanti altri americani. Giornalista sportivo, agente immobiliare, due matrimoni, due figli grandi che vivono lontano, molti traslochi. A sessantotto anni, Frank si e ritirato a vita privata, ha venduto la casa sull'oceano dove si era trasferito con la seconda moglie ed è tornato a Haddam, la città che forse racchiude il segreto di tutti i suoi dispiaceri. L'uragano che un giorno d'autunno si abbatte sulla costa del New Jersey distruggendo la ridente stazione balneare dove Frank aveva creduto di poter esorcizzare i suoi fantasmi ne diventa in un lampo il principale evocatore. Il passato ritorna e parla con la voce di amici falsi, traditori o moribondi. Se la vita è davvero, come riflette Frank, "una questione di sottrazione graduale", che altro ti resta quando una catastrofe naturale ti ha sottratto tutto, compresa la casa dove hai trascorso i migliori anni della tua esistenza?
Nel novembre 2007 va in scena all'Auditorium Parco della Musica di Roma Moby Dick. Il reading. Il progetto diventa in seguito un libro in cui Alessandro Baricco traduce e commenta alcune scene significative del capolavoro di Herman Melville disvelandone l'architettura. Baricco individua una nuova possibile struttura del romanzo, che restituisce al lettore il privilegio di leggere, ascoltare, gustare insieme scene, eventi e dialoghi lontani tra loro. Ecco quindi che l'ingaggio di Ishmael - pagine ricche di ironia che virano spesso verso la commedia - viene accostato alla partenza del Pequod: il lento allontanarsi dalla sicurezza del porto che segna l'inizio del cambio di registro, portale d'ingresso nella tragedia. La celebre scena del doblone, quella in cui l'oscuro capitano Ahab convince l'intera ciurma a perseguire una sua ossessione privata - scovare e sconfiggere la Balena Bianca - viene qui rivisitata e riletta in chiave teatrale. Baricco in questo caso amplifica la difformità stilistica del romanzo. L'immediatezza scenica, i dialoghi secchi in cui le battute sono precedute dal solo nome del personaggio, le poche descrizioni che potrebbero far pensare a scarne didascalie ci introducono in un universo che non è più quello del romanzo, ma quello di una poesia "travestita".
Nella riserva di indiani ojibwe, resa familiare dai precedenti romanzi di Louise Erdrich, serpeggiano i timori per l'approssimarsi della fine del secondo millennio. Le famiglie di due sorelle si preparano ai festeggiamenti natalizi. Tutto sembra andare normalmente - a parte le paure ossessive del bug che tormentano Peter, uno dei due capifamiglia -, quando una tragedia ben più reale della prevista fine del mondo si abbatte sulla riserva: un giorno, andando a caccia di un cervo di cui ha seguito le tracce per tutta l'estate, il cognato di Peter, Landreaux, vede finalmente sbucare da un bosco la sua preda, spara, ma quando si avvicina scopre di aver ucciso non l'animale ma Dusty, suo nipote. Con questo inizio fulminante Louise Erdrich entra a spron battuto in un vasto labirinto. L'uccisione del bambino getta nella disperazione i genitori e pone l'altra coppia davanti a un dilemma: secondo le antiche tradizioni indiane, chi aveva privato una famiglia di un figlio poteva riparare affidandole un ragazzo equivalente. Chi meglio del figlio dell'assassino potrà alleviare in qualche modo il dolore di Peter e Nola? Detto, fatto: LaRose viene "ceduto" agli zii, nella speranza che questo valga anche a placare ogni sentimento di vendetta che covi nel loro animo.