Un "florilegio" di feste proposto come un'umile e minuta guida, quasi un "breviario", per l'Anno della Fede. E il senso di queste brevi pagine che, ripassando le festività cristiane, espongono i misteri principali del Credo, che ne sono il contenuto e la sostanza. Tali festività, infatti, sono un'esposizione chiara e multiforme della fede della Chiesa, non solo dottrinalmente, ma concretamente, in particolare con l'ausilio del ricorrere e dell'alternarsi del tempo, con l'attrattiva e lo spessore dei segni, con gli accenti della preghiera. Il credente, però, non si limita a imparare dalle feste: egli è chiamato a condividerle, così che divengano il vissuto della sua fede, e quindi il luogo e il tempo in cui egli fa esperienza dei misteri celebrati. Potremmo, allora, parlare dell' "affezione" delle feste, che si iscrivono nella mente, nei sentimenti e nella vita di chi vi prende parte. Ognuna di esse si presenta con la sua grazia, perché venga accolta e cosi renda conformi al Figlio di Dio fatto carne, crocifisso e risuscitato, ossia al Crocifisso glorioso che di tutte le celebrazioni è il Festeggiato. La liturgia senza dubbio parla ai credenti. E, tuttavia, anche chi non ha mai creduto, o non crede più, potrebbe restare impressionato dinanzi alle celebrazioni.
Il tema dell'immagine ha sempre accompagnato la storia del cristianesimo: un iniziale aniconismo, influenzato dal divieto veterotestamentario di farsi immagini di Dio, si sarebbe aperto, con il passare dei secoli e non senza resistenze, a una piena accettazione dell'arte sacra figurativa, a cui la tradizione dell'Oriente bizantino riconobbe una natura teologica di primaria importanza in ordine alla rivelazione del mistero cristiano. In questa ricostruzione l'iconoclasmo e la negazione delle immagini sono stati letti come una crisi, un'interruzione dolorosa in un mondo ormai votato al culto dei tratti di Cristo e dei santi fissati nelle icone. Il cristianesimo delle origini tuttavia, pur tra ostacoli e discussioni, ha realmente accolto e promosso la possibilità delle raffigurazioni religiose? Le lotte iconoclaste furono davvero un momento di crisi o piuttosto l'apice di un cristianesimo spirituale come fu quello dei primi otto secoli? Gli imperatori iconoclasti imposero la propria linea teologica a un clero favorevole alle immagini sacre, o piuttosto furono i difensori convinti di un aniconismo che nel contesto del cristianesimo bizantino rappresentava una tendenza diffusa? Da quando la Chiesa d'Oriente ha iniziato a credere che le icone fossero "irruzione dell'eternità nel tempo"?
L'opera di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore, illustre rappresentante dell'antica aristocrazia romana ma anche della nascente cultura cristiana, è l'espressione d'una nuova sensibilità per la conservazione e il restauro delle eredità del passato. E proprio, infatti, dal sincretismo fra il diritto romano e la cultura cristiana che si svilupparono già a cavallo fra V e VI secolo significative anticipazioni di quel moderno sentimento di conservazione e di consapevole trasmissione al futuro, nella loro concreta materialità, delle vestigia "autentiche" del passato a cui Cassiodoro dedicò tutta la sua vita e che, ancora oggi, caratterizzano il contributo italiano e, più in generale, quello dell'intera cultura occidentale, alla disciplina del restauro.
Dopo l'estinzione della casa di Teodosio I (450), nella parte orientale dell'Impero romano si innesca un affannoso meccanismo in base al quale la continuità del potere politico si regge su un sistema dinastico, pur non esistendo più alcuna dinastia. Con la morte di Marciano (457), già marito dell'augusta Pulcheria, viene nominato imperatore un soldato semisconosciuto, Leone, che ha una figlia di nome Ariadne, o Arianna. Di colpo la ragazza è catapultata in un mondo fatto di protocolli e raffinatezze, ma anche di intrighi, passioni e rancori. Imparando a destreggiarsi tra i pericoli, il destino di Arianna si lega a quello dell'uomo scelto come suo sposo. La sua funzione di grembo per una nuova dinastia non basta a metterla al riparo da congiure e usurpazioni. E mentre corre il rischio di soccombere sotto questi colpi, giunge la notizia che in Occidente non vi è più un imperatore.
Il notissimo storico della Chiesa spagnolo Juan María Laboa durante il 2012 scrive un lungo racconto, una parabola: la venuta di Cristo a Roma ai nostri giorni, con tutti gli odierni personaggi della politica, del Vaticano ...Alla festosa accoglienza delle borgate romane e di parrocchie di quartiere si contrappone il turbamento di persone famose.
Accompagnano Gesù vari apostoli e santi. Roma affascinante e barocca appare fuori tono, c’è sproporzione! Eppure l’accoglienza che promana dal nuovo arrivato abbraccia tutti, tutto può tornare possibile. Chi oggi «si imbattesse in Cristo, non ascolterebbe forse la Buona Novelladalla sua stessa fonte?».
