Perché i versi di Leopardi risuonano così memorabili? Spiegarlo vorrebbe dire essenzialmente svelare il segreto della poesia e, al tempo stesso, traccerebbe il confine della non poesia. Nei "Canti", l'indeterminatezza del linguaggio poetico, le folgoranti intuizioni poetiche di Leopardi, l'espressione intermittente della sua visione del mondo, non cessano di sorprenderci. È la natura stessa della poesia che ci stupisce, e che la pone al di fuori della storia garantendone la durata nel tempo.
Bertolt Brecht non è stato solo uno dei più importanti uomini di teatro del Novecento, ma anche uno dei massimi lirici di lingua tedesca: lo dimostrano sia le poesie politiche sia - su un versante più personale e privato - i versi d'amore o esplicitamente erotici. Questa antologia è opera di un traduttore non occasionale, Gabriele Mucchi, pittore, architetto e designer che di Brecht fu amico personale. Si tratta di una scelta "guidata dagli interessi e dalle emozioni del traduttore", come ha scritto Cesare Cases nella prefazione alla prima edizione italiana di questo volume (nel 1986). "Ci sono poesie famose ma ne mancano di altrettanto famose e ce ne di meno famose e di ignote, spesso per causa di forza maggiore... Ci sono quelle erotiche, che la pruderie dei curatori aveva aspettato quasi trent'anni prima di rendere pubbliche, ma c'è anche la splendida A. M., da mettere accanto ai classici della delusione e della nostalgia amorosa". Oggi, ormai archiviati i furori ideologici del secolo breve, possiamo ammirare la limpidissima vena lirica di uno scrittore universalmente più noto per il suo acceso impegno politico.
Scritti con febbrile intensità, quasi il poeta sapesse di essere incalzato dal tempo, i versi di Keats scorrono con suggestiva musicalità risalendo i "nodi" del rapporto tra arte e vita, piacere e dolore. La ricchezza immaginativa, espressione dei canoni romantici, non scivola mai nel facile lirismo e rivela una sincera, autentica adesione alla vita. Con testo inglese a fronte.
Nel 1970 Pier Paolo Pasolini curò personalmente un volume di "poesie vecchie" tratte da "Le ceneri di Gramsci" (1957), "La religione del mio tempo" (1961) e "Poesia in forma di rosa" (1964). Considerava questa scelta come "un atto conclusivo di un periodo letterario per aprirne un altro" e su richiesta di Livio Garzanti ne scrisse l'introduzione, intitolandola "Al lettore nuovo". L'antologia - qui riedita integralmente con l'aggiunta di una breve nota proponeva un volume di poesie a sei anni di distanza dall'ultima raccolta pubblicata.
Quando nel 1985 apparve la prima edizione di questo "tutto Sbarbaro" a cura di Gina Lagorio e Vanni Scheiwiller, l'eco critica fu viva: l'opera poetica sbarbariana, che si poteva finalmente esaminare nel suo insieme, si confermava tra le fondamentali del Novecento. Aveva visto giusto Boine quando dalle colonne de "La Riviera ligure" aveva salutato in "Pianissimo" "una di quelle poesie su cui i letterari non sanno né possono dissertare a lungo, ma di cui si ricorderanno gli uomini nella vita loro per i millenni". Dopo Boine per i versi, fu Montale a giudicare nel 1920 la prosa di Sbarbaro nei "Trucioli", quel suo stile "di timbro inimitabile che si fa intendere anche attraverso il coro di cento altre voci".
"Ciò che Biagio Marin canta costantemente e inconsciamente è la tensione generatrice", ha scritto Pier Paolo Pasolini. La sua poesia, ha aggiunto Claudio Magris, costituisce "una risposta consapevolmente radicale alla crisi della lirica moderna". L'opera di Marin si muove tra questi due poli: un'autenticità istantaneamente comunicativa e una raffinata coscienza delle lacerazioni del nostro tempo; suo fulcro e chiave è un linguaggio che si sottrae a ogni compromesso, proteso verso quella "vita vera" di cui la lirica moderna constata e denuncia l'esilio. Il dialetto si cristallizza in una lingua poetica immediata, elementare, progressivamente assimilata a oggetti e orizzonti drasticamente semplificati.
