Hanna Lévy-Hass scrisse il suo diario a Bergen-Belsen quando ancora sperava in un mondo migliore. «Si scrivono così tanti libri», diceva spesso, «se non si ha nulla di veramente eccezionale da dire, non ha senso scrivere». Il suo scrivere aveva un senso – documentare e ricordare avevano un ruolo nella costruzione di un mondo «che sarà bello». Il suo successivo silenzio fu una costante ammissione che il mondo del dopoguerra non era affatto nuovo. Hanna, di famiglia ebrea sefardita, nata e cresciuta a Sarajevo nella ex Jugoslavia (oggi Bosnia-Erzegovina), fu internata nel campo di Bergen-Belsen nel 1944 e, per una serie di coincidenze, fu tra le poche persone a sopravvivere. Il suo diario sulla prigionia, che venne pubblicato per la prima volta in Italia solo all’inizio degli anni Settanta, è una testimonianza unica e perciò ancor più preziosa sulle fasi finali del sistema concentrazionario nazista.
Figlia di Teodosio I, Galla Placidia (368-450 d.C.) seguì a Ravenna il fratello Onorio, divenuto imperatore d'Occidente. Morto Alarico, che l'aveva presa in ostaggio, divenne la moglie di Ataulfo, il nuovo condottiero dei Visigoti. L'amore dello sposo le permise di essere elemento di avvicinamento tra barbari e romani. Assassinato Ataulfo, fu rimandata a Ravenna dove Onorio la dette in sposa al patrizio Costanzo. I due ebbero la dignità di augusti, cosa che permise al figlio Valentiniano III di succedere allo zio. Durante la minorità di Valentiniano, Galla resse il governo dell'Impero occidentale in un momento particolarmente delicato. Si dimostrò una donna forte di fronte alle avversità d'ogni genere che il destino le riservò. A partire dall'epoca tardoantica si sono affacciate alla ribalta della storia figure femminili di diversa estrazione che, per fortuna o abilità, hanno giocato un ruolo determinante. I cambiamenti della tarda antichità hanno portato la donna da una funzione fondamentale ma interna al gruppo o alla famiglia, a funzioni che oggi definiremmo pubbliche. E per questi motivi che possiamo considerare le vicende di Galla Placidia un'importante cartina di tornasole per leggere la storia di quel periodo.
La rivoluzione russa è stata, in termini rilevanti, anche un confronto-scontro tra diverse prospettive intellettuali. In ragione della debole consistenza delle classi sociali, in particolare del "terzo stato", il ceto degli intellettuali, intelligencia, termine non a caso coniato in Russia, ha finito con lo svolgere un ruolo storico forse senza riscontri in altri contesti. In certi momenti è parso che in campo ci fossero solo gli intellettuali rivoluzionari e l'autocrazia, in un confronto senza esclusione di colpi. E sicuramente una rappresentazione schematica che deve essere articolata e resa più complessa per la presenza di altri attori: le masse contadine gettate nella grande storia dalla politica estera imperialistica dello zarismo, le prime concentrazioni operaie, la nascente industria, i fermenti artistici, la scomposizione della nobiltà, il formarsi di ceti professionali e tecnico-scientifici. Eppure le concezioni di fondo, tra di loro sempre più divergenti e inconciliabili, furono elaborate dagli intellettuali, teorici e pensatori russi, laici e religiosi, nei decenni a cavallo tra Otto e Novecento, prima che la vittoria definitiva del bolscevismo e la creazione dell'URSS spazzassero via ogni possibilità di confronto, imprimendo al sistema una connotazione totalitaria, rivelatasi irriformabile. Non si trattò però solo di fratture, discontinuità e sconvolgimenti. Dentro la storia russa, sovietica, sino all'attuale era Putin, sono ben visibili forti elementi di continuità, l'incidenza operativa della lunga durata. Il soggetto principale, da questo punto di vista, è stata ed è sicuramente la Chiesa ortodossa, con tutto ciò che ne deriva sul piano della cultura e del potere, del costume e della mentalità. Con approcci differenti e diverse sensibilità, senza sovrapposizioni, i tre saggi che compongono questo volume interrogano uno degli eventi fondatori della storia e del mondo contemporaneo.
