Le polene – le statue che decoravano la prua delle navi – in queste pagine emergono dal mito per diventare figure reali, che popolano una galleria di indimenticabili ritratti femminili: sono sirene, dee, donne comuni o veggenti come Cassandra, seduttrici, madri, sono donne perverse, terribili, visionarie. Attraverso le loro forme sensuali, davanti agli occhi del lettore si svolge una storia colta e stravagante, documentata e luminosa: un racconto illustrato di eroine, avventurieri, cimiteri di navi, che riemergono immortali dagli abissi della memoria. Il mare, reale o fantasioso che sia, diventa occasione per riflettere sulla vita, sulle sue zone di luce e ombra, sull'infanzia e la sua spericolatezza, sulla necessità di un approdo e sul potere della letteratura – da Karen Blixen e Nathaniel Hawthorne a Juan Octavio Prenz e Giuseppe Sgarbi – capace di condurci in ogni tempo, verso un altrove irraggiungibile.
La seconda guerra fredda vede dittature e regimi assediare i paesi democratici: l'epicentro dello scontro è l'Europa, le armi preferite sono ingerenze politiche e ricatti strategici, i duelli più duri avvengono nel cyberspazio, e l'Italia è uno dei più vivaci campi di battaglia. Neanche il papa è indenne da quanto sta avvenendo. La Russia di Putin e la Cina di Xi vogliono trasformare l'Europa in un terreno di conquiste, politiche ed economiche, al fine di far implodere NATO e UE, allontanando quanto più possibile gli Stati Uniti dai loro alleati. Gli interventi russi in Georgia e Crimea, le imponenti infrastrutture cinesi a cavallo dell'Eurasia, il mosaico di sovranisti e populisti sul Vecchio Continente descrivono i contorni della sfida più temibile e pericolosa che le democrazie si trovano ad affrontare dalla caduta del Muro di Berlino, avvenuta esattamente trent'anni fa. Sulle rovine della globalizzazione, la seconda guerra fredda ha colto di sorpresa l'Occidente: è radicalmente diversa dalla prima perché gli attori principali non sono più due ma molteplici, le armi più temibili non sono più nucleari ma digitali e gli scontri ad alto rischio non sono frontali bensì asimmetrici. Ma in palio c'è, oggi come allora, la sopravvivenza delle democrazie chiamate a reagire non solo dotandosi di nuovi sistemi di sicurezza contro gli avversari e di alleanze più flessibili, ma soprattutto di un arsenale di diritti capace di restituire vitalità ed energia al legame fra i loro cittadini e le istituzioni dell'Occidente. La seconda guerra fredda non ha ancora una data di inizio ufficiale ma in pochi dubitano oramai che sia in pieno svolgimento e stia già cambiando il mondo in cui viviamo.
Per anni abbiamo ritenuto le tasse, se non belle, almeno necessarie per tenere in piedi il nostro apparato pubblico e i servizi che fornisce. Poi si è teorizzato che fossero necessarie per apportare una qualche forma di riequilibrio sociale. Ci siamo però accorti che il conto da pagare era decisamente superiore alla qualità del pasto che stavamo consumando. I servizi, dalla sicurezza alla sanità, non sono all'altezza. E la favola della giustizia sociale per via fiscale si è dimostrata falsa. Piuttosto lo stato e le sue casse si sono grandemente arricchiti, alzando le pretese. Non poteva continuare così. Ecco perché il mostro fiscale ha dovuto cambiare forma, è dovuto diventare "bio", come direbbero le groupie della correttezza alimentare. Ha dovuto trovare un racconto originale che gli permettesse, impunito, di continuare a sottrarre risorse ai privati. L'idea di tassare e nascondere la mano non è nuova. Ma oggi, come mai prima, le imposte cercano di mimetizzarsi. Esistono e ci danno uno schiaffo come fossero l'uomo invisibile: non sappiamo come reagire, con chi prendercela. Cercano di darsi una veste nuova. Lo stato continua ad alimentarsi con le consuete pietanze di un tempo, con i prelievi sui consumi, sui redditi e sui patrimoni, ma ha aggiunto un dessert fintamente equo e solidale. Le nuove tasse si giustificano per emergenze tutte da dimostrare, su comportamenti che in modo arbitrario si ritengono socialmente deprecabili. Le tasse invisibili sono etiche ed ambientali. Sono richieste non già per migliorare le condizioni del presente, ma per evitare i drammi di un futuro catastrofico, che si dà per certo. I socialisti volevano occuparsi dei cittadini dalla culla alla tomba, i loro nipoti hanno scoperto che ci si può occupare anche dell'aldilà. La morale resta la solita. I nostri rappresentanti passano gran parte del loro tempo, per di più pagati da noi, a cercare un modo per spillarci quattrini. Sempre per il nostro bene. Si intende.