Con la suspence di un thriller, l’opera è una parabola che mette il lettore a suo agio. Verso la fine Benedetto XVI prende la decisione di dimettersi, e nell’ultimo capitolo il papa si sveglia: il tutto era stato un suo sogno, e comincia una giornata diversa...
Nell'enorme bibliografia sull'argomento, spesso ha prevalso un atteggiamento tendente a vedere nell'antisemitismo un'eccezione nel quadro complessivo della cultura europea. Al contrario, l'antisemitismo è da leggere quale componente di un pensiero politico "rivoluzionario" ostile alla società borghese liberale e in aperta concorrenza col socialismo e il marxismo. L'antisemitismo si presenta come un'ideologia di mobilitazione dei ceti medi timorosi di uno sviluppo capitalistico che distrugga la proprietà, declinandosi quale progressiva finanziarizzazione dell'economia. Da qui, di conseguenza, la distinzione degli economisti antisemiti fra un capitalismo positivo e il capitalismo aggressivo della "finanza ebraica", la domanda di un "socialismo dei piccoli proprietari", l'elaborazione del concetto di "razza" quale nuovo legame sociale che sostituisca quello, ritenuto ormai corroso, della società borghese liberale, e, soprattutto, il progetto di restituire al "politico" quel primato che, in epoca capitalistica, sembra demandato alla "finanza ebraica". A questo punto, l'antisemitismo, dopo che per decenni, attraverso sociologi ed economisti, da Toussenel a Hamon, da Auguste Chirac a Malynski, aveva polemizzato contro la finanziarizzazione dell'economia, è ormai politicamente maturo per incrociare, subito dopo la prima guerra mondiale, le suggestioni dei movimenti politici totalitari, portando in dote una critica corrosiva della società borghese liberale.
Abù Hàmid al-Ghazâlî (1058-1111) nacque a Tus (Persia). Studiò a fondo la religione islamica e divenne docente a Baghdad. In seguito a una profonda crisi spirituale abbandonò l'insegnamento per dedicarsi alla ricerca di Dio nell'approfondimento della mistica islamica. Viaggiò tra La Mecca, Damasco e Gerusalemme, per tornare infine nella sua città natale e dedicarsi alla scrittura delle sue opere. Il suo pensiero illumina la storia dell'Islam. La conoscenza intellettuale e l'esperienza della fede, unite insieme, guidarono al-Ghazâlî nella ricerca di ciò che stava al di là della realtà apparente e dell'effimero. Esperienza questa che egli descrisse nella sua opera più significativa, "Il ravvivamento delle scienze religiose". La sete spirituale del divino e del suo amore per la creatura; l'obbedienza alle pratiche cultuali e religiose; la ricerca filosofica, teologica e giuridica; l'interesse per l'ordine sociale e politico dello Stato islamico divennero in al-Ghazâlî i campi di ricerca nel tentativo di riportare la filosofia e la mistica nel solco della tradizione islamica. Parliamo quindi di un riformatore del pensiero musulmano, sempre attento ad armonizzare la speculazione scientifica con l'esperienza di Dio, la ragione con la fede. Qui sta, infatti, l'attualità del genio intellettuale e spirituale di al-Ghazâlî, che ancora oggi può lanciare un messaggio positivo al mondo intellettuale e religioso dell'Islam. Prefazione di Maurice Borrmans.
Nel titolo si riassume perfettamente lo straordinario percorso che Massimo Toschi racconta. Disabile per una poliomielite contratta a undici mesi, proprio allo scoppio della bomba di Hiroshima, è destinato a una vita in carrozzella e piena di ostacoli. Di fatto fin da studente all'Università Cattolica di Milano si impegna rispetto ai carcerati. I poveri e la pace divengono il suo punto di attenzione. Sposatosi nel 1970, ha una figlia e ha svolto per oltre trent'anni l'attività di insegnante. Viaggi in Algeria e Sierra Leone lo mettono a contatto con il disastro dei fondamentalismi e delle guerre africane coi ragazzi-soldato, ma anche con figure di pace come furono i monaci uccisi a Tibhirine. Nel 2000 il presidente della Regione Toscana lo invita a essere consigliere alla presidenza regionale per la pace.