"Dal profondo", come spiega Pietro Modesto nella nota introduttiva all'edizione italiana Jaca Book del 1971, viene dato alle stampe nell'autunno del 1918, ma sarà distribuito in Russia in forma semi-clandestina solo nel '21 e potrà essere pubblicato a Parigi nel 1967. Si tratta di una raccolta di interventi prevalentemente di filosofia politica sulla rivoluzione scoppiata un anno prima, scritti, da Askol'dov, Berdjaev, Bulgakov, Izgoev, Kotljarevskij, Murav'èv, Novgorodcev, Pokrovskij, Struve, Ivanov e Frank. Nel riproporlo, abbiamo perciò voluto privilegiare il centenario della rivoluzione d'ottobre perché non esiste un testo coevo più rilevante in quanto ad analisi degli avvenimenti da parte di esponenti della cultura russa. "Dal profondo" è infatti la terza delle più importanti raccolte del pensiero russo dell'inizio del XX secolo (Problemi dell'idealismo 1902, La svolta, Vechi 1909, Dal profondo, Iz glubiny 1918). In esso troviamo la lettura in corso d'opera del precipitare nell'abisso del terrore provocato dalla folle dittatura di un partito nichilista guidato da Lenin. Eppure Berdjaev, Bulgakov e Struve in esilio a Parigi, Frank a Londra, non potranno trasmettere in Occidente il senso della catastrofe. Non sarà permesso loro di esprimere sino «in fondo» la tragedia antropologica che nell'intelligencija russa ha preceduto e consentito l'avvento della dittatura. Saranno considerati, con plauso o feroce critica, come dissidenti di un regime, non come testimoni di un abisso. Tornare a pubblicare oggi "Dal profondo" è dunque confidare che quanto è emerso e sta emergendo nel pensiero contemporaneo negli ultimi anni permetta una recezione più adeguata di questa antologia di scritti, raccolti nel mezzo di una bufera, tragicamente lucidi e capaci di riproporre una speranza ancora valida per il futuro.
Tutti i miei viaggi sono diventati dei pellegrinaggi, cercando e trovando il divino nelle sorelle come nei fratelli. Si riceve compassione, si impara ad avere compassione. La pace si costruisce quando la gente viaggia, superando i moderni confini, quando le donne parlano con donne di altre culture, quando ricordano le donne del passato. Questo libro è come una manciata di frammenti. Ho dovuto scavare profondamente per alcuni di loro, mentre altri giacevano, inosservati, in superficie. Questi frammentLerano in ebraico, greco, latino, siriano, copto e arabo. I testi biblici erano disponibili, ma le storie di donne non erano messe in evidenza. Le antiche raccolte degli scritti dei «Padri latini» e dei «Padri greci», i latini «Atti dei Martiri», nei quali erano citate delle donne, sono stati resi accessibili in raccolte erudite tradotte in inglese solo nel xx secolo. Le storie, di donne scritte in siriano, copto e arabo sono rare e solo alcune di esse sono state tradotte in inglese negli ultimi decenni, destinate per lo più a un pubblico di specialisti. Questo libro mette in rilievo la tradizione cristiana, ma guarda con rispetto le altre: oltre alle donne della Bibbia e alle sante cristiane, vi sono state incluse donne ebree e musulmane. I «popoli del Libro», ebrei, cristiani e musulmani, hanno un'eredità comune, un Dio di compassione che è più importante delle differenze che li dividono.