Quando, in punto di morte, Goethe mosse il suo indice dal basso verso l'alto, i testimoni che gli erano vicini rimasero sorpresi: per secoli questo gesto è rimasto emblematico e inspiegabile. Oggi, grazie alla suggestiva ricostruzione di Pietrangelo Buttafuoco e di Francesca Bocca-Aldaqre, possiamo coglierne il senso: si tratta di un gesto simbolico della shahada, la testimonianza di fede che ogni musulmano deve compiere in punto di morte per riaffermare di credere nel Dio unico. Attraverso una lunga e approfondita ricerca negli archivi e negli epistolari di Goethe, seguendo le testimonianze di coloro che gli furono più vicini, gli autori raccontano la scoperta e l'avvicinamento del grande scrittore tedesco all'Islam, rintracciandone l'influenza nell'opera poetica, teatrale e saggistica. Un'influenza vissuta però in modo estremamente peculiare e del tutto attuale, e che testimonia della capacità di Goethe di fondere nella sua riflessione elementi filosofici e religiosi appartenenti alla tradizione occidentale come a quella araba e medio-orientale, dando così forma a un pensiero coerente e vitale. Sotto il suo passo nascono i fiori offre al lettore non soltanto una ricostruzione della vita di Goethe - dalla sua prima lettura del Corano nel 1770 alla morte nel 1832 - e uno studio delle sue opere maggiormente ispirate dalla religione musulmana, ma anche l'occasione di riflettere sulla suggestione di un futuro europeo legato a "un Islam mitigato dai cieli del Mediterraneo", un orizzonte di pace verso il quale, secondo gli autori, il poeta orientò le sue più profonde tensioni personali e intellettuali.
In questo libro, Amin Maalouf spiega perché è convinto che siamo arrivati alle soglie di un naufragio globale, che riguarda tutte le aree della civiltà. L'America, per quanto resti una superpotenza, è sul punto di perdere ogni credibilità morale. L'Europa, che aveva promesso alla sua gente e a tutto il mondo il progetto più ambizioso e confortante della nostra epoca, sta per smembrarsi. Il mondo arabo-musulmano è sconfinato in una crisi profonda che lascia la sua popolazione nella disperazione e che ha ripercussioni spaventose su tutto il pianeta. Delle grandi nazioni emergenti o in via di rinascita, come la Cina, l'India e la Russia, fanno irruzione sulla scena mondiale in una atmosfera deleteria in cui ciascuno pensa per sé e in cui vige la legge del più forte. Una nuova corsa agli armamenti sembra inevitabile. Senza contare le minacce, gravissime, che pesano sul nostro pianeta - il clima, l'ambiente, la sanità - e alle quali non potremo far fronte senza quella solidarietà globale che, appunto, ci manca. Da più di mezzo secolo, l'autore osserva e percorre il mondo: da Saigon a Teheran, dal Vietnam a Parigi, in questo libro Maalouf descrive il mondo sia come spettatore impegnato che come intellettuale. Mescola la cronaca alla riflessione, racconta i grandi avvenimenti di cui si è trovato ad essere testimone privilegiato e, al tempo stesso, porta avanti una riflessione sulla storia e il destino del mondo: per spiegare perché il mondo come lo conosciamo si trova oggi alle soglie della catastrofe.
Le idee sbagliate sono sempre pericolose, ma ne esistono due che sembrano resistere nel tempo e, se combinate, costituiscono una miscela deflagrante. Sono la convinzione che esistano lingue migliori di altre, lingue banali e lingue geniali, lingue musicali e lingue stonate, e quella che la realtà si veda in modo diverso secondo la lingua che si parla, come se potesse condizionare i nostri sensi e i nostri ragionamenti. Andrea Moro affronta questi pregiudizi, e ne scopre i limiti, con ogni arma a disposizione: dalla filosofia, alla linguistica, alle neuroscienze. Spiega in modo semplice come si è arrivati alla conclusione sorprendente che tutte le lingue sono variazioni possibili su un unico tema: da un punto di vista biologico, parliamo tutti la stessa lingua, da sempre. Non si tratta solo di una questione accademica, Moro ricostruisce anche il momento storico in cui la pretesa di una lingua migliore di tutte, di una lingua pura, di una lingua cioè ariana, fu utilizzata in funzione del più colossale delitto della storia. Un viaggio nell'evoluzione del pensiero - tra eulinguistica, scoperte sulle grammatiche ed esperimenti decisivi sul cervello - per guardare al futuro e imparare a riconoscere, dentro e intorno a noi, il razzismo più radicale e subdolo.
"La storia dei sentimenti umani ci può aiutare a capire che l'economia, la politica e le altre forme di organizzazione umana che paiono vivere di leggi, algoritmi e regole, in realtà sono figlie dei nostri sentimenti. Ve ne sono stati di meravigliosi nel corso della storia. Studiamoli, copiamoli e vivremo più felici." Dalla scoperta del fuoco alla rivoluzione industriale, dalla democrazia ateniese all'intelligenza artificiale, lo spirito di ogni grande salto della storia dell'uomo si può racchiudere in un sentimento prevalente, in un'emozione collettiva che ha mosso i nostri antenati verso nuove invenzioni. Oscar Farinetti intreccia le storie del passato con l'Italia e il mondo di oggi per invitarci a guardare alle energie positive chiuse dentro di noi, un potenziale enorme di cui abbiamo un grande bisogno, e che aspetta di essere liberato.