"Questo è il libro della mia ostinata ricerca dell'altrove, per incapacità di consistere con agio nella via proposta dal contesto e per nostalgia di un tempo anteriore, non asfissiato dagli ordigni implacabili del reale e razionale. Il paese delle origini non è l'altrove, che non sarebbe tale se fosse localizzabile nello spazio come nel tempo, ma ne rappresenta una possibile figura, rinviando a un ritmo originario non ancora sommerso dalle vicende dell'esistenza e dalle determinazioni della cultura vigente. Non saprei definire il genere letterario di un lavoro come questo, non racconto, non saggio, non confessione, non resoconto ideologico ma un po' tutte queste cose insieme. La materia è spartita in due filoni separati ma intrecciati tra loro, a capitoletti alterni, uno di tipo esistenziale, come rivisitazione dei momenti critici di un vissuto all'insegna dell'impossibile adattabilità al mondo dato, e quindi sempre ansioso di alternative, l'altro strettamente culturale, dedicato alle scelte intellettuali coerenti con tale stato di perenne insoddisfazione rispetto all'attualità vincente." (Elio Gioanola)
La riflessione di Tommaso d'Aquino si è più volte e a lungo soffermata sui misteri di Gesù. Non solo egli ha messo in luce le componenti "astratte" o "strutturali" della persona di Cristo, ma ha volto la sua attenzione analitica e appassionata - ciò che avverrà sempre meno in seguito - alle sue azioni, alla sua "storia", dalla concezione alla esaltazione, elaborandone una ricca e avvincente teologia. Ogni gesto del Signore è ricercato e accostato con l'esegesi letterale e con le risorse dell'esegesi "spirituale", così da poterne riscoprire il senso, la "logica", il valore o, come dice Tommaso stesso, la "convenienza". Questa trattazione dei misteri di Gesù riceve la sua forma più compiuta e matura nelle questioni 27-59 della Tertia Pars della Summa Theologiae, ma essa si ritrova anche in diverse altre opere dell'Angelico, che precedono o anche accompagnano la composizione della Summa. Con questo volume Inos Biffi ricostruisce la teologia dei misteri di Gesù ricorrente in queste opere e rilevata sia nei suoi contenuti analitici sia nel suo significato in rapporto alla sistemazione teologica di san Tommaso. Ai misteri nella Summa Theologiae sarà dedicato un secondo volume. Oggi è sentita come urgente e indispensabile una cristologia "concreta". Il Dottore Angelico ne ha offerto un metodo e un modello ancora esemplari. Del resto, la figura di Gesù ha rappresentato l'Oggetto più appassionato di tutta la ricerca dell'Angelico.
"Concentrata e leggera, nitida e profonda, la poesia di Tiziano Broggiato è insieme ermetica e depistante. Ermetica perché il dettato quieto e fermo cela in realtà sempre una visione inquietante, un tremore tellurico impercettibile ai sensi se non nel vibrare demonico del verso. Per questa ragione depistante: non siamo nella poesia del quotidiano che del quotidiano si appaga, e magari esalta, come spesso accade, né quindi in una visione minimalistica della realtà. Ci troviamo piuttosto in un mondo di visioni rapide, concluse e serrate, che si succedono come fotogrammi di una pellicola il cui movimento è impercettibile. Ogni verso è un'immagine, generalmente priva di bagliori o svelamenti, ma ogni immagine è profonda, pare emergere da una vecchia fotografia, o ancor più da una traccia lapidea invisibile se non agli occhi, meglio alle antenne del poeta. Ferma, priva di sbavature, la poesia di Broggiato ha una sua fredda potenza tragica, inchiodando cose e persone alla realtà del tempo eveniente, e una freddezza anatomistica che felicemente convive con una fraterna solidarietà di fatto con il coro del mondo: 'E quando riesce a vedere un sole bianco, anche attraverso basse nubi, e avvertire che aumentano le acque, mentre la luce riposa, che uno capisce che il suo luogo, è quello. Per sempre.'" (Roberto Mussapi)
In un'isola dei Caraibi, le giovani generazioni a cavallo della seconda guerra mondiale soffrono il peso del colonialismo e di regimi repressivi che frenano le istanze di libertà e di giustizia sociale. Alcuni giovani rivoluzionari decidono di uccidere un uomo considerato traditore e al soldo dei padroni. Il loro primo atto di libertà sarà l'assassinio. Il nemico da abbattere è rappresentato da un pubblico ufficiale. L'esecutore arriva dai monti, mentre il regista della pièce viene dalla città. Il gioco psicologico è intenso, Glissant tratteggia personaggi avvertiti su come funziona il mondo, ma quasi attoniti e indifesi di fronte al nuovo quadro politico che si va configurando. L'opera mantiene una tensione altissima, i grandi temi del colonialismo restano sullo sfondo, la natura clemente o infida crea l'atmosfera. Il palcoscenico è l'isola dai cui monti scende la Lézarde, la crepa, il fiume che sinuosamente si riversa in mare in coincidenza con un'alta barriera di scogli, al centro del dramma. La presenza del fiume, anima mitica dell'isola, ritma le passioni e i conflitti di Mathieu, di Thaél - l'uomo dei monti - e dei loro amici. Lo scrittore caraibico assume nel suo universo letterario anche la forza critica e introspettiva dell'esistenzialismo europeo. L'opera premonizione di quanto avverrà in un'altra isola, che i grandi movimenti non hanno saputo prevedere - è un dramma senza tempo, momento antico e presente nel mondo di Calibano.