Gli "Inni" possono essere visti come l'autorealizzazione di una coscienza perfetta concepita da Novalis come un canto, una pura modulazione di quei toni intimi che prendono il nome di "Stimmungen", indeterminate sensazioni e sentimenti che rendono felici.
Seconda opera del progettato ciclo dei "Vinti", dopo i "Malavoglia", "Mastro-don Gesualdo" è un romanzo di costume. La parabola di Gesualdo Motta che da "mastro" (muratore) diventa "don" (ricco borghese) descrive il fallimento di una vita tutta dedita al culto della "roba", ma completamente aliena da affetti genuini e sinceri. Nel sovrapporsi chiassoso di voci che incrinano ogni valore sociale Verga sembra aver individuato il ritmo espressivo di un'umanità condizionata dal denaro e condannata alla solitudine. È una condizione di cui i personaggi non hanno coscienza, e questo fa di "Mastro-don Gesualdo" il primo romanzo italiano dell'alienazione borghese.
Con "Ifigenia in Taurine" Euripide porta il caos sulla scena sostituendolo all'ordine cosmico: gli equilibri sono rivoluzionati, le gerarchie sovvertite fino al ricatto posto da un uomo a un dio, i grandi scopi, le forti tensioni morali perdono consistenza e si degradano, diventano obiettivi circoscritti, personali, intrisi di egoismo. Goethe giudicò "Baccanti" la più bella delle opere di Euripide: ambigua e ricca di molteplici interpretazioni, è la tragedia della debolezza umana di fronte agli spietati e imperscrutabili disegni della divinità, il dramma della ragione che tenta di opporsi all'estasi dionisiaca, alla sua promessa di far svanire le sofferenze della vita.
"Una vita" è il racconto di una iniziazione impossibile. Giovanissimo impiegato di banca, da poco inurbato, che chiama "malattia" il suo disagio sociale e sogna il successo come riscatto, Alfonso Nitri coltiva il "sogno": il sogno a occhi aperti, la fantasticheria che blocca la presa di coscienza; il sogno notturno di intensa vividezza, in rapporto stretto ma imprecisabile con l'esperienza reale, che fornisce intermittenti illuminazioni ma anche complica e frantuma in labirintici percorsi interni la sua complessiva esperienza. L'enigma non è nei fatti, ma nella natura del personaggio e nella fertilità inventiva con la quale egli, rifuggendo dall'apparente gratuità dei suoi gestì, insiste nel decifrarsi, si contraddice, conforta se stesso, traveste l'esperienza.
Riconosciuto come il primo romanzo psicologico moderno, "La principessa di Clèves" è lo studio analitico e partecipe della vita interiore della protagonista, la registrazione sottile e meticolosa della sua complessità emotiva, del suo svolgersi misterioso e inatteso, fatto di repentine, impossibili felicità, di solitudini, di segreti abbandoni. Scrittrice di grande sobrietà e purezza stilistica, Madame de La Fayette avvolge i suoi personaggi in un meccanismo narrativo brillante e attento alla ricostruzione storica, particolarmente felice nella rappresentazione della vita di corte.
Anticonformista e ribelle nella vita come nella sua opera, Alfieri invade la scena letteraria italiana con una violenza espressiva del tutto nuova, che riflette il suo credo nella forza viva del sentimento, anzi del "forte sentire", unico motore delle grandi e nobili azioni e ingrediente primo e indispensabile della poesia. Le sue tragedie, così direttamente tese alla catastrofe, deliberatamente prive di intrecci complicati e solitamente dominate da un protagonista attorniato da pochi altri personaggi, hanno uno stile nudo ed essenziale, contraddistinto da una nota costante di eroica, prorompente energia.
Autentica novità nella letteratura cinquecentesca, il "Lazarillo de Tarmes", archetipo del romanzo picaresco, è anche e soprattutto una grande satira della società del tempo. Scritto con sobrio realismo e con sagace ironia, è uno dei testi fondamentali della letteratura spagnola ed è stato un punto di riferimento per la moderna narrativa europea.Vi si narrano le innumerevoli disavventure del piccolo Lazarillo, costretto per fame a servire padroni avari e insensibili, i suoi vagabondaggi e le molte astuzie escogitate per sopravvivere. Cresciuto, il giovane accattone riesce infine, superando o aggirando avversità e ostacoli, a trovare una stabilità sociale ed economica.
L'opera di Schiller fu per tutto l'Ottocento la vera opera "classica" della letteratura tedesca, veicolo dei valori positivi della borghesia in ascesa che ne fece il "suo" autore. Altrettanto importante fu la sua influenza sulla letteratura di tutta l'Europa, da Coleridge e Carlyle a Constant e Puskin; e fu infine fecondissimo anche il suo rapporto con la musica, dall'inno "Alla gioia", musicato da Beethoven nel finale della Nona Sinfonia alle numerose opere che Verdi trasse dai suoi drammi. Nei testi qui raccolti emergono i temi principali del teatro schilleriano: l'attacco alle istituzioni sociali del suo tempo, il passaggio dalla rivendicazione della libertà politica alla coscienza della più impegnativa libertà morale d'ogni individuo, lo scontro inesorabile del mondo reale e di quello ideale.
"Il convito" è uno dei dialoghi dedicati al tema dell'amore. I numerosi protagonisti del dialogo danno voce ai diversi aspetti dell'amore: amore come forza universale, che guida il mondo vegetale e animale; amore come desiderio di bellezza (e dunque come origine della poesia e delle arti) e della conoscenza (origine delle scienze); amore come essere intermedio tra il divino e il mortale, come interprete e messaggero tra gli uomini e gli dei. È uno dei dialoghi più belli non solo per il tema trattato e il fascino delle argomentazioni, ma anche per lo stile vivace e appassionato.
Le prime due monografie storiche di Tacito sono "Agricola" e "Germania": una commossa biografia del suocero caduto vittima della gelosia di Domiziano, la prima; una ricca e rigorosa descrizione etnico-geografica di popoli e luoghi tra il Danubio e il Reno la seconda, arricchita da intenti etico-politici. Nel "Dialogo sull'oratoria" si confronta l'eloquenza del passato con quella contemporanea e si individuano le cause della decadenza dell'oratoria nella mancanza di libertà civili e nella degenerazione politica e sociale di Roma.
Con il "Giulio Cesare", opera ch eprelude al periodo delle grandi tragedie, Shakespeare rivisita il conflitto esemplare e sempre attuale tra repubblica e impero, tra autoritarismo e democrazia, e magistralmente svela la dimensione teatrale delle politica, la sua retorica e la sua finzione. In questo dramma di carattere marcatamente politico ogni azione risulta inestricabilmente legata alla volontà di far prevalere le proprie opzioni ideologiche e alla conseguente necessità di persuadere il popolo per farlo aderire a esse. La storia si dispiega quindi come una grande arena della persuasione in cui la forza della parola, la simulazione e la dissimulazione forgiano i destini degli uomini.
Nel II secolo a.C. circolavano sotto il suo nome oltre cento commedie. Nel secolo successivo Varrone sottomise a un severo vaglio la copiosa produzione e accettò come sicuramente autentiche solo 21 commedie. Anfitrione, Bacchidi e Menecmi sono tre commedie giocate sugli equivoci che nascono dalla presenza in scena di personaggi identici: nelle Bacchidi e nei Menecmi si tratta di gemelli, nell'Anfitrione, invece, di Giove, che prende le sembianze del marito di Alcmena e di Mercurio che prende quelle di Sosia (passato poi, per antonomasia, a indicare la "copia" somigliantissima di un individuo).