«I letterati... sono i creatori di luoghi aperti, dove emergono problemi fondamentali, si spalancano finestre, balenano luci» (H.U. von Balthasar). La verità di questa affermazione ispira il contenuto del libro, che si accosta ai classici «novissimi» attraverso il confronto con autori che nelle loro opere hanno parlato di ciò che la teologia cattolica fa rientrare sotto la denominazione di «realtà escatologiche». Il testo è costituito da due ampie parti ed è arricchito dalle note a margine di Franco Rella, il quale condivide con l'autore la convinzione secondo cui «la letteratura, e l'arte in genere, abbia un rapporto profondo con la verità, tale che da esso non è possibile prescindere, a meno che non ci si voglia chiudere in un recinto di aride certezze». Gli autori presi in considerazione sono molto diversi fra loro ma sono accomunati dalla medesima preoccupazione di comprendere l'uomo, il senso - nonsenso - della sua esistenza e del suo mondo. Brancato parte dall'assunto che con i loro scritti essi offrano degli apporti preziosi perché «la verità di sempre sia espressa in un linguaggio che consenta di riconoscere la sua permanente novità» (Francesco, "Evangelii Gaudium"). La teologia ha imparato che «tutte le cose contraddittorie e storte che gli uomini avvertono sono chiamate la schiena di Dio. La sua faccia, invece, dove tutto è armonia, nessun uomo la può vedere». Sono le parole di Martin Buber, da cui è tratto anche il titolo del volume.
La ricerca di Biffi mette in luce un filo rosso di pensiero che attraversa la storia moderna e ci conduce al XIX secolo. Proprio la frequentazione della complessità tomistica e della creatività e dolcezza del pensare monastico hanno iniziato l’autore a cercare gli esploratori della fede in quel mondo moderno in cui sviluppano il pensiero scientifico e i sistemi filosofici. Questo libro c fa gustare la qualità e l’acutezza di pensatori da Maldonado a Rosmini che hanno mantenuto vivo il connubio tra l’entusiasmante procedere della ragione e le meraviglie dello spirito.
"Stili ecclesiastici" è il secondo volume di "Gloria. Una estetica teologica", prima parte dell'esposizione balthasariana della fede cattolica racchiusa nella trilogia Gloria, TeoDrammatica, Teologica. Qui l'autore prende in esame il pensiero di alcuni grandi teologi e Padri della Chiesa, scelti - a prescindere dall'elevatezza di rango - per la loro efficacia storica. Le immagini da loro evocate sono irradiazioni della gloria, ed in virtù di tale qualità hanno potuto gettare una luca chiarificatrice e formativa sui secoli della civiltà cristiana. Vi sono immagini più interiori, che non sono segretamente meno splendenti, né hanno minore forza teologica - immagini di preghiere e sacrifici mistici, nascosti, che non hanno conseguito alcuna efficacia storica esteriore ed accertabile. Nell'eone della morte e dell'occultezza questo è possibile, né contrasta con ciò che è reso evidente. D'altra parte non v'è, nel tempo della chiesa, alcuna teologia storicamente efficace che non sia essa stessa riflesso della gloria di Dio; soltanto una teologia bella, vale a dire soltanto una teologia che, afferrata dalla gloria Dei, riesce a sua volta a farla risplendere, ha la possibilità di incidere nella storia degli uomini imprimendovisi e trasformandola.