Cornelius Castoriadis e Paul Ricoeur si incontrano davanti alle telecamere della trasmissione «Le bon plaisir» di France Culture il 9 marzo 1985. Tutto sembra opporli. Del primo si potrebbe dire che è diretto, incisivo, che non concede nulla agli avversari; l'arte della digressione e della ricomposizione dei contrari, un'argomentazione più aporetica che affermativa caratterizzerebbero invece il secondo. Ma, se una descrizione del genere può valere per i loro scritti, è molto meno pertinente, soprattutto nel caso di Ricoeur, quando la filosofia è espressa in un dialogo dal vivo, il quale ruota attorno alla domanda; «è possibile creare storicamente qualcosa di nuovo?». Da qui l'importanza data dai due pensatori alla nozione di funzione simbolica o immaginaria come facoltà collettiva di produrre trasformazioni sociali. Così immaginario e storia vengono a intrecciarsi.
Nel XVI esplose il contrasto tra una raffinata civiltà rinascimentale e l'estrema efferatezza di roghi, torture e violenze perpetrate in nome della fede. Similmente a quanto accade ai nostri giorni, l'intolleranza religiosa, come una lebbra che attacca gli Stati, aveva trascinato la Francia in una serie di lotte fratricide, seminando migliaia di morti in nome del Cattolicesimo o della Riforma. In un panorama così cruento tre donne, nate dalla stirpe dei Valois, spinte da profonde convinzioni, mostrarono una tenace volontà verso la Riforma, certe che essa potesse ricondurre alla sincerità del vero credo iniziale. Legate fra loro da vincoli di parentela, non furono tacite spettatrici, ma esponenti di un femminismo ante litteram. Determinate, pur con differenti modi di esprimere i loro ideali, misero una tenace volontà per raggiungere quei fini che sentivano come una missione.
Dov'è finito il movimento per la pace dopo il 2003? Una cultura di pace deve riprendere forza e, con essa, un movimento che sperimenti percorsi nuovi per una partecipazione più attiva ai grandi temi internazionali. Il mondo globale, con le sue smisurate dimensioni e le sue radicate connessioni, ha bisogno di donne e uomini dalla coscienza globale. La cultura della pace deve diventare una passione condivisa e un appuntamento rilevante nell'educazione delle giovani generazioni. Tutto questo, però, può maturare se persone consapevoli riprendono a parlarne in tutte le sedi. Il mondo globale non è solo un grande mercato, dominato da forze economiche che non si controllano, né uno scenario dove contano solo pochi poteri. Siamo parte di questa storia globale, che ha tanti attori, piccoli e grandi. E speriamo che questa storia si sviluppi in una prospettiva di pace, che è la migliore condizione possibile per l'umanità.
Teodolinda, regina dei Longobardi, era gloriosissima già per i suoi contemporanei. Le pagine che le dedica Paolo Diacono la circondano di un fascino sconosciuto alle altre regine di quel popolo. A Monza, città cui è particolarmente legata la sua memoria, poco mancò, in passato, che venisse considerata una santa. D'altro canto, Teodolinda non fu solo «la regina che convertì i Longobardi al cattolicesimo» con la collaborazione di papa Gregorio Magno. Teodolinda era sì cattolica, ma scismatica, tranne, forse, verso la fine della sua vita; per questo motivo, la sua collaborazione con il Papa si svolse sostanzialmente sul piano politico. Il carteggio tra lei e il Pontefice, riportato in appendice, rivela un rapporto estremamente complesso, legato anche al ruolo della donna nell'antica cultura germanica. Ma Teodolinda non fu solo questo. Svolse un ruolo politico attivo, prima a fianco del marito Agilulfo, poi da sola quando, in qualità di reggente, governò il Regno longobardo per alcuni anni, dialogando con le maggiori personalità del suo tempo e godendo di prestigio internazionale.
