Questo volume presenta la Storia dell'Arte medievale con un approccio innovativo, incentrato sulle origini culturali, sul contesto storico e sui presupposti tecnici dell'opera artistica e architettonica. L'obbiettivo è di restituire il più fedelmente possibile le intenzioni di costruttori, artisti e committenti, il loro retroterra culturale, il loro orizzonte di significato, le condizioni materiali che definivano la loro azione. Il coordinatore del volume, Paolo Piva, ha coinvolto eminenti studiosi italiani e tedeschi in un progetto in cui fossero condivisi questi orientamenti metodologici di fondo. Il risultato di questo lavoro è un libro capace di offrire illuminanti chiavi di lettura al millenario percorso dell'arte medievale (dal 300 al 1300 d.C.) senza la pretesa di descriverne puntualmente ogni fase ma con l'ambizione di rivelarne le fondamentali coordinate.
I mille anni del processo di cristianizzazione serba sono un capitolo significativo nella storia dell'evangelizzazione degli slavi.
In particolar modo il Medioevo ha rappresentato il momento in cui l'identità serba ha sviluppato i suoi fondamenti politici, sociali, filosofici e artistici.
Fondamenti che non hanno perso forza anche dopo la conquista ottomana della fine del xiv secolo e che hanno nutrito nei secoli la coscienza collettiva del popolo serbo e la lotta per una cultura serba indipendente.
I grandi monasteri, i dipinti, le miniature nati in questo periodo, che si collegano allo sviluppo del linguaggio, della letteratura e delle arti minori, sono tra gli esempi più vivi e tangibili dell'impronta di societas cristiana lasciata sull'Europa dall'Adriatico fino agli Urali.
La storia del paesaggio urbano è quasi ancora tutta da scrivere. Per lungo tempo, a proposito della nascita prima e poi della crescita della città nel Medioevo in Occidente, sono stati privilegiati i fenomeni di natura strettamente economica per render conto dell'evoluzione del paesaggio urbano. Senza negarne l'importanza, si deve considerare che ben altri fattori decisivi meritano un attento esame. In particolare, occorre porre l'accento, da una parte, sui legami molto potenti esistenti tra il formarsi, il permanere o il degradarsi dei tessuti urbani o delle forme d'urbanizzazione in generale, e dall'altra sulle strutture politiche e sociali che governano gli uomini nelle città. E non si tratta soltanto di prendere in considerazione le istituzioni governative o amministrative, ma di vedere chi, effettivamente, dirige la città, quali categorie d'individui o quali gruppi la tengono in mano, e attraverso quali mezzi dichiarati od occulti; di precisare le loro origini e ancor più le loro organizzazioni sociali, il modo in cui si riuniscono, si appoggiano o si contrastano a vicenda. Paesaggi, poteri e conflitti sono inseparabili.
Eloisa e Abelardo: una coppia indimenticabile vissuta nel secolo di Tristano e Isotta. La loro storia, che ha conosciuto travisamenti e misconoscimenti, è qui ricostruita con rigore attraverso la suggestiva lettura del loro epistolario, in grado di mostrare i due volti dell'umanità medievale: un confronto tra passione e filosofia, fede e ragione, vissuto in una «dialettica di coppia» la cui tensione e densità restano fuori del comune e perciò altamente emblematiche. Lo stile vivace di Régine Pernoud assume come sfondo il secolo XII, caratterizzato da un clima di febbrile ripresa degli studi e da ideali di riforma monastico-religiosa. E inoltre la stagione dell'amor cortese, degli scontri fra eresia e ortodossia, quando l'arte romanica ormai pienamente sviluppata cede il passo ai primi tentativi di «architettura ragionata». Il desiderio di assoluto si snebbia e si umanizza, fornendo le strutture per le grandi somme teologiche della Scolastica. L'amore fra Eloisa e Abelardo è dunque la storia di due amanti che la vita separa e spinge verso una prospettiva di rinuncia. Ma anche dalla privazione l'amore, in un alternarsi di luci e ombre, finisce per trionfare conducendo alla santità.
"Qual vantaggio avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?": alle soglie del Medioevo, questo monito evangelico sembra risuonare nell'intimo di Cassiodoro, che nel culmine della sua carriera pubblica ha visto fallire l'ambizioso disegno di fondere in una nuova civiltà i Romani e i Goti, dopo aver lungamente operato e sofferto per quell' utopistica sintesi politica dei due popoli. L'anima gli appare dunque un tema carico di richiami spirituali e meritevole di meditazione in un'epoca in cui lo sfacelo degli effimeri ideali politici si rifletteva nel mondo dei valori morali. Anche in virtù del decisivo influsso esercitato su di lui specialmente dalla figura e dall'opera di sant'Agostino, il concetto di anima come "luce sostanziale" gli serve per costituire una connessione tra ciò che è "corporeo e caduco" e ciò che è "spirituale ed eterno". Di conseguenza acquistano particolare risalto l'uomo e la sua corporeità: il corpo umano, infatti, se può essere di ostacolo all'anima, inducendola al peccato e comunque rendendola mutevole, tuttavia possiede una grande dignità, sia perché Cristo si è "rivestito" di esso, sia perché la sua struttura richiama simbolicamente quella cosmica. Letto e interpretato secondo questa prospettiva esegetica, come documento di una crisi di valori, o di una "conversione" intesa nella sua accezione più ampia, il "Liber de anima" acquista un complementare interesse autobiografico.
L'immagine della teologia nel medioevo è ricca e variegata. Lo mostrano ampiamente e con analitica documentazione le ricerche di Jean Leclercq - lo specialista di Bernardo di Clairvaux, l'"inventore della teologia monastica" -, che qui pubblichiamo col titolo "Il pensiero che contempla". Senza dubbio in questi lunghi secoli medievali, sotto l'influsso dell'idea aristotelica di sapere, la teologia viene ideata, elaborata e insegnata come "scienza"; è però viva la persuasione che non si tratta di una scienza come le altre. "Essa è una 'scienza divina', una 'dottrina di pietà', una 'sapienza', e insegnarla è un'opera che la Chiesa esercita per la salvezza degli uomini, mediante certi suoi ministri: i dottori", dediti, con tutto l'impegno della loro vita, a "mettere al servizio della Chiesa tutte le acquisizioni dello sforzo intellettuale del loro tempo". Il teologo è chiamato doctor Ecclesiae ed è destinato a ricevere nell'eternità, come ricompensa del suo studio e del suo insegnamento, appunto l'"aureola di dottore". Ma, se il medioevo risalta e si distingue per la concezione scientifica o speculativa della teologia, non meno prosegue in esso la tradizione patristica e monastica, e Jean Leclercq lo prova delineando con acuta e brillante interpretazione la dottrina di Tommaso d'Aquino - lo "speculativo" per eccellenza - relativa alla vita contemplativa nella sua "Summa Theologiae". La sostanza e la linfa della dottrina dell'Angelico provengono largamente da Gregorio Magno.
Nel volume si esaminano la relazione fondamentale fra dialettica e intelligenza della fede nel secolo XI, secolo nel quale si vennero formando, con l'apporto di pensatori dotati di grande capacità speculativa e logica, una consapevolezza e un metodo di indagine che seppe affrontare le controversie su alcune questioni di rilievo, quali il dibattito sull'Eucarestia, o più tardi la disputa sull'Onnipotenza. Secolo fecondo, trova i suoi punti di sintesi nelle sintetiche affermazioni di Pier Damiani: la dialettica al servizio della Parola di Dio, e di Anselmo, la "ratio fidei".