«Nel 1962 esce nelle librerie francesi, La pensée religieuse du Pére Teilhard de Chardin per l'editore Aubier, il primo di una serie di testi dedicati da Henri de Lubac al pensiero e alla figura del celebre gesuita paleontologo di Orcines, che costituiscono una parte piccola ma non indifferente nella vasta produzione del teologo francese. Il libro fu un successo immediato e se pure ristampe e traduzioni furono per un tempo bloccate dalle autorità ecclesiastiche, conobbe velocemente una grande diffusione. Il testo di de Lubac si impose nel dibattito che in quegli anni imperversava attorno all'opera e alla figura di Teilhard de Chardin per l'autorevolezza e il rigore e rimane ad oggi, insieme agli scritti che seguirono negli anni immediatamente successivi, uno strumento imprescindibile per avvicinarsi correttamente al complesso e difficile linguaggio teilhardiano. L'interesse di questi testi per il lettore di oggi va ben al di là di quello storico. Certamente sono ricchi di elementi per la ricostruzione del dibattito culturale del tempo. Ma vi si trova molto di più, grazie alla guida raffinata e documentata di de Lubac, si prende conoscenza di alcune profonde intuizioni teologiche di Teilhard che ancora oggi sono di stimolo per il cristiano, per la Chiesa. Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) fu senza dubbio uno degli intellettuali più influenti del XX secolo e paradossalmente anche uno dei meno compresi. Gesuita e paleontologo si impegnò per tutta la sua vita a mostrare l'armonia tra le nuove scoperte della scienza e la Tradizione cristiana, provocando interesse, entusiasmo ma anche una diffidenza che dura fino ad oggi. 'Troppo cattolico' per i laici e troppo aperto alla scienza moderna per molti cattolici, restò sostanzialmente inascoltato, in contrasto con il successo globale conseguito e nonostante il fascino che il suo pensiero invariabilmente ha suscitato e continua a suscitare». (dall'Introduzione di Alberto Palese alla Sezione settima dell'Opera Omnia)
Il titolo, suggerito dalla metafora della «goccia d’acqua» spesso usata dall’autore, intende comunicare il senso del libro, che desidera non tanto ripercorrere gli avvenimenti della vita di Panikkar ma illustrare il cammino che lo ha portato a scoprirsi «acqua». Come egli scrive nei suoi diari (8 novembre 2000): «Sono consapevole dei miei difetti, ma non posso negare la mia esperienza della Resurrezione. Essa comporta la mia coscienza di vivere ora la vita eterna – di essere acqua e non goccia, mentre ancora sono goccia». Alcune note biografiche si trovano nella Postfazione. Anche questa tuttavia è intesa soprattutto a evidenziare, per quanto possibile, la vera identità dell’autore. Siamo convinti, come dice Panikkar, che «un libro è una goccia nell’oceano dell’opinione pubblica, una vera preghiera è un bicchiere d’acqua, ma un libro frutto della contemplazione può essere una pioggia benefica» (18 febbraio 1996).
Questo terzo volume di Saggi teologici si aggira attorno al tema «Spirito Santo». Il primo era costruito, come attorno al suo centro, attorno al Verbo di Dio fatto uomo; il secondo, attorno alla Chiesa conformata a Lui, e le due opere si completavano a vicenda. Lo Spirito Santo, da una parte, è certo lo Spirito che è attivo tra Cristo e la Chiesa, cosicché molti argomenti dei primi due volumi in questo si trovano svolti ulteriormente con sviluppo organico; ma d’altra parte Esso è lo Spirito Santo che promana dall’unità Cristo-Chiesa (come dall’eterna unità del Padre col Figlio) e quindi apertura che l’unione d’amore tra Sposa e Sposo sperimenta verso il nuovo, verso il Figlio, verso il mondo della creazione, oggi anche e appunto verso il mondo ‘mondano’, non cristiano. Il Vaticano ii ha orientato in modo distintivo la sua riflessione verso questa apertura, e ha stimolato i cristiani a fare altrettanto; proprio in questo, il periodo post-conciliare è un tempo all’insegna dello Spirito Santo. Che quest’apertura possa costituire pure un pericolo per gli uomini custoditi al sicuro entro la Chiesa, quando vengano spinti repentinamente, senza adeguata preparazione, ad affrontare tutta la secolarità del mondo, che irrompe nella Chiesa in ampi flutti attraverso le dighe disserrate, noi lo esperiamo nella vita quotidiana, e senz’altro non in misura decrescente. Perciò alcuni saggi del presente volume hanno un nuovo carattere: cercano di concentrare il messaggio cristiano, di indirizzare verso il centro inalienabile, di metterlo al sicuro, di coltivarne lo studio partendo da tutti i lati e da tutte le periferie, alla scuola dello Spirito, il quale adempie il suo compito nell’economia trinitaria non altrimenti che impegnandosi a spiegare il messaggio del Verbo incarnato, crocifisso e risorto, in forma creativamente nuova a sempre nuove generazioni, e ad esercitarle in esso. (da Parole di accompagnamento)
Hans Urs von Balthasar nasce a Lucerna il 12 agosto 1905. Nel 1929 entra nella Compagnia di Gesù. Decisivi per la sua formazione teologica sono gli incontri con Erich Przywara, Henri de Lubac e Karl Barth. La collaborazione con Adrienne von Speyr porta alla fondazione dell’Istituto San Giovanni, della Johannes Verlag, e all’elaborazione di un pensiero teologico dominato dall’idea secondo cui solo l’amore è credibile. Nominato cardinale per il suo contributo alla teologia cattolica, non fece in tempo a indossare la porpora. Morì il 26 giugno 1988. Jaca Book ha in corso di pubblicazione la sua Opera secondo il piano redatto dallo stesso von Balthasar, e numerosi altri titoli che vengono periodicamente riproposti.