“Eliminare il razzismo non vuol dire mostrare e convincersi che gli Altri non sono diversi da noi, ma comprendere e accettare la loro diversità.”
Dopo Il fascismo eterno, una nuova illuminante riflessione civile, contro ogni pregiudizio e intolleranza.
Cynthia Ozick, ripercorrendo con il ritmo e la forza che le sono propri, le vicissitudini storiche, editoriali e teatrali del libro universalmente considerato il simbolo della Shoah, ci mette in guardia dalle conseguenze di questa tendenza: ammorbidire la Storia.
Apparso per la prima volta nel 1997 sulle pagine del “New Yorker”, questo impetuoso, lucidissimo saggio di Cynthia Ozick strappa il velo di dissimulazione e retorica che negli anni ha ovattato e mistificato la limpida voce di Anne Frank e del suo Diario. Troppo spesso e troppo a lungo oggetto di interpretazioni semplificate e fuorvianti, di appropriazioni indebite, tradimenti e comode “santificazioni”, il Diario è servito da lasciapassare per un’amnesia collettiva – storica e culturale – sulle cause e le circostanze della morte della sua autrice e di milioni di altre vittime dell’Olocausto. La depravazione e la ferocia dei nazisti, il male che ha consumato la protagonista, sono stati attenuati e sorpassati nel tempo dal solo battere della critica, dell’editoria, dei lettori e persino del padre – Otto Frank – sul tema della bontà e della forza umana, utilizzando strumentalmente la voce di Anne per costruire un discorso sul passato tanto rassicurante quanto sterile. Cynthia Ozick, ripercorrendo con il ritmo e la forza che le sono propri, le vicissitudini storiche, editoriali e teatrali del libro universalmente considerato il simbolo della Shoah, ci mette in guardia dalle conseguenze di questa tendenza: ammorbidire la Storia, nel tentativo di renderla più sopportabile, equivale a tradirla; tradirla equivale a negare – in una discesa inarrestabile verso il buio della ragione – ciò che è stato, gettando le basi perché possa avvenire ancora.
Cani d’estate è un grido d’allarme su quanto sta accadendo oggi, ma anche una testimonianza, il senso di una lotta che oggi coinvolge migliaia di persone.
«A scatenare i latrati sono le parole – due, per la precisione – che potevano benissimo essere evitate senza che il senso di quell’infame decisione cambiasse di una virgola, e che tuttavia vengono pronunciate: la parola “pacchia” e la parola “crociera”» - Sandro Veronesi
«Questo libro nasce da una ferita. Quasi tutti i libri nascono da una ferita, ma di solito si tratta di una ferita intima, personale: questa invece è una ferita collettiva, inferta da un ristretto numero di persone a un gran numero di persone. Questo libro è anche un ritorno»
L’acceso dibattito portato avanti da Veronesi contro “l’uomo che non conosce il mare”, a partire dalla vicenda delle navi Aquarius e Diciotti, la chiusura dei porti come unica soluzione al fenomeno delle migrazioni, lo sdoganamento di un linguaggio xenofobo e razzista, ma anche e soprattutto una successiva mobilitazione collettiva in difesa dei fondamentali diritti dell’uomo e della politica dell’accoglienza e della solidarietà.
"Aggrediti dalle diseguaglianze, sorpresi dai migranti, flagellati da imposte e corruzione, bisognosi di protezione e sicurezza, feriti dalla globalizzazione, inascoltati dai partiti tradizionali e rafforzati nella capacità di esprimersi dall'avvento dell'informazione digitale, gli italiani con le elezioni del 4 marzo 2018 hanno reagito consegnando le proprie sorti al primo governo populista dell'Europa occidentale, con il risultato di innescare un domino di eventi sul Vecchio Continente dalle conseguenze imprevedibili. Questo libro tenta di rispondere alla domanda su come tutto ciò sia potuto accadere in Italia, con una rapidità travolgente e un'accelerazione di sapore rivoluzionario in uno dei paesi più moderati dell'Occidente." Maurizio Molinari ha percorso il nostro paese in lungo e in largo, incontrando di persona il disagio, le paure e le speranze degli italiani, per raccontare i motivi di una rivolta che ha sorpreso l'Europa e ha cambiato radicalmente i connotati della vita pubblica.
Cos'è l'intelligenza? È davvero possibile accrescerla? Quali sono i pro e i contro delle intelligenze artificiali? Queste e altre sono le domande alle quali questo testo, dalla vocazione divulgativa, si propone di rispondere. Dalla memoria come luogo della costruzione identitaria, fino al problema dell'insegnamento scientifico nelle scuole, questo testo affronta un argomento interessante e versatile: la natura del cervello umano. Scritto da due scienziati e grandi divulgatori, il volume coinvolge il lettore in una narrazione che si rivela più attuale di quanto possa sembrare. Parlare della natura di quest'organo, infatti, significa parlare non soltanto della scienza propriamente detta ma anche di società, politica, cultura: dal dibattito sull'eutanasia, all'analisi delle emozioni, fino al tema centrale, quello dell'analfabetismo scientifico in Italia, perché - come dicono gli autori - per usare bene il cervello bisogna conoscerlo.