Questo volume raccoglie i testi dell'ultimo ciclo di lezioni universitarie che Giacomo Debenedetti ha dedicato alla poesia del Novecento: dopo un capitolo introduttivo centrato sull'ermetismo di Mallarmé, si passa all'esame dei maggiori poeti italiani del secolo, dedicando particolare attenzione alla dimensione narrativa, quasi romanzesca, della lirica. Lo sforzo di lettura e di decifrazione del critico conduce a un'indagine tipologica, distinguendo il filone "ermetico" (Montale, Ungaretti, Luzi) da quello in cui il linguaggio assume una funzione "relazionale" (Saba, Penna, Noventa, Sereni); d'altra parte, come annota Alfonso Berardinelli nella sua prefazione, "spingendoci a leggere narrativamente e ragionevolmente anche la poesia più astratta e irragionevole, ne rende visibile il rovescio e la storia occulta". Questo saggio è stato pubblicato per la prima volta nel 1974, con una introduzione di Pier Paolo Pasolini ripresa anche in questa edizione.
La critica più attenta ha visto in Rebora, poeta e mistico, una "tra le personalità più importanti dell'espressionismo europeo", rilevandone il "vocabolario pungente, il registro d'immagini e metafore arditissimo" (Contini): tutta una novità stilistica, i cui risultati spesso non hanno l'eguale tra i poeti del nostro secolo. Ma nell'opera complessiva emerge anche quel singolare "colore umano" che ha tanto commosso i lettori più fraterni: Rebora possiede infatti "quella particolare rozzezza e timidità che è propria degli spirituali; uomini dall'inconfondibile accento, dal passo impreciso che non si dimentica" (Betocchi).
Questo volume raccoglie tutte le maggiori opere poetiche "italiane" di Amelia Rosselli: le opere giovanili in italiano, inglese e francese di "Primi scritti" (1980, ma risalenti al periodo tra il 1952 e il 1963); il poemetto "La libellula" (1959); le raccolte "Variazioni belliche" (1963), "Serie ospedaliera" (1969) e "Documento" (1976); il poemetto "Impromptu" (1981). Completano il volume alcuni testi tratti da "Appunti sparsi e persi" e a suo tempo inseriti nell'"Antologia poetica" pubblicata nel 1987.
Il volume, ristampa della settima edizione, ospita le raccolte poetiche pubblicate da Sandro Penna. In bilico tra un'espressione panica e solare dell'io e una regressione nell'infelicità e nel mistero, Penna "trascrive direttamente dal vissuto, riducendo a pochi suoni inimitabili una tastiera letteraria fatta di combinazioni miracolose di grazia visiva, pennello impressionista, traduzione greca, stile narrativo, canzonetta sentimentale..." La prefazione è curata da Cesare Garboli.
Nella raccolta il cammino verso un'impossibile consapevolezza pare voler scendere ancora più in profondità e insieme ampliare il proprio orizzonte seguendo diverse linee guida. In primo luogo riducendo l'apparenza ironica a favore di dubbi più radicali, per accettare il confronto aperto con la dimensione esistenziale, alla ricerca di un senso che la vita confonde e trascina verso mete non volute. Ancora, componendo i versi per scoprire nuove possibilità formali nella gabbia giocosa dell'acrostico e in composizioni apparentemente "d'occasione". Nella poesia di Erba può esplodere anche una violenza reattiva, condensata a volte fino all'epigramma; ad essa fa da contrappeso un fiducioso abbandono alla natura, sotto il segno della visitazione angelica o del nulla.