"Stili laicali" è il terzo volume di "Gloria. Una estetica teologia", prima parte della grande esposizione balthasariana della fede cattolica nella trilogia Gloria, TeoDrammatica, TeoLogica. L'autore sceglie in questa sezione di approcciare la dimensione religiosa dell'uomo muovendo dalla percezione della bellezza. Se, come sostiene l'antropologia religiosa, una delle prime percezioni di cui facciamo esperienza è la meraviglia di fronte al creato, la medesima meraviglia compare e approfondisce il nostro vissuto della dimensione estetica di fronte alle opere dell'ingegno umano e in specie, fra queste, i capolavori della letteratura. "Stili laicali" è un libro dedicato a un'analisi profonda di opere e autori cui è possibile avvicinarsi con animo laico, affascinanti in virtù della loro stessa forza letteraria. È proprio questo attento esame di testi e immagini letterarie a disvelare percorsi complessi, inattesi, conducendoci sino ai vertici della poesia, della musica, della profezia, dell'abbraccio amoroso, delle domande esistenziali e dell'apocalittica.
In questo quarto volume si tratta di un'«azione» lungamente preparata. Nel primo è stata anzitutto elaborata una precomprensione della categoria del drammatico come introduzione alla comprensione della rivelazione (o «teologia»). Poi occorreva presentare i personaggi del dramma. Ma nella tensione tra la libertà riconosciuta della creatura davanti a Dio (vol. due) e l'inclusione di questa libertà in Cristo, a partire dal quale soltanto si danno personaggi teodrammatici (vol. tre), c'era già l'esca di accensione per qualcosa di così esplosivo che non si poteva cominciare altrimenti che nel «segno dell'Apocalisse». Essa già indica che l'agire della libertà umana non può essere aggirato o sorvolato dal più vasto agire dell'«Agnello come immolato» e ridotto a fattore inoffensivo. Qui il discorso non è quello di una apocatastasi che inserisce l'impegno cristiano tra Dio e l'uomo in un panorama filosofico (alla maniera di Plotino o di Hegel) circa un'emersione e un rientro del mondo nella divinità. Giacché si dà un'insurrezione titanica degli uomini contro la loro inclusione nel mistero della croce. Fin dal tempo di Cristo esiste una passione anticristica: «Se io non fossi venuto e non avessi parlato loro, essi sarebbero senza peccato». Solo là dove si apre il cielo si spalanca anche l'inferno.
«Le date hanno la loro importanza. Nel 1946, all'indomani del secondo conflitto mondiale, uscì il libro intitolato Surnaturel, forse il più celebre in assoluto, per valore storico, tra i molti pubblicati dal padre gesuita Henri de Lubac. Nello stesso anno era pronta per la pubblicazione la prima edizione del volume Die protestantische Theologie im 19. Jahrhun-dert, scritto dall'ormai famoso teologo riformato calvinista Karl Barth. [...] Siamo di fronte a due opere di interesse, al tempo stesso, storico e teologico sistematico. [...] Sul versante protestante, un teologo sistematico del calibro di Barth ha intrapreso un lavoro storico analogo a quello svolto in campo cattolico da de Lubac, per portare*alla luce il percorso culturale che nei secoli XVIII e XIX ha condotto la teologia protestante a smarrire il cuore pulsante del cristianesimo, il quale in pieno Ottocento si è trovato svuotato della propria sostanza. Infatti Barth ha progressivamente preso le distanze dalla sua formazione teologica liberale, per intraprendere una critica rigorosa che egli rivolse al pensiero pietistico-illuminista e romantico tedesco. Ha ravvisato infatti nell'uomo dell'illuminismo quella "volontà di dar forma" (Formwille) che ha investito del primato antropologico del soggetto qualsiasi oggetto del mondo, compresi i contenuti della rivelazione cristiana. Questa tendenza, ben radicata in ogni forma di "assolutismo" del Settecento europeo, ha dato, nel secolo successivo, il suo frutto maturo in Hegel e Schleiermacher». (dalla Prefazione di Franco Buzzi alla nuova edizione)
Pochi autori hanno avuto sul pensiero contemporaneo, anche non religioso, l'influsso di Karl Barth. "La teologia protestante nel XIX secolo" risale agli ultimi anni del suo insegnamento a Münster (1932-33). Quest'opera è essenziale per la comprensione del pensiero di Barth che, all'incirca negli stessi anni, si accingeva a scrivere la "Dogmatica ecclesiale", ed è importante per la comprensione dell'idealismo tedesco e dell'illuminismo in genere. Dall'interesse per questo periodo storico e culturale fondamentale nel percorso del pensiero occidentale, è sorta per Barth la necessità di riscoprirne le origini. Da qui il carattere quasi paradossale di quest'opera che, nata per studiare il XIX secolo, in questo primo volume affronta i grandi pensatori del 700. Karl Barth si rivela qui storico, biografo e stilista brillante, in grado di far rivivere in una lotta tra giganti i suoi amici-nemici. Questo spirito di confronto diretto rende particolarmente attraente e piacevole la lettura di un'opera che ha fatto storia.