Quelle etiopiche sono una terra e una cultura di confine, collocato com'è il Paese sugli altopiani dell'Africa nordorientale e lungo il Mar Rosso, tra l'Africa e la parte meridionale della penisola arabica. Il regno di Axum, nel 329 d.C., quando comparve sulle sue monete la croce, era uno dei maggiori dell'epoca e la città era un grande centro cosmopolita, incrocio di tradizioni africane ed ebraiche. L'avvento del cristianesimo non comportò l'abbandono di queste tradizioni, ma generò piuttosto nuove formulazioni frutto dello scambio. Nel volume si passa in rassegna il periodo axumita, segnato dagli obelischi, e l'architettura religiosa dei secoli successivi, caratterizzata dai centri monastici e dalle chiese scavate nella roccia: è il caso, ma non solo, di Lalibela. È questa un'architettura che offre una diversa percezione dello spazio, profondamente legata alle cerimonie e ai riti. È la stessa originalità espressa dalla pittura murale e dalle icone. In queste ultime ancora oggi continuano a vivere tradizioni e sensibilità più antiche e originali. La presente opera è un volume di riferimento per chi voglia introdursi all'arte etiopica. Considerata parte degli Orienti cristiani, l'Etiopia ha prodotto una cultura e un'arte con caratteri peculiari molto forti dall'architettura alle cosiddette arti minori.
Dopo aver riconosciuto la libertà religiosa nel 1990, dal 1997 la Russia ha ricostituito un sistema confessionista che rispecchia quello zarista, rinnegando il separatismo proclamato nella Costituzione. Alla Chiesa di Stato viene assegnato un ruolo privilegiato e si ricostituisce la triade Ortodossia, Autocrazia e Spirito nazionale. Mosca si ripropone come Terza Roma, il cui territorio canonico esorbita dai confini dello Stato. Sorgono di conseguenza dei conflitti tra le Chiese ortodosse in Ucraina, Estonia e Moldavia. Il rapporto sinfonico che si è consolidato tra Kirill e Putin porta alla sacralizzazione dell'identità nazionale russa e alla conseguente discriminazione delle minoranze religiose. Nel saggio che conclude questo volume, Stefano Caprio mostra come la Russia di Putin sia un'incarnazione della Russia di sempre: un grande Paese dalla vocazione universale e incompiuta, un popolo messianico non per elezione divina, ma per conseguenze della storia, una terra senza confini in cerca di una nuova definizione. Dopo un secolo segnato dall'ateismo più sistematico e totalitario, l'Ortodossia russa è rinata come l'Uccello di Fuoco della mitologia slava. La guida suprema di questa rinascita, Vladimir Putin, ha sottomesso ogni possibile avversario e ha mostrato al mondo la volontà della Russia di tornare a essere la superpotenza di un tempo; la Chiesa del patriarca Kirill cerca di guardare al terzo millennio come alla nuova era del cristianesimo universale.
Il colpo di Stato del 1917 soffoca i fermenti di rinnovamento che dalla fine del secolo XIX si sviluppano nella società civile e nella Chiesa e che trovano espressione nella legge sulla tolleranza religiosa del 1905 e nella convocazione, dopo anni di titubanze, del grande Concilio del 1917-1918 che delibera la ricostituzione dell'istituto del Patriarcato, abolito da Pietro il Grande nel 1721. Lo scontro del nuovo regime con la Chiesa è segnato sin dall'inizio dalla violenza e dalla coercizione cruenta, che viene sospesa solo a seguito dell'invasione nazista, quando Stalin si rende conto che per aggregare la popolazione contro il nemico è necessario ricostituire l'antico legame tra Ortodossia e patriottismo, concedendo alla Chiesa uno spazio di libertà. Prende allora avvio la Nep religiosa staliniana, la quale ha vita assai breve, lasciando il posto a una fase di asservimento del Patriarcato di Mosca ai fini della politica sovietica, durante la quale si procede nell'URSS e nei Paesi limitrofi alla soppressione violenta della Chiesa greco-cattolica e alla sua forzata aggregazione all'Ortodossia, nel dichiarato tentativo di dar vita a un Vaticano moscovita, finalizzato ad assegnare alla Chiesa di Mosca, pienamente controllata dal regime, un ruolo di guida sul piano internazionale al servizio della politica estera comunista. Nel contempo riprende dal 1947 una nuova fase di intolleranza che trova il suo culmine con Chruscèv.