«Un'incrollabile certezza caratterizza tutto il pensiero di de Lubac sul soprannaturale: contro ogni riduzione antropologica della teologia operata dall'ateismo è possibile al cristiano, partendo dalla sua fede, mostrare a se stesso e a chiunque altro che esiste effettivamente un legame intimo tra la religione del Dio fatto uomo e l'antropologia, senza con ciò aderire alla riduzione antropologica laicista e secolarizzata adottata dall'ateismo, anzi contestandola radicalmente. Infatti, per mezzo di Cristo e in Cristo, Dio, rivelando se stesso all'uomo, rivela anche l'uomo a se stesso, cioè conduce l'uomo a scoprire la sua più propria ed intima essenza e destinazione. Al tempo stesso, sulla scorta di tutti gli studi storici precedentemente svolti da de Lubac sul soprannaturale, si svela anche fino in fondo il facile malinteso circa un modo di intendere il dialogo e la collaborazione pratica con la contemporanea cultura atea. La Chiesa smarrirebbe infatti completamente il senso e la possibilità stessa della sua missione nel mondo, qualora pensasse di poter raggiungere una perfetta condivisione d'intenti con il mondo a partire da un concetto di "natura umana" concepita come pienamente autosufficiente e compiuta in se stessa. Sulla base di questa fragile e contestabile premessa sarebbe fin troppo facile condividere, con tutti i possibili interlocutori, i cosiddetti valori semplicemente umani, lasciando indefinitamente sullo sfondo il problema religioso che giunge a porre seriamente la questione del destino ultimo dell'uomo. In tal caso il "soprannaturale" apparirebbe semplicemente come quel "superfluo" che potrebbe essere messo tranquillamente tra parentesi e sospeso di fatto, senza che esso abbia incidenza alcuna sulla possibilità di individuare, a livello teorico e pratico, l'unico fine ultimo e vero, quello soprannaturale, cui l'uomo reale, creato da Dio, tende di fatto con tutte le sue forze». (Dall'Introduzione di Franco Buzzi alla Sezione quarta dell'Opera Omnia)
Da Eckhart a Silesius, da Teresa d'Avila a Giovanni della Croce o Surin, tutto un corteo luminoso di donne, folli, illetterati, eremiti oscilla fatalmente tra obbedienza e rivolta, ortodossia ed eresia, sapere istituito e nuovi ordini del conoscere. In "Fabula mistica", opera considerata da molti il suo capolavoro, de Certeau si inabissa nell'indecifrabile Giardino delle delizie di Bosch, ascolta le voci dimenticate dei gesuiti di Aquitania che tentarono una riforma dell'Ordine, si attarda lungo le stazioni che scandirono il tragico percorso di Labadie: critica letteraria e psicoanalisi, semiotica e filologia, analisi sociale e indagine politica contribuiscono a disegnare un percorso che abbandona (ma non trascura) i confini della teologia e si lascia contaminare da strumenti critici apparentemente estranei o inadeguati. Ed è proprio la sorvegliata e rigorosa contaminazione tra discipline a costituire il tratto caratteristico della sua opera: mettere in discussione ogni teoria o pragmatica della comunicazione e lasciare che a parlare sia un linguaggio perforato, interdetto, opaco, sempre bisognoso di traduzione ma anche sempre più ricco di qualunque